
Riflettiamo su un grande ideale, che deve animare i cattolici: l’instaurazione del Regno sociale di Cristo. Questo ideale è una conseguenza della natura e della missione della Chiesa. Malgrado le possibili defezioni degli uomini che la governano, anche nei tempi di maggiore oscurità, la Chiesa continua a brillare e ad essere riconoscibile, grazie alle note che La contraddistinguono: è una, santa, cattolica e apostolica ed è sempre visibile. Gesù Cristo, infatti, ha conferito al Suo Corpo mistico la forma esteriore di una società umana. Non solo il Suo Capo, il Papa, è e deve essere visibile, ma lo sono anche la Sua fede, il Suo diritto e i Suoi riti.
Se la Chiesa è visibile, anche la sua missione è visibile. Ciò significa che la Chiesa non limita la sua missione alla salvezza individuale delle anime, ma la estende alla salvezza dei popoli, delle nazioni, della società intera, secondo il mandato di Gesù Cristo, che è quello di proclamare il Vangelo a tutte le genti (Mt 28, 19), fino agli estremi confini della terra (Atti 1, 8). La Chiesa è cattolica, perché per sua natura è universale, e diffonde il suo messaggio salvifico ad ogni creatura, in ogni luogo e in ogni tempo. Non si tratta solo della possibilità di una diffusione nel mondo, ma di una diffusione reale che deve rendere manifesta a tutto il mondo la divina verità della Chiesa.
È vero che, prima della fine del mondo, come dice il Vangelo, «molti travieranno nella fede» (Mt24, 10), ma la fine del mondo non giungerà, finché tutte le genti e lo stesso popolo di Israele non saranno entrati nella Chiesa. Perciò san Paolo dice: «Non voglio che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato» (Rom 11, 25-26).
Da queste parole dell’Apostolo delle genti possiamo dedurre che verrà un tempo in cui si instaurerà nel mondo non solo una cattolicità relativa, ma anche una cattolicità assoluta, perché il Vangelo sarà esteso a tutto il mondo. E, se ci sarà un’epoca dell’Anticristo, ci sarà un’epoca del Regno sociale di Cristo.
Chi, pur ammettendo Cristo, nega la Chiesa o, pur non negandola, la ritiene invisibile, come fanno i protestanti e i modernisti, nega la missione pubblica della Chiesa e rifiuta il Regno sociale di Cristo. La concezione dei modernisti, dei protestanti e dei loro precursori, è quella di una chiesa puramente spirituale, nata da un patto o da un contratto sociale, ridotta ad una congrega di predestinati, destinati ad essere perseguitati, senza mai essere vittoriosi nella storia. L’escatologia che ne deriva è una teologia della storia catacombalista e vittimista, che rifiuta la missione cattolica di conquistare la società intera e sottometterla a Cristo. Tutte le sette protestanti credono nell’epoca storica dell’Anticristo, ma non credono nell’epoca storica del Regno sociale di Cristo.
Oggi l’escatologia cattolica rifiuta il Regno sociale di Cristo, perché dipende dalla teologia della storia protestante e modernista. Il processo di secolarizzazione, di laicizzazione della società è considerato irreversibile. Da qui una duplice tentazione: la prima è quella di trovare un compromesso con il mondo secolarizzato; di cercare un Cristo immanente alla storia, di divinizzare la storia, seguendo le orme di Teilhard de Chardin. La seconda è quella di rifiutare il mondo, creando delle comunità di eletti che attendono la fine del mondo. In entrambi i casi non si combatte il mondo, perché non si crede al dovere di cristianizzarlo, di edificare una Civiltà cristiana sulle rovine del mondo moderno.
Questo atteggiamento non deriva solo da una teologia della storia sbagliata, ma si fonda anche su di un erroneo atteggiamento psicologico e spirituale. Molti cattolici accettano il mondo moderno o fuggono da esso senza combatterlo, perché a loro sembra che non ci sia più nulla da fare. Hanno perso la fiducia, che è la virtù della speranza corroborata dalla fede, di cui parla san Tommaso d’Aquino (Summa Theologiae, II-IIae, q. 129, art. 6 ad 2.). E con la fiducia hanno perso lo spirito militante.
Certo, l’ora del trionfo della Chiesa sarà preceduta da un grande castigo, perché il mondo contemporaneo non ha seguito l’esempio degli abitanti di Ninive, che si convertirono e furono salvati, ma quello degli abitanti di Sodoma e Gomorra, che rifiutarono la conversione e furono annientati. La teologia della storia ci dice che Dio premia e punisce non solo gli uomini, ma le collettività e i gruppi sociali: famiglie, nazioni, civiltà. Ma, mentre gli uomini hanno la loro ricompensa o il loro castigo, a volte in terra, ma sempre nell’eternità, le nazioni, prive di vita eterna vengono punite o premiate solo in terra.
Il processo rivoluzionario costituisce una trama di offese a Dio che, concatenandosi nel corso dei secoli, formano un unico peccato collettivo, un’apostasia dei popoli e delle nazioni. E poiché ai peccati corrispondono i castighi, l’escatologia cristiana ci insegna che ai peccati collettivi seguono grandi catastrofi storiche, che servono a scontare i peccati pubblici delle nazioni. Dio però non cessa di essere infinitamente misericordioso anche quando è infinitamente giusto e la teologia della storia ci mostra che, dalla creazione dell’universo alla fine del mondo, ci sono stati e ci saranno immensi peccati, a cui sono seguiti atti di immensa misericordia divina. La storia dell’universo si apre con un peccato supremo, la rivolta degli angeli, ma è da quel momento che si delinea nella storia il ruolo della Madonna, destinata a schiacciare il capo a Satana e agli angeli ribelli. Il peccato dei discendenti di Adamo corrompe l’umanità, che decade fino al Diluvio universale, ma ad esso segue il patto di Dio con il Popolo eletto. Il Popolo eletto si macchierà del peccato di deicidio, ma la Passione di Cristo redime il genere umano e dal costato trafitto di Cristo nasce la Chiesa e da questa la grande Civiltà cristiana del Medioevo.
Il peccato di Rivoluzione che nel corso dei secoli ha arrestato lo sviluppo della Civiltà cristiana e ci ha condotto alle rovine spirituali e morali dei nostri giorni, non può non suscitare una reazione che, sostenuta dalla grazia divina, porterà alla realizzazione storica del grande piano della Divina Provvidenza. Questo piano è il Regno sociale di Gesù e di Maria.
Gesù Cristo, spiega Pio XI nella enciclica Quas primas, è Re per grazia e per conquista e se il suo Regno non è di questo mondo, perché non trae da esso la sua legittimità, anche a questo mondo, quello in cui viviamo, si estende. Egli non solo ha diritto a regnare sulle istituzioni, le leggi, i costumi della società umana, ma vuole esercitare di fatto questo diritto. Sono molte le ragioni per cui Egli vuole esercitarlo, ma la principale è questa: Gesù vuole che con Lui regni la Sua divina Madre Maria, che fu nascosta al mondo nell’ora dell’Incarnazione, ma che ora deve essere conosciuta, acclamata e proclamata Regina dal mondo intero. Il trionfo del Cuore Immacolato di Maria è innanzitutto la volontà di Gesù a cui Maria si vuole uniformare e che Ella stessa a Fatima ci annuncia, ci promette e ci chiama a realizzare. Per questo il Regno sociale di Cristo sarà anche il Regno sociale di Maria.
Roberto de Mattei
Fonte: www.robertodemattei.it/…/il-regno-social…
Vedi anche: La regalità sociale di Cristo: una verità dimenticata
Gesù è Re per diritto di nascita e per diritto acquisito, in virtù della sua Passione e Morte. È Re in quanto vero Dio e vero Uomo. Nulla sfugge alla sua regalità. Essa abbraccia tutto ciò che è materiale e tutto ciò che è spirituale. Ogni ambito del sapere, ogni dimensione dell’umano: la politica, la scienza, l’economia, la vita di ogni giorno, gli affari. Tutto è subordinato a Lui. Egli ha il primato in tutte le cose. Eppure, quando nella liturgia traduciamo la sua regalità universale con una regalità sull’universo – Cristo Re dell’universo – non stiamo forse restringendo l’ambito del suo impero? Infatti, non si parla più della regalità sociale, politica, culturale di Cristo, ma esclusivamente della sua regalità spirituale, invisibile, privata, che riguarda il cuore dei cristiani. Di qui molti problemi che ci affliggono come credenti.
Leone XIII, il Sacro Cuore e la Regalità Sociale di Cristo
Una devozione per la santificazione interiore e la restaurazione della società cristiana
di Don Curzio Nitoglia

Contenuto sociale della devozione al S. Cuore
La devozione al Cuore di Dio, simbolo del Suo amore infinito per noi, la si trova già nell’Antico Testamento (Gen., VI, 6; 2 Sam., VII, 21; 1 Re, IX, 3; Ger., XXXII, 41; Os., XI, 8), come insegna Pio XII nell’Enciclica Haurietis aquas del 1956 in cui il Papa, presentando il culto al S. Cuore di Gesù come vessillo di salvezza per il mondo moderno, scrive che la società contemporanea è “inquinata di indifferentismo religioso e ligia ai princìpi del materialismo ateo e dell’edonismo laicista”, la cui diffusione è da attribuirsi alla “macchinazione degli uomini empi, i quali più che per il passato sembrano eccitati dal nemico infernale nel loro odio implacabile ed aperto contro Dio, contro la Chiesa e contro colui che in terra è il legittimo Vicario del divin Redentore” (1).
Pietà personale e impulso sociale
Tale devozione ha conosciuto uno sviluppo straordinario per la pietà personale con S. Giovanni Eudes (2) nel 1672 e con S. Margherita Maria Alacoque (1671-1690). Con Leone XIII (1878-1903) essa conosce un processo magisteriale di forte impulso sociale per spingere i cattolici alla restaurazione della Società cristiana (3), che diverrà il motto di San Pio X: “Instaurare omnia in Christo”.
Purtroppo la Rivoluzione, iniziata nel Trecento col nominalismo di Occam e progredita col neopaganesimo e il cabalismo dell’Umanesimo e del Rinascimento, ingranditasi col luteranesimo e l’idealismo soggettivista filosofico avendo separato lo Stato dalla Chiesa con il liberalismo, aveva secolarizzato la Società civile una volta cristiana.
Leone XIII, oltre le sue magnifiche Encicliche sulla dottrina dei rapporti tra Stato e Chiesa, ha dato ai fedeli un culto religioso non solo individuale, ma anche sociale che li spingesse e li aiutasse a restaurare l’ordine capovolto dalla Rivoluzione in un’ottica di lotta frontale del cattolicesimo intransigente contro la modernità idealista e laicista.
La devozione al S. Cuore era quindi finalizzata non solo alla santificazione dei singoli cristiani, ma al ritorno della Chiesa nella società civile e alla riunione del Vangelo con essa.
S. Margerita M. Alacoque e gli “ultimi tempi”
Le rivelazioni del S. Cuore a S. Margherita M. Alacoque parlavano di una «diffusione del regno di satana che negli “ultimi tempi” (che vanno dall’Incarnazione del Verbo sino alla Parusia) era giunta ad un punto cruciale. Quindi l’infinita Misericordia di Dio aveva concesso all’umanità la devozione al S. Cuore di Gesù per portare a compimento l’opera della Redenzione. Il S. Cuore alla fine vincerà, stabilendo un nuovo regno tra gli uomini» (4).
Alla fine della modernità il mondo tornerà a Dio
Nel suo contesto la frase “alla fine” va intesa non solo alla fine del mondo, ma anche alla fine del processo rivoluzionario iniziato nel Trecento, che ha separato gli individui, le famiglie e gli Stati dalla Chiesa, ma che terminerà con una vittoria di questa, che sarebbe tornata ad essere “il sale della terra” e l’anima della società civile.
Leone XIII ha cercato in ogni modo di rendere possibile questa restaurazione dell’ordine sociale in Cristo nel XX secolo sotto lo stendardo del S. Cuore, ma oggi dobbiamo constatare che il suo progetto continuato da S. Pio X (1903-1914), da Benedetto XV (1914-1922), da Pio XI (1922-1939) e da Pio XII (1939-1958) si è fermato con l’occupazione della Chiesa da parte del modernismo a partire da Giovanni XXIII. La situazione odierna, con Francesco I, è oggettivamente “apocalittica” e “apostatica” per cui ci dobbiamo adoperare e pregare per un intervento straordinario di Dio che corregga l’umanità e l’ambiente ecclesiale allontanatisi da Lui e ristabilisca il Regno sociale del Suo Figlio in terra.
Per la Santa di Paray-le-Monial il ricorso al S. Cuore di Gesù è necessario, dati i successi della Sovversione e di Satana nella modernità, che fanno capire l’avvicinarsi degli “ultimi avvenimenti”, i quali si fanno sempre più prossimi data la situazione di rivolta generale contro Dio e la Sua Chiesa.
Il “nuovo labaro”

Il S. Cuore è paragonato da papa Pecci, nell’Enciclica Annum sacrum del 1899, al labaro dato da Dio a Costantino che gli fece vincere la battaglia di ponte Milvio a Roma nel 28 ottobre 313 contro Massenzio, la quale sanzionò il riconoscimento del Cristianesimo come religione ufficiale di Roma. Lo stesso si può dire, con Pio XII, del Cuore Immacolato di Maria (con la devozione dei primi cinque sabati del mese) dopo le apparizioni della Madonna a Fatima nel 1917.
I Gesuiti furono i principali sostenitori e diffusori della devozione al S. Cuore (con i primi nove venerdì del mese). Purtroppo tale devozione incontrò nel seno della Chiesa anche molti nemici: i Giansenisti e i Monarchi assoluti (5) del XVIII secolo, impregnati dello spirito illuminista, che traeva la falsa dottrina della separazione tra potere spirituale e temporale già a partire dal Trecento con Occam.
«La corona spagnola, allineandosi agli orientamenti già assunti da quella portoghese e da quella francese, riteneva oramai la Compagnia di Gesù una minaccia politica. In tale ottica, la festa del S. Cuore, considerata un successo dei Gesuiti, acquistava inevitabilmente il valore di una sfida ai provvedimenti di espulsione che i governanti stavano prendendo nei loro confronti. L’autorità monarchica poteva insomma sospettare nel culto non un canale di consolidamento, ma un fattore di indebolimento del potere assoluto che si stava affermando attraverso interventi contro quegli stessi Gesuiti per i quali l’espansione della loro Compagnia si legava alla diffusione della devozione al S. Cuore» (6), che avrebbe regnato sul mondo mediante il ritorno degli Stati a Cristo e al Suo Vicario in terra, dottrina questa totalmente opposta all’assolutismo monarchico del XVIII secolo, che avrebbe poi portato i re alla ghigliottina.
L’assolutismo dei monarchi del Settecento, il protestantesimo e il filosofismo illuministico erano le ragioni principali dei mali della società contemporanea. La devozione al S. Cuore perciò veniva presentata come il canale principale nel quale si poteva trovare un rimedio efficace contro l’irreligione e l’empietà illuministica. Il minimo comun denominatore di questi movimenti era l’insubordinazione al Primato del Papa come Vicario di Cristo in terra. Purtroppo i Troni del Settecento facevano propria quella filosofia di rivolta contro la Chiesa, filosofia che a partire dal 1789 sino a circa due secoli dopo li avrebbe travolti e rovesciati quasi tutti.
I padri Joseph de Clorivière, Nicola Diessbach, Pio Brunone Lanteri, Giovanni Roothan avevano costituito delle associazioni religiose che facessero da muro di difesa per la Casa di Dio e per la società cristiana, in cui trono e altare andassero d’accordo nella gerarchia dei fini per il ristabilimento del bene comune temporale subordinatamente a quello spirituale. Il S. Cuore era un’arma e una bandiera contro la Rivoluzione filosofica, religiosa e politica. In breve tra Sovversione e S. Cuore vi era un’antitesi radicale e per diametrum.
Il culto del S. Cuore a partire dal Settecento e poi soprattutto con Leone XIII diventa il nuovo labaro costantiniano per abbattere il neo-paganesimo massonico che aveva rovinato l’armonia regnante tra Chiesa e Stato nella Cristianità medievale. Si può dire che oggi, esattamente cento anni dopo le apparizioni della Madonna a Fatima, il Cuore Immacolato di Maria assieme a quello di Gesù sono i mezzi principali e l’ultima risorsa per attenuare l’attacco satanico contro il Cristianesimo e una sorta di scudo contro i mali che minacciano l’individuo, la famiglia e la società temporale e spirituale.
Leone XIII nella Rerum novarum affidava anche al culto di San Giuseppe (già nominato da Pio IX “Patrono della Chiesa universale”) quale modello dei lavoratori la soluzione della questione sociale, affinché l’operaio imitasse S. Giuseppe “contento del poco e del suo” evitando l’odio di classe comunista e affinché il padrone, memore delle virtù e specialmente della Carità e della Giustizia di Giuseppe, non frodasse l’operaio della giusta paga, “peccato che grida vendetta al Cielo”. Pio XII nominò S. Giuseppe Patrono degli artigiani e fissò la sua festa liturgica il 1° Maggio per togliere quel giorno ai social/comunisti e darlo ai cristiani e l’8 dicembre del 1942 consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria e nel 1944 estese la festa liturgica del Cuore Immacolato di Maria a tutta la Chiesa fissandola al 22 agosto.
Tra Rivoluzione e S. Cuore vi è la stessa opposizione che si ritrova negli Esercizi Spirituali di S. Ignazio (n. 136-148) tra Lo Stendardo di Lucifero e lo Stendardo di Cristo.
Oggi umanamente non è possibile la restaurazione del Regno sociale di Cristo
Se, umanamente parlando, sotto il Pontificato di Leone XIII e i successivi Pontificati sino a quello di Pio XII, si poteva ancora sperare nella ricostruzione della società cristiana con l’aiuto della Chiesa e del Papato, dopo il Concilio Vaticano II, avendo la Rivoluzione infiltrato persino l’ambiente ecclesiale sino al suo vertice, si può solo invocare la Misericordia e la Giustizia di Dio per ristabilire l’ordine nel mondo e nella Chiesa col castigo degli impenitenti e col perdono di chi si pente.
Si badi, però, che la devozione al S. Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria non vanno lette come una pura velleità nostalgica di ritorno ad una forma di governo monarchica illuminata, ma debbono essere viste come l’aspirazione ad una forma di governo che traduca in legge le norme del Diritto naturale e divino.
La devozione al S. Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria ci aiutano ad ottenere dall’Onnipotenza divina il ritorno alla società tradizionale, in cui vi è l’alleanza tra potere temporale e spirituale in vista del bene comune naturale e soprannaturale.
Il cammino della secolarizzazione (7) e del separatismo liberale tra Stato e Chiesa non solo non si sta chiudendo o attenuando, ma conosce un acceleramento parossistico che corrode sempre più la società civile e purtroppo dall’interno, tramite il modernismo, anche l’ambiente ecclesiale. Il cattolicesimo integrale deve oggi abbandonare ogni nostalgia per i regimi assolutistici e deve proclamare il ritorno ad una forma di governo conforme al Diritto Pubblico Ecclesiastico, ossia al Regno Sociale di Cristo e di Maria.
Di qui nasce il tema della Regalità sociale di Gesù Cristo che è stata insegnata poi formalmente da Pio XI nella sua Enciclica Quas primas del 1925 e calata nella preghiera con l’istituzione della festa liturgica di Cristo Re nel 1926 da celebrarsi nell’ultima domenica di ottobre.
Sano ottimismo nell’attuale lotta epocale tra la Rivoluzione e la Chiesa
La Regalità del Cuore di Gesù e di Maria dà ai cattolici fedeli un senso di sicurezza e di sano e realistico ottimismo nella lotta epocale tra la Rivoluzione e la Chiesa. Infatti “alla fine” i Cuori di Gesù e di Maria trionferanno contro la Rivoluzione, che può vincere delle battaglie, ma non vincerà la guerra, e, avendo la Rivoluzione distrutto tutto ciò che poteva esserle d’intralcio sia nell’ordine temporale sia in quello spirituale, oggi siamo arrivati “alla fine” di quel processo di rivolta sociale contro Dio e la Sua Chiesa, che è iniziato nel Trecento ed è arrivato allo zenit con il Pontificato di papa Bergoglio e la costruzione quasi ultimata del “Nuovo Ordine Mondiale”.
Pio IX aveva favorito la devozione al Cuore di Gesù in vista dell’opposizione della Chiesa alla modernità, Leone XIII nella sua Enciclica Rerum novarum del 1891 l’arricchisce con il disegno positivo di ricostruire la società cristiana. Nella sua Enciclica papa Pecci rivendica al Papato il potere di definire i princìpi morali (individuali e sociali o politici) su cui deve basarsi la corretta legislazione della vita collettiva o sociale di ogni forma di governo: poiché l’uomo per natura è un animale sociale, la società civile è una creatura di Dio ed essa deve a Dio il culto che gli è dovuto né più e né meno che l’individuo e la famiglia.
La rivoluzione industriale dell’Ottocento con la conseguente questione sociale, figlie del liberismo e del social/comunismo, possono essere risolte solo con la Giustizia e la Carità cristiane e non con l’odio di classe socialista o lo sfruttamento liberista dei poveri. Il S. Cuore di Gesù è la fonte di queste due virtù cristiane individuali e sociali, che possono, se abbracciate sinceramente, portare alla restaurazione di un ordine sociale naturale e cristiano in cui la Chiesa e lo Stato collaborano come l’anima e il corpo. Ma oramai la Rivoluzione dopo il Sessantotto ha vulnerato terribilmente la natura e persino le facoltà dell’anima umana, rendendo l’uomo molto più debole e più difficilmente aperto alla grazia, che “non distrugge la natura, ma la presuppone e la perfeziona” (S. Th., I, q. 1, a. 8, ad 2).
Garcia Moreno e Matovelle Maldonado
In America latina il Presidente della Repubblica dell’Ecuador Gabriel Garcia Moreno (1821-1875) (8) nel 1873 consacrò la sua Patria al S. Cuore con l’approvazione di Pio IX. La massoneria lo fece uccidere da due sicari, ma nel 1883 un sacerdote/senatore José Julio Maria Matovelle Maldonado (9) (1832-1919), fondatore della “Congregazione dei sacerdoti Oblati dei sacri Cuori di Gesù e di Maria”, riprese la politica di Garcia Moreno ed ottenne dal Parlamento ecuadoriano il rinnovamento dell’atto di consacrazione del suo Paese al S. Cuore facendo erigere una basilica a Lui dedicata in Quito come testimonianza imperitura di questo voto consacratorio.
Léon Dehon
Padre Léon Gustave Dehon (1843-1925) fondò nel 1844 una Congregazione dedicata al S. Cuore (i “Sacerdoti del S. Cuore di Gesù”) il cui scopo era la ricostruzione di un ordine sociale cristiano, attraverso corporazioni consacrate al S. Cuore, che sotto l’autorità della Chiesa dovevano ricomporre i contrasti economico/sociali sorti tra operai e padroni e ricristianizzare non solo gli individui, ma le famiglie, le città, i governi e le nazioni, le quali allontanatesi da Dio e dalla Sua Chiesa, in séguito alla secolarizzazione liberale, dovevano esser di nuovo cristianizzate e sottomesse alla legge di Dio inscritta nella natura di ogni uomo.
Questi personaggi hanno dato un contributo notevole a svincolare la restaurazione dell’ordine sociale naturale e cristiano dalle tesi monarchiciste/legittimiste specialmente francesi, che vedevano nella monarchia ereditaria l’unica forma di governo a differenza della dottrina della Chiesa fondata sulla filosofia politica di Aristotele e S. Tommaso d’Aquino. Padre Léon Dehon era un sacerdote secolare formatosi a Roma, che, tornato nella sua Diocesi di Saint-Quentin, aveva sentito l’aspirazione alla vita religiosa ed aveva fondato l’Ordine dei Dehoniani per la restaurazione dell’ordine sociale naturale e cristiano.
La Repubblica ecuadoregna aveva rinnovato un patto politico/religioso che nel Medioevo aveva dato vita alla Cristianità o alla Res Publica Christiana dando così l’esempio alla vecchia Europa che si poteva intraprendere una via analoga, ossia una forma di governo repubblicana che si consacrava al S. Cuore e restaurava l’ordine sociale naturale e cristiano secondo la Legge di Dio e della Chiesa, sotto la direzione spirituale del Papa, che aveva un potere indiretto in temporalibus ratione peccati.
L’Ecuador (1873-1883), p. Dehon e Leone XIII (nella sua Enciclica Au mileu des sollicitudes del 1892) facevano capire che indipendentemente dalle forme di governo (in sé neutrali: monarchia, aristocrazia e politìa), è la legislazione e la ricostruzione della società naturale e cristiana (in cui lo Stato è subordinato alla Chiesa, la politica alla religione, la legge civile a quella naturale e divina) la via che l’uomo del Novecento doveva perseguire senza nostalgie per forme di governo che non potevano essere più restaurate. Infatti Dio e la Chiesa restano, ma le forme di governo passano.
Anche p. Dehon, non alieno inizialmente da atteggiamenti legittimisti, arriva come Garcia Moreno, Matovelle Maldonado e poi Leone XIII ad affermare l’irrilevanza della forma di potere ai fini della restaurazione della società cristiana, la cui essenza dipende da una legislazione conforme a quella divina e naturale. Dehon sostenne in Francia la politica del cosiddetto ralliement voluto da papa Pecci osservando che occorreva operare all’interno delle istituzioni della repubblica francese (senza accettare i princìpi della Rivoluzione del 1789) in perfetta unità e sotto le direttive della S. Sede, per ottenere una legislazione che riconoscesse i “Diritti di Dio” nelle famiglie, nelle scuole, nella società civile onde arrivare al Regno sociale di Cristo.
Il ralliement
Infatti il ralliement voluto da Leone XIII non significava l’adesione ai valori nati dalla Rivoluzione francese, ma l’accettazione del fatto che oramai in Francia la forma di governo era repubblicana e quindi bisognava renderla una repubblica cristiana come era avvenuto in Ecuador.
Dehon aveva già visto nella Rerum novarum (1891) il S. Cuore come aiuto per la restaurazione dell’ordine politico naturale e cristiano. Nell’Enciclica Au milieu des sollicitudes (1892) vedeva la medesima idea: il S. Cuore come via di soluzione della questione non solo sociale (Rerum novarum), ma anche politica/legislativa (Au milieu des sollicitudes). Dehon vedeva nel culto del S. Cuore il mezzo indispensabile per rendere il messaggio di S. Margherita M. Alacoque tradotto dal piano spirituale individuale a quello sociale.
Dehon temeva che le masse cadessero preda del socialismo e siccome constatava che le nazioni si dirigevano verso una forma di governo repubblicana cercava di fare in modo che la società civile tornasse a Cristo, altrimenti sarebbe stata contro Cristo. L’essenziale per lui non era la forma di governo monarchica, ma che la legislazione dello Stato riconoscesse la Regalità sociale di Cristo. Per p. Dehon “Cristo è il re delle nazioni e Pietro, vivente oggi in Leone XIII, ne è il vice-re” (10).
Papa Pecci già nell’Enciclica Immortale Dei (1885) aveva insistito sul fatto che i mali del momento presente sono il frutto della modernità filosofica (Cartesio/Kant/Hegel), politica (Occam/Machiavelli/Rousseau) e religiosa (Lutero/Calvino/Lamennais) che ha separato lo Stato dalla Chiesa. Quindi il risanamento e la guarigione della Società dipendeva dal ritorno a Dio e dal ripristino dell’autorità ecclesiastica sulle leggi civili. In breve era necessario che gli Sati, qualsiasi fosse la loro forma di governo, tornassero ad essere cattolici non solo di nome ma di fatto.
Il Novecento è iniziato con la speranza di vedere ristabilito il Regno sociale di Cristo tramite un ritorno del mondo laicizzato al S. Cuore e al Papa Vicario visibile in terra di Gesù asceso in Cielo (Leone XIII, Enciclica Annum sacrum del 1899 e Tametsifutura del 1900). Come la croce aveva aperto l’epoca costantiniana, così l’immagine del S. Cuore avrebbe dovuto rappresentare il vessillo della nuova era della regalità di Cristo nel XX secolo.
Da Leone XIII sino a Pio XII questo è stato il programma della Chiesa, che dopo la seconda Guerra Mondiale era rimasta l’unico grande Impero in piedi in mezzo alle rovine della povera Vecchia Europa flagellata ad est dal Comunismo sovietico e ad ovest dal liberismo anglo/americano.
Il conflitto sociale affrontato da Leone XIII nella Rerum novarum (1891) si era trasformato in un immane conflitto di super-potenze che si abbatté sull’Europa, simbolo della metafisica greca classica, del diritto romano, della patristica e della scolastica. L’Europa andava distrutta secondo i piani dei suoi nemici: la massoneria e il comunismo, entrambi comandati dal giudaismo talmudico.
Padre Léon Dehon, seguendo l’insegnamento di Pio IX e di Leone XIII, nel quotidiano cattolico La Croix pubblicò alcuni articoli in cui spiegava come l’ebraismo talmudico e post-biblico è “assetato di denaro”, il suo Talmud è “un manuale banditesco, corruttore e distruttore della Società” onde bisognava “mantenerlo chiuso nei ghetti ed escluderlo dai posti di potere dello Stato” (11). Lo stesso pensiero era stato espresso da Garcia Moreno, dalla Civiltà Cattolica e dai grandi pensatori (laici ed ecclesiastici dell’Ottocento e primi del Novecento).
Oggi assistiamo alla realizzazione pratica dell’esatto contrario per diametrum del piano cattolico per la restaurazione dell’ordine naturale e cristiano. Stiamo vivendo la “grande apostasia”.
Il Vaticano II e il Sessantotto: la Rivoluzione in interiore homine
Purtroppo il Vaticano II con la infiltrazione modernista all’interno e al vertice della Chiesa e il Sessantotto con la Rivoluzione in interiore homine hanno destabilizzato l’ordine naturale e soprannaturale, hanno segnato il trionfo momentaneo della Rivoluzione nell’ordine temporale e spirituale ed hanno reso nel Duemila molto difficile il ritorno a Cristo sia degli individui, sia delle famiglie, sia dello Stato, sia degli uomini di Chiesa, ma “alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà” ci ha assicurato la Madonna a Fatima.
Se la seconda metà del Novecento ha visto la Rivoluzione toccare il suo apice, il Duemila vedrà il castigo e la risurrezione dell’umanità allontanatasi da Dio. Umanamente parlando tutti i mezzi messi in atto dalle grandi figure che abbiamo incontrato in queste pagine sono oggi resi inattuabili dalla presa di potere dell’inimicus homo sugli individui, sulle famiglie, nelle città, negli Stati e persino nell’ambiente ecclesiale.
Oggi vediamo la realizzazione del “Regno sociale di satana” e il ripudio anche da parte degli uomini di Chiesa (cfr. Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis humanae personae, 1965) del Regno Sociale di Cristo.
Tuttavia non dobbiamo disanimarci, ma ricorrere ai mezzi datici dalle grandi figure che abbiamo studiato brevemente in quest’articolo: S. Giuseppe, il S. Cuore di Gesù e il Cuore Immacolato di Maria.
Il Cristianesimo è destinato alla vittoria
Il Cristianesimo, infatti, non è destinato alla sconfitta definitiva, ma alla vittoria. Mons. Pier Carlo Landucci scrive: «Quanto agli eventi finali abbiamo due preannunci che sembrano contrastare tra loro. Uno afferma la conquista di tutti i popoli alla fede, dopo la quale avverrà anche la conversione del popolo ebreo (Rom., XI, 25; Lc., XXI, 24) […], l’altro preannuncio invece è di tenebre finali: “Il Figlio dell’uomo alla sua venuta troverà forse la fede sulla terra?” […]. La conciliazione dei due vaticini si può avere riflettendo che la divina progressività della Chiesa è un’avanzata spirituale di combattimento, che avrà come tutte le guerre le sue alterne e parziali vicende. In tale quadro la grande finale apostasia (2 Tess., II, 3) potrebbe indicare un ultimo disperato contrattacco di satana contro la Chiesa già vincitrice e un momentaneo trionfo di lui, vaticinato nell’Apocalisse (XIII, 3) come episodica finale vittoria dell’Anticristo.
Ma anche allora rimarrà la cattolicità, ossia l’universalità della Chiesa restata perfettamente integra nel suo organismo e nella sua dottrina intesa come universalità morale, della quale permanenza la promessa divina non lascia dubbio. E non sarà che la premessa della successiva riscossa trionfale. […].
La prospettiva di tale ultimo contrattacco momentaneamente vittorioso di satana, cui seguirà però la sua certa sconfitta, serve anche oggi a eliminare qualunque scoraggiamento per le sue temporanee vittorie, che in qualche luogo avvengono nelle alterne vicende della grande battaglia”» (Cento Problemi di Fede, Roma, VII ed., 2003, pp. 166-167) (12).
La frase del Vangelo di S. Luca (XVIII, 6-8) “Ma il Figlio dell’uomo quando verrà troverà forse la Fede sulla terra?” non deve essere letta in maniera radicalmente pessimistica e quasi disperata, come se la Chiesa fosse finita all’approssimarsi della Parusia: «Il Maestro non nega in maniera assoluta l’esistenza della Fede negli uomini che vivranno negli ultimi giorni. […]. La prospettiva dolorosa della fine dei tempi non si identifica con una dichiarazione sconsolata e senza speranza per la sorte finale del regno di Dio sulla terra ossia della Chiesa. […]. Il Maestro ha inteso richiamare gli uomini al dovere della vigilanza affinché essi, alla sua parusia, siano trovati in pieno fervore di Fede, di preghiera e di opere. […]. Ammonendoci che alla fine del mondo si avranno prove di un’estrema gravità, le quali per molti saranno causa di raffreddamento di preghiera e carità e di defezione dalla Fede» (13).
Note
(1) – Padre GABRIELE ROSCHINI (La Santa Messa. Breve esposizione dogmatica, II ed., Frigento, 2010, p. 11) scrive: «l’età moderna, iniziatasi con l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’Io, che il Medio Evo aveva mortificato in omaggio a Dio. Per riconquistare quest’Io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’Io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’Io dalla realtà e dalla filosofia tradizionale, ossia dalla filosofia perenne che è l’unica vera; emancipazione filosofica portata poi agli ultimi termini da Kant, da Hegel, ecc… . Venne Rousseau e con i suoi principi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’Io dall’autorità civile».
(2) – Cfr. P. MILCENT, Un artisan du renouveau chrétien au XVIIme siècle. S. Jean Eudes, Parigi, 1985.
(3) – Cfr. D. MENOZZI, Episcopato e società tra Leone XIII e Pio X, Bologna, 2000.
(4) – S. MARGHERITA MARIA ALACOQUE, Vie et Oeuvres, Parigi-Friburgo, 1990, vol. II, p. 306 e 327.
(5) – Assoluto deriva dal latino ab solutum: sciolto da. Quindi monarchia assoluta significa che il potere del re è indipendente o sciolto da ogni altro potere, sia quello del Papa che di Dio. Come si vede la monarchia assoluta è una degenerazione del concetto di monarchia tradizionale, come son state definite da Aristotele e S. Tommaso d’Aquino.
(6) – D. MENOZZI, Sacro Cuore. Un culto tra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Roma, Viella, 2001, p. 38.
(7) – Cfr. A. DEL NOCE, L’epoca della secolarizzazione, Roma, 1970; D. MENOZZI, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino, 1993.
(8) – Cfr. S. GOMEZJURADO, Vida de Garcia Moreno, Cuenca-Quito, 10 voll., 1954-1971; A. BERTHE, Garcia Moreno, président de l’Equateur, vengeur et martyr du droit chrétien (1821-1875), Parigi, 1887: M. LIBERATORE, Garcia Moreno, in “La Civiltà Cattolica”, n. 26, 1875, pp. 257-269.
(9) – Cfr. W. LOOR, Biografia del reverendissimo padre Julio Maria Matovelle, Quito, 1943.
(10) – L. DEHON, Oeuvres sociales, Napoli, 1978, VI/1, p. 513.
(11) – L. DEHON, Oeuvres sociales, Napoli, 1978, vol. V/1, p. 113 e 294.
(12) – Bibliografia: E. DUBLANCHY, Eglise, Indéfettibilité, DThC, vol. IV, coll. 2145-2150; M. JUGIE, Indefettibilità della Chiesa, Enciclopedia Cattolica, vol. VI, coll. 1792-1794; ID., Où se trouve le Christiansime intégral, Parigi, 1947.
(13) – B. MARIANI, Cento problemi biblici, Assisi, 1963, p. 162.
Fonte: Don Curzio Nitoglia