Infine, Il Mio Cuore Immacolato Trionferà!

1La Meditazione della morte e l’arte di morire “bene”

1. Ben presto la morte sarà qui, presso di te. Considera, del resto, la tua condizione: l’uomo oggi c’è e domani è scomparso; e quando è sottratto alla vista, rapidamente esce anche dalla memoria. Quanto grandi sono la stoltezza e la durezza di cuore dell’uomo: egli pensa soltanto alle cose di oggi e non piuttosto alle cose future. In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; ché, se avrai retta la coscienza, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che sfuggire alla morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani? Il domani è una cosa non sicura: che ne sai tu se avrai un domani? A che giova vivere a lungo, se correggiamo così poco noi stessi? Purtroppo, non sempre una vita lunga corregge i difetti; anzi spesso accresce maggiormente le colpe. Magari potessimo passare santamente anche una sola giornata in questo mondo. Molti fanno il conto degli anni trascorsi dalla loro conversione a Dio; ma scarso è sovente il frutto della loro emendazione. Certamente morire è cosa che mette paura; ma forse è più pericoloso vivere a lungo. Beato colui che ha sempre dinanzi agli occhi l’ora della sua morte ed è pronto ogni giorno a morire. Se qualche volta hai visto uno morire, pensa che anche tu dovrai passare per la stessa strada. La mattina, fa conto di non arrivare alla sera; e quando poi si farà sera non osare sperare nel domani. Sii dunque sempre pronto; e vivi in tal modo che, in qualunque momento, la morte non ti trovi impreparato.  

2. Sono molti coloro che muoiono in un istante, all’improvviso; giacché “il Figlio dell’uomo verrà nell’ora in cui non si pensa che possa venire” (Mt 24,44; Lc 12,40). Quando sarà giunto quel momento estremo, comincerai a giudicare ben diversamente tutta la tua vita passata, e molto ti dorrai di esser stato tanto negligente e tanto fiacco. Quanto é saggio e prudente l’uomo che, durante la vita, si sforza di essere quale desidera esser trovato al momento della morte! Ora, una piena fiducia di morire santamente la daranno il completo disprezzo del mondo, l’ardente desiderio di progredire nelle virtù, l’amore del sacrificio, il fervore nella penitenza, la rinuncia a se stesso e il saper sopportare ogni avversità per amore di Cristo. Mentre sei in buona salute, molto puoi lavorare nel bene; non so, invece, che cosa potrai fare quando sarai ammalato. Giacché sono pochi quelli che, per il fatto di essere malati, diventano più buoni; così come sono pochi quelli che, per il fatto di andare frequentemente in pellegrinaggio, diventano più santi. Non credere di poter rimandare a un tempo futuro la tua salvezza, facendo affidamento sui suffragi degli amici e dei parenti; tutti costoro ti dimenticheranno più presto di quanto tu non creda. Perciò, più che sperare nell’aiuto di altri, è bene provvedere ora, fin che si è in tempo, mettendo avanti un po’ di bene. Ché, se non ti prendi cura di te stesso ora, chi poi si prenderà cura di te? Questo è il tempo veramente prezioso; sono questi i giorni della salvezza; è questo il tempo che il Signore gradisce (2Cor 6,2). Purtroppo, invece, questo tempo tu non lo spendi utilmente in cose meritorie per la vita eterna. Verrà il momento nel quale chiederai almeno un giorno o un’ora per emendarti; e non so se l’otterrai. Ecco, dunque, mio caro, di quale pericolo ti potrai liberare, a quale pericolo ti potrai sottrarre, se sarai stato sempre nel timore di Dio, in vista della morte. Procura di vivere ora in modo tale che, nell’ora della morte, tu possa avere letizia, anziché paura; impara a morire al mondo, affinché tu cominci allora a vivere con Cristo; impara ora a disprezzare ogni cosa, affinché tu possa allora andare liberamente a Cristo; mortifica ora il tuo corpo con la penitenza, affinché tu possa allora essere pieno di fiducia.  

3. Stolto, perché vai pensando di vivere a lungo, mentre non sei sicuro di avere neppure una giornata? Quante persone sono state ingannate, inaspettatamente tolte a questa vita! Quante volte hai sentito dire che uno è morto di ferite e un altro è annegato; che uno, cadendo dall’alto, si è rotto la testa; che uno si è soffocato mentre mangiava e un altro è morto mentre stava giocando? Chi muore per fuoco, chi per spada; chi per una pestilenza, chi per un assalto dei predoni. Insomma, comunque destino è la morte; e passa rapidamente come un’ombra la vita umana. Chi si ricorderà di te, dopo che sarai scomparso, e chi pregherà per te? Fai, o mio caro, fai ora tutto quello che sei in grado di fare, perché non conosci il giorno della tua morte; né sai che cosa sarà di te dopo. Accumula, ora, ricchezze eterne, mentre sei in tempo. Non pensare a nient’altro che alla tua salvezza; preoccupati soltanto delle cose di Dio. Fatti ora degli amici, venerando i santi di Dio e imitando le loro azioni, “affinché ti ricevano nei luoghi eterni, quando avrai lasciato questa vita” (Lc 16,9). Mantienti, su questa terra, come uno che è di passaggio; come un ospite, che non ha a che fare con le faccende di questo mondo. Mantieni libero il tuo cuore, e rivolto al cielo, perché non hai stabile dimora quaggiù (Eb 13,14). Al cielo rivolgi continue preghiere e sospiri e lacrime, affinché, dopo la morte, la tua anima sia degna di passare felicemente al Signore. Amen.

Meditazione sulla morte del Padre Stefano Manelli, fondatore dei Francescani dell’Immacolata

La morte è la porta della vita eterna. Attraverso di essa si entra nell’aldilà. È un passaggio obbligato. «È destino dell’uomo morire» (Eb 9,27). Un destino che porta il marchio della colpa originale: «La morte è lo stipendio del peccato» (1 Cor 15,21). Perciò è terribile morire. E la morte ci dimostra crudamente come sia vera la parola di Dio: «Ricordati uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai» (Gn 3,19).

Con la redenzione operata da Gesù, però, la morte in grazia di Dio è il sigillo della salvezza eterna; per i santi, la morte è l’entrata in Paradiso.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, infatti, insegna che «per il cristiano che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna» (n. 1020). San Paolo sembra gridare di gioia quando scrive: «Per me la morte è un guadagno» (Fil 1,21). Per questo san Tommaso Moro, condannato a morte dagli eretici, il giorno del supplizio volle indossare il suo abito più bello e più prezioso. E san Carlo Borromeo si fece dipingere un quadro sulla morte, che raffigurava un morente pieno di serenità; vicino c’era un Angelo bellissimo con una chiave d’oro in mano, pronto ad aprire la porta del Paradiso. Quale grazia è morire da santo! «Preziosa al cospetto di Dio è la morte dei suoi santi» (Sal 115,15).

Quando? Come? Dove?

La morte è la cosa più certa, ma ignoriamo quando avverrà, come avverrà, dove avverrà. Si può morire nel seno materno o a cento anni di età; si può morire nel proprio letto o in mezzo a una strada. La sera non siamo sicuri se rivedremo il sole; né al mattino siamo sicuri di arrivare alla sera. Siamo certi solo di questo: «Non sappiamo né il giorno né l’ora» (Mt 25,13); la morte «verrà come il ladro notturno» (1 Ts 5,2), ossia di nascosto e a sorpresa. Perciò Gesù ci ammonisce con energia: «Siate pronti! perché nell’ora che non credete il Figlio dell’uomo verrà» (Lc 12,40).

Quanta deve essere la nostra stoltezza, allora, se alla morte non vogliamo pensarci, perché – si dice – ci rattrista la vita! E non riflettiamo che in tal modo somigliamo agli struzzi, i quali mettono la testa sotto la sabbia per non vedere il pericolo che li sovrasta.

Quale tragedia sia una cattiva morte, lo capiremo solo nell’eternità. Il demonio sa bene quanto sia salutare il pensiero della morte. Per questo lo fa considerare di malaugurio, tenendoci spensierati e gaudenti fra i vizi e i peccati.
Al papa Pio XI un giorno si presentò una signora che gli chiese un ricordo personale. Il Papa si trovava per la via; osservò la signora vestita con lusso tutto mondano; si chinò a terra, raccolse un po’ di polvere e fece sulla fronte della signora una crocetta dicendo: «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai». Non poteva darle un ricordo più personale!

Essere sempre pronti

Noi siamo capaci di riempire le nostre giornate di lavoro, di divertimenti, di sesso, di politica, di sport, di fumo e di televisione. Viviamo storditi e incatenati dalle tensioni del guadagno, del piacere, del successo. E non ci preoccupiamo affatto che intanto stiamo andando «là dove tutti sono incamminati» (Gv 23,14), verso l’eternità. Le realtà terrene, gli affari temporali, la salute del corpo, le cose materiali ci schiavizzano, ci addormentano in un letargo spirituale che può essere fatale. Gesù ci ha raccomandato più volte nel Vangelo di farci trovare spiritualmente svegli e operosi per il Regno dei cieli: «Beati quei servi che il padrone al suo arrivo troverà desti!» (Lc 12,37).

Essere «desti», essere «pronti» significa soprattutto vivere sempre in grazia di Dio, evitando il peccato mortale o chiedendo immediatamente perdono e confessandosi al più presto se si ha la disgrazia di cadere. San Giovanni Bosco diceva ai suoi giovani di andarlo a svegliare anche alle due di notte per confessarsi subito quando cadevano in peccato mortale. Questa deve essere la prima e assoluta preoccupazione di ogni cristiano: in qualunque momento la morte arrivi con la sua inesorabile «falce» (Ap 14,14), mi deve trovare in grazia di Dio. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, la morte «per coloro che muoiono nella grazia di Cristo, è una partecipazione alla morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua Risurrezione» (n. 1006).

La grazia di Dio è come l’olio delle lampade nella parabola evangelica delle dieci vergini. Le cinque vergini prudenti, che avevano l’olio nelle lampade, entrarono con lo Sposo alle nozze; le cinque vergini stolte, invece, furono escluse dalle nozze perché avevano le lampade senza olio. «Non vi conosco» fu la parola terribile che il Signore disse loro (Mt 25,1-13). Pensiamo, invece, alla morte di san Benedetto. Quando sentì giunto il momento del passaggio all’altra vita, il santo Patriarca volle essere sostenuto in piedi da due monaci, e stava proprio così, con le braccia sollevate, nell’atto di «andare incontro allo Sposo» (Mt 25,6).

«…Nell’ora della nostra morte»

Dalla Madonna dobbiamo ottenere la grazia di una buona morte. Questa grazia è così importante che la Chiesa ce la fa chiedere ad ogni Ave Maria: «Prega per noi adesso e nell’ora della nostra morte». Beata la morte di chi ha amato Maria, di chi invoca Maria! Santa Maria Maddalena Sofia Barat diceva che «la morte di un vero devoto di Maria è il balzo di un bambino tra le braccia della Madre». E san Bonaventura ha scritto che morire «con la pia invocazione della Vergine è segno di salvezza».

Quando san Giovanni Bosco ebbe l’apparizione di san Domenico Savio morto qualche giorno prima, volle fargli questa domanda: -Dimmi, Domenico, quale fu la cosa più consolante per te in punto di morte?
– Don Bosco, indovini lei!
– Forse il pensiero di avere custodito bene il giglio della purezza? – No.
– Forse il pensiero delle penitenze fatte durante la vita? – Neppure questo.
– Allora sarà stata la coscienza tranquilla… da ogni peccato? – Questo pensiero mi giovò; ma la cosa più consolante per me nell’ora della morte fu il pensare che ero stato devoto della Madonna!… Lo dica ai suoi giovani e raccomandi con insistenza la devozione alla Madonna.

L’arte di morire

Viviamo in un’era tanatofobica. Del tutto disarmati, ormai, di fronte alla morte, preferiamo nasconderla, esorcizzarla, magari rinchiudendo o eliminando anche i sofferenti, perché ci fanno soffrire, perché ci ricordano che un giorno toccherà a noi. Come sarebbe bello, allora, passare attraverso quel momento terribile, che non capiamo più, senza accorgercene. Magari potessimo morire nel sonno!

Non era così nel solito “buio” Medioevo. Allora, morire era un’arte. In quel tempo, lo sappiamo, si viveva a contatto con la morte. Si poteva morire in ogni istante. Un uomo nel fiore degli anni poteva morire per una ferita, una donna per un parto andato a male. Per non parlare dei bambini, falciati da malattie, infezioni, incidenti domestici. La morte era nella vita di tutti i giorni: escluderla sarebbe stato tanto stupido quanto poco realistico.

La differenza sostanziale, ovviamente, è che un tempo si credeva in un Aldilà di premio o castigo e la morte era il «trapasso»: un vaglio attraverso cui si doveva passare e a cui ci si doveva preparare per evitare l’inferno. Oggi, invece, l’assurdità della morte non è che il coronamento dell’assurdità ultima della vita.

La «buona morte» cominciò ad assumere un ruolo di particolare rilevanza dopo la peste del 1348, non a caso chiamata «Morte nera», mentre era in corso, tra l’altro, la guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra. In tanti, in troppi se n’erano andati senza il conforto dei sacramenti, senza poter confessare i peccati, senza aver preso il Viatico.  Bisognava ricordare alla gente che era necessario vivere virtuosamente, poiché la morte poteva giungere all’improvviso. «A subitanea et improvisa morte libera nos, Domine», recitava l’antica litania. Guai a morire nel sonno, magari con peccati mortali sulla coscienza.

Per questo, man mano che la vita rifioriva, la Chiesa volle ricordare al popolo di Dio che non era il caso di darsi alla pazza gioia, ai piaceri sregolati: anche per chi se l’era cavata, la morte stava in agguato dietro l’angolo. È l’apogeo del «Memento mori» e delle danze macabre, dipinte, recitate, cantate: scheletri sogghignanti e corpi più o meno decomposti si assicuravano che nessuno mai dimenticasse. La paura fa novanta, ovviamente. D’altronde, poiché tutti sapevano come fare per guadagnarsi il Paradiso, non c’era che da rimboccarsi le maniche e lavorar sodo.

Non è esattamente questo il contesto in cui si sviluppò l’Ars Moriendi. Sebbene avesse lo stesso fine del «Memento mori», il messaggio che voleva dare andava addirittura in senso contrario: non era tesa a spaventare, bensì a dare speranza agli agonizzanti e alle loro famiglie, inclusi coloro che morivano senza il conforto degli ultimi sacramenti.

L’opera ci è giunta in due versioni principali, tra loro correlate: una più estesa, una più breve e corredata da undici/tredici illustrazioni. Il primo scritto sulla buona morte fu steso in latino ai primi del Quattrocento, probabilmente in ambito domenicano (forse prendendo spunto da un breve scritto di Jean Gerson), e subito diffuso, trascritto, sintetizzato in manoscritto. Con l’introduzione della stampa divenne un best seller mondiale: nel 1501, oltre ad aver dato il via a tutta una ricca letteratura sulla buona morte, l’opera aveva già avuto settanta edizioni in tutte le lingue europee, dal catalano all’olandese, con una tiratura complessiva di più di cinquantamila copie.

Di qualunque versione si tratti, l’Ars moriendi è un’opera semplice e divulgativa, tesa a dare ai comuni mortali armi sicure con cui affrontare il combattimento finale; i suoi consigli preziosissimi sarebbero per noi, se ci credessimo, un vaccino potentissimo contro la tanatofobia: una volta controllata la paura della morte, ovviamente, anche la vita ci sorriderebbe.

Gli ultimi istanti di vita, ci dicono gli anonimi autori, sono il momento più delicato e importante in assoluto, poiché in quella sede si gioca il destino ultimo, eterno, dell’anima. È  un libro per tutti, essi sottolineano, laici e consacrati, uomini e donne, ricchi e poveri, perché la morte di tutti i suoi figli è preziosa per Dio. Il messaggio è chiaro: non è mai troppo tardi per pentirsi. Se anche un peccatore incallito si convertirà anche solo un minuto prima di esalare l’ultimo respiro, sarà salvato. Certo: qualora il dolore per i peccati commessi non sia abbastanza grande, la sua anima andrà in purgatorio; ma, dopo la debita espiazione e purificazione, contemplerà infine il volto di Dio.

Se possibile, dunque, il momento della morte va preparato con estrema cura: idealmente, per tutta la vita. Un consiglio molto pratico è vivere ogni giorno in grazia di Dio, nel caso in cui la morte giunga all’improvviso. Ma che fare, sul letto di morte?

Prima di tutto, i congiunti devono comunicare al moribondo che sta per presentarsi al cospetto di Cristo: guai a loro se, “per non farlo spaventare”, gli diranno, mentendo, che ha davanti ancora molto tempo. Gli si deve dunque raccomandare, qualora sia ancora cosciente, di affidarsi alla misericordia divina, alla Passione di Cristo, all’intercessione della Vergine e di tutti i Santi, in particolare a San Michele, affinché tengano lontani i demoni tentatori che accorreranno nella speranza di aggiudicarsi la sua anima (le pittoresche illustrazioni, in cui il letto del moribondo è circondato da diavoli mostruosi e saltellanti, giocano un ruolo fondamentale). I demoni si possono tener lontani anche con l’acqua santa o suonando una campanella benedetta.

I congiunti dovranno ora aiutare il moribondo a superare alcuni ostacoli ben definiti, corrispondenti ad altrettante tentazioni demoniache. Il primo terribile attacco satanico è l’incredulità, peccato contro la fede: il ritenere che Dio non esista e morire nel terrore di andare verso il nulla. I parenti potranno recitare il Credo e parlargli della passione di Cristo.

La seconda tentazione in cui i diavoli vorranno indurre il poveretto è la disperazione della salvezza, peccato contro la speranza, che è poi anche il peccato di Giuda. Egli vedrà chiaramente la propria indegnità di comparire al cospetto di Dio, mentre tutti i peccati commessi, specialmente se inconfessati, graveranno su di lui. Come potrà Dio salvare un uomo tanto malvagio? Occorrerà allora ricordare al moribondo che, qualora ci sia qualcosa che non è riuscito a confessare, è sufficiente la contrizione del cuore. E che, come disse san Bernardo, la misericordia divina è più grande di ogni malvagità. Poi gli si mostrerà il Crocifisso, ricordandogli che Cristo è morto anche per lui, perché non ha avuto orrore di addossarsi anche i suoi peccati.

La terza tentazione è l’impazienza nella sofferenza, cioè la non accettazione della propria agonia e dei dolori che essa comporta. È questo un peccato contro la carità, giacché la carità è amare Dio sopra ogni cosa. Bisognerà allora fortificare il moribondo nella pazienza, cioè nella capacità di sopportare le sofferenze. Da qui, sarebbe auspicabile un ulteriore passo avanti: si incoraggi il moribondo ad acquisire un ruolo attivo nella sofferenza, ad accettarla di buon grado, esserne addirittura felice e utilizzarla così come strumento di salvezza, per i propri peccati e per quelli altrui. Chi soffre molto nell’agonia sconta già, almeno in parte, le pene del purgatorio.

La quarta tentazione è più sottile e subentra quando, specialmente se è un religioso, il moribondo sia riuscito a sfuggire senza grande fatica alle prime tre tentazioni. I demoni allora lo blandiranno e gli faranno notare quanto è stato bravo, quanto è virtuoso. Tanto virtuoso, di fatto, che si salverà da solo. È questo il peccato di superbia, che presume di salvarsi senza la Grazia di Dio e senza i meriti infiniti di Cristo. Sarà allora necessario ricordargli che è un peccatore come tutti gli altri e che nessuno si salva da solo.

L’ultima tentazione è l’avarizia, cioè l’attaccamento smodato ai beni o alle persone di questo mondo. Occorre pregare molto insieme al moribondo e incoraggiarlo ad accettare con gioia la volontà di Dio, spingendolo a guardare avanti, non indietro.

Se riesce, il moribondo dovrà pregare così: «La morte di nostro Signore Gesù Cristo io pongo tra me e i miei peccati». Nel frattempo, poiché la campana della chiesa suona a morto, l’intera comunità può pregare per la salvezza della sua anima e, anzi, precipitarsi al suo capezzale. Proprio così: gli autori specificano che è questa una delle due uniche occasioni in cui anche ai religiosi è permesso di correre (l’altra è in caso di incendio).

All’avvicinarsi del momento estremo, gli si offra un Crocifisso o un’altra immagine sacra da baciare. Nelle bellissime immagini di cui il libro è spesso corredato, la morte ricorda il momento del parto: l’anima, come un neonato, esce dalla bocca del moribondo e finisce direttamente tra le braccia di un angelo, che sta lì pronto, come una brava levatrice. Tutto intorno, Gesù, Maria e i Santi assistono felici alla scena, mentre i diavoli stramazzano a terra sconfitti.

A morte avvenuta, preghiere e Messe di suffragio potranno ancora essere di grande aiuto al caro estinto: anche per i peccatori incalliti, apparentemente morti impenitenti, non si può mai dire con assoluta certezza che non siano riusciti a guadagnarsi un angolino in purgatorio all’ultimissimo secondo. Magari ci staranno centomila anni; poi, però, avranno accesso al Paradiso.

L’arte di morire rimase un best seller per tutto il Cinquecento, nei Paesi che si salvarono dallo scisma protestante. Né la gente si stancò mai di essere istruita sull’argomento. Le varie versioni dell’Ars moriendi medievale ispirarono, tra innumerevoli opere minori, prima il De preparatione ad mortem di Erasmo (1534), poi il De arte bene moriendi del Cardinal Bellarmino (1621), infine l’Apparecchio alla morte di sant’Alfonso dei Liguori (1758).

È ai tempi nostri che le opere di preparazione alla morte hanno perso ogni interesse per i fedeli. Noi, a volte, nemmeno mandiamo a chiamare il sacerdote perché il moribondo, con tutto quello che deve già soffrire, si spaventerebbe. Così il povero malato, che ha invariabilmente capito benissimo che sta per morire, non ha nessuno con cui confidarsi, dato che i parenti continuano a negare. Egli non ne parla per non addolorare loro, essi non ne parlano per non far preoccupare lui. In questa congiura del silenzio, il malato si trova totalmente solo, oltre che disarmato, davanti al terrore più totalizzante di tutta la sua vita.

Viene in mente Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1932), il cui sistema totalitario e progressivo ha apparentemente risolto anche questo problema. Demolita la famiglia, nessuno piange più i propri cari e, anzi, frotte di bambini curiosi vengono condotti a vedere gli agonizzanti, che, persi in un universo parallelo di musica e droga, spirano dolcemente, senza paura e senza accorgersene, mentre i piccoli assistono alla dipartita di tutti quei perfetti sconosciuti facendo domande sciocche e mangiando dolciumi. I “cari estinti”, in realtà non più cari a nessuno, vengono poi portati al forno crematorio da altrettanti velivoli dai colori vivaci e fine della storia. Nessun lamento, nessun pianto, nessuna cerimonia, solo calma e filosofica rassegnazione.  Un altro tassello, nel quadro inquietante del romanzo, che lo rende fin troppo reale, soprattutto considerando che l’autore proveniva da una nota famiglia di medici e scienziati evoluzionisti e massoni, votati, ovviamente, al miglioramento dell’umanità. Non a caso il fratello di Huxley, Julian, eugenista, internazionalista, sostenitore del controllo selettivo delle nascite e vincitore del premio Darwin, fu uno dei fondatori sia dell’Unesco che del WWF. Il contenuto del romanzo è forse ispirato a chiacchiere che lo scrittore sentiva in famiglia? Chiacchiere che, forse, in quel momento, non gli piacevano (sull’uso di stupefacenti, per esempio, fece poi una decisa inversione di marcia); ma certo Huxley sapeva già dove il nuovo ordine mondiale ci avrebbe portato. È questo il mondo che ci aspetta? Altro che distopia.

Sant’ Alfonso Maria de Liguori:

Avvertimenti necessari per salvarsi

“Dio è giusto: punisce chi fa male e premia chi fa bene: manda all’ inferno chi muore in peccato mortale, e dà il paradiso a chi muore in Grazia sua”

Cristiano mio, impara bene a memoria questi misteri della tua santa fede, e le cose necessarie per ben confessarti e comunicarti. E dopo averle imparate bene, contale in casa tua ed insegnale agli altri. Così darai gran gusto a Gesù Cristo; e tu con poca fatica partecipi e guadagni di tutto il bene che altri poi fanno per mezzo tuo.

Per salvarti non basta essere cristiano per mezzo del battesimo che hai ricevuto; ma bisogna che sappi i misteri della fede, che osservi la legge di Dio e i precetti della chiesa, e che riceva bene i ss. sagramenti.

I. Hai da credere che vi sia un solo Dio e che Dio è onnipotente: cioè, ha creato il cielo, la terra, gli angioli, gli uomini, te, tutte le cose. Dio è immenso: cioè sta in cielo, in terra, e in ogni luogo. Dio è giusto: punisce chi fa male e premia chi fa bene: manda all’inferno chi muore in peccato mortale, e dà il paradiso a chi muore in grazia sua.

Hai da credere nella ss. Trinità: cioè che quest’essere di Dio infinito, eterno, onnipotente, immenso, giusto, si trova in tre persone divine, che si chiamano Padre, Figliuolo, e Spirito santo, tre persone e un solo Dio. Hai da credere che il Figliuolo di Dio, cioè la seconda persona della ss. Trinità, si è fatt’uomo nel ventre purissimo di Maria Vergine per opera dello Spirito santo, è nato bambinello in una stalla, e morto in croce per salvare le anime nostre, e si chiama Gesù Cristo, vero Dio, e vero uomo. Il quale, dopo morto il terzo giorno è risuscitato, poi ascese al cielo e siede alla destra del Padre: e nel giorno del giudizio universale ha da venire a giudicare tutto il mondo: e manda all’inferno in anima e corpo chi è morto in peccato mortale: e porta in paradiso in anima e corpo chi è morto in grazia sua. Hai da credere che Gesù Cristo ha istituiti i ss. sagramenti, per mezzo de’ quali ci perdona i peccati, e ci santifica le anime: applicandoci i suoi meriti, e l’efficacia del suo prezioso sangue.

E tutte queste cose di fede le hai da credere fermamente, non perché te le insegna il sacerdote, ma perché Gesù Cristo le ha insegnate alla chiesa, e poi la santa chiesa le insegna a noi. E questa santa chiesa è il papa che insegna a tutti i fedeli: o i sagri pastori col papa lor capo.

II. Hai da sperare il perdono de’ tuoi peccati, la grazia di Dio, la buona morte e la gloria del paradiso. E questa speranza si fonda nelle promesse di Dio nel sangue di Gesù Cristo, e nella divina misericordia infinita. Ma avverti che per salvarti, non basta solo sperare, bisogna insieme vivere da cristiano, e sperare nel tuo Dio.

III. Hai da amare il Dio tuo, il padre tuo, il creator tuo, il redentor tuo, Gesù Cristo, sopra tutte le cose, e il prossimo come te stesso. E devi amare Dio perché è degno d’essere amato: e il prossimo tuo (cioè tutte le genti del mondo), perché Dio vuole che lo ami: ti sia amico o nemico, conoscente o non conoscente; si deve amare per amore e per ordine di Dio. I precetti della legge di Dio sono dieci: ma si riducono a questi due. Amare Dio sopra ogni cosa: cioè stimar più l’onor di Dio, la legge di Dio, la volontà di Dio, che le ricchezze, i parenti, gli onori, la stessa vita tua. E il prossimo come te stesso: cioè: Quel male che non vuoi per te, non fare ad altri; quel bene che vuoi per te, desidera e fa ad altri. Tratta gli altri come vuoi essere tu trattato da loro e da Dio. Se ciò fai, ti salverai.

Ricordati, e di’: Io credo le cose di Dio perché me le ha insegnate la s. chiesa. Io spero ogni bene perché Dio me l’ha promesso. Io amo Dio, perché Dio è degno d’essere amato.

IV. Di più ti devi confessar bene: perché se muori in peccato mortale, vai all’inferno. E la chiesa ti comanda di confessarti almeno una volta l’anno, da che entri nell’uso della ragione, dai sette anni. Per confessarti devi sapere che la confessione è uno de’ sette sagramenti istituiti da Gesù Cristo: per mezzo del quale, coll’assoluzione del confessore, Gesù Cristo applicando alle anime il suo prezioso sangue, perdona tutti i peccati a chi si confessa bene. E per confessarti bene.

1. Devi pensare tutti i peccati di pensieri, parole, opere, e omissioni che hai commessi dall’ultima confessione da te ben fatta.

2. Prima di confessarti devi pentirti con tutto il cuore di tutti i peccati commessi: deve dispiacerti il peccato sommamente, più d’ogni male: o perché t’ hai meritato l’inferno, o perché t’ hai perduto il paradiso: o meglio, perché hai offeso il tuo Dio, sommo bene, bontà infinita, degno d’essere amato.

3. Devi promettere a Dio, di non commettere più peccato mortale, e più tosto morire che offenderlo: e devi fuggire le occasioni, che ti fanno spesso cadere in peccato.

4. Devi dire tutti i peccati che ti ricordi al confessore; di pensieri, di parole e d’opere, e quante volte hai commesso quei peccati mortali: e se ne lasci anche uno solo volontariamente, per malizia, per vergogna o rossore, la confessione non è buona, Dio non ti perdona nessun peccato, commetti un sacrilegio, e sei più maledetto e più nemico di Dio, che non eri prima di confessarti. O quante anime poverelle, per timore e vergogna lasciano di dire i brutti peccati al confessore, commettono i sacrilegi, e vanno dannate!

5. Devi fare la penitenza che ti dà il confessore, subito che puoi: e farla bene.

V. Devi ancora comunicarti. E per comunicarti bene, devi sapere:

1. Che la comunione è uno de’ sette sagramenti istituiti da Gesù Cristo.

2. Che Gesù Cristo, vero Dio, e vero uomo, si trova in anima, corpo, e divinità nell’ostia consegrata ed in ogni particella di quella.

3. Che quando ti comunichi devi stare in grazia di Dio, levando il peccato mortale dall’anima con una buona confessione.

(Sant’Alfonso Maria de Liguori da  “Breve dottrina cristiana”)

Iddio vuole salvi tutti: Omnes homines vult salvos fieri. 1 Tim. 2. 4. E vuol dare a tutti l’aiuto necessario per salvarsi; ma non lo concede se non a coloro che lo dimandano, come scrive S. Agostino: Non dat nisi petentibus. In Psalm. 100. Ond’è sentenza comune de’ Teologi e Santi Padri, che la Preghiera agli Adulti è necessaria di necessità di mezzo, viene a dire, che chi non prega, e trascura di dimandare a Dio gli aiuti opportuni per vincere le tentazioni, e conservare la grazia ricevuta, non può salvarsi.

Il Signore all’incontro non può lasciare di conceder le grazie a chi le dimanda, perché l’ha promesso. Clama ad me, et exaudiam te. Jer. 33. 3. Ricorri a me, ed Io non mancherò di esaudirti. Quodcunque volueritis, petetis, et fiet vobis. Jo. 15. 7. Dimandate da Me quel che volete, e tutto otterrete. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7. Dimandate e vi sarà dato. Queste promesse non però non s’intendono fatte per beni temporali, perché questi Iddio non li dà, se non quando sono per giovare all’Anima; ma per le grazie spirituali le ha promesse assolutamente ad ognuno, che ce le dimanda; ed avendocele promesse, è obbligato a darcele: Promittendo debitorem Se fecit, dice S. Agostino. De Verb. Dom. Serm. 2

Bisogna poi avvertire, che Dio ha promesso di esaudir la Preghiera, ma a riguardo nostro è precetto grave il pregare. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7Oportet semper orare. Luc. 18. 1. Queste parole petite, oportet, come insegna S. Tommaso (3. p. q. 39. a. 5.) importano precetto grave, che obbliga per tutta la vita, e specialmente quando l’Uomo si vede in pericolo di morte, o di cadere in peccato; perché allora, se non ricorre a Dio, certamente resterà vinto. E chi trovasi già caduto in disgrazia di Dio, esso commette nuovo peccato, se non ricorre a Dio per aiuto ad uscire dal suo miserabile stato. Ma Dio potrà esaudirlo, vedendolo fatto suo nemico? Si, ben l’esaudisce, quando il peccatore umiliato lo prega di cuore a perdonarlo; poiché sta scritto nel Vangelo: Omnis enim qui petit, accipit. Luc. 11. 10. Dicesi omnis, ognuno sia giusto, sia peccatore, quando prega, Dio ha promesso di esaudirlo. In altro luogo dice Dio: Invoca me, et eruam te. Psalm. 49. 15. Chiamami, ed Io ti libererò dall’Inferno, ove stai condannato.

No, che non vi sarà scusa nel giorno del Giudizio, per chi muore in peccato. Né gli gioverà dire, ch’egli non avea forza di resistere alla tentazione, che lo molestava; perché Gesù Cristo gli risponderà: se tu non l’avevi questa forza, perché non l’hai domandata, ch’Io ben te l’avrei data? E se già eri caduto in peccato, perché non sei ricorso a Me, ch’Io te ne avrei liberato?

Pertanto, Lettor mio, se vuoi salvarti, e mantenerti in grazia di Dio, bisogna, che spesso lo preghi a tenerti le mani sopra. Dichiarò il Concilio di Trento (Sess. 6. cap. 13. can. 22.) che a perseverare l’Uomo in grazia di Dio, non basta l’aiuto generale che Egli dona a Tutti, ma vi bisogna un aiuto speciale, il quale non si ottiene se non colla Preghiera. Perciò dicono tutti i Dottori, che ciascuno è tenuto sotto colpa grave a raccomandarsi spesso a Dio con domandargli la santa perseveranza, almeno una volta il mese. E chi si trova in mezzo a più occasioni pericolose, è obbligato a domandare più spesso la grazia della perseveranza.

Molto giova poi per ottenere questa grazia il mantenere una divozione particolare alla Madre di Dio, che si chiama la Madre della Perseveranza. Chi non si raccomanda alla Beata Vergine, difficilmente avrà la perseveranza; mentre dice S. Bernardo, che tutte le grazie divine, e specialmente questa della perseveranza, ch’è la maggiore di tutte, vengono a noi per mezzo di Maria.

Oh volesse Dio, ed i Predicatori fossero più attenti ad insinuare ai loro Uditori questo gran mezzo della Preghiera! Alcuni in tutto il lor Quaresimale appena la nomineranno una o due volte, e quasi di passaggio; quando dovrebbero parlarne di proposito più volte, e quasi in ogni Predica; gran conto dovran renderne a Dio, se trascurano di farlo E così anche molti Confessori attendono solo al proposito de’ Penitenti di non offender più Dio; e poco si prendono fastidio d’insinuar loro la preghiera, per quando saran tentati di nuovo a cadere;

ma bisogna persuadersi, che quando la tentazione è forte, se il Penitente non domanda aiuto a Dio per resistere, poco gli serviranno tutti i propositi fatti, la sola preghiera può salvarlo. È certo che chi prega, si salva, chi non prega, si danna.

E perciò, Lettor mio, replico, se vuoi salvarti, prega continuamente il Signore, che ti dia luce e forza di non cadere in peccato. In ciò bisogna essere importuno con Dio, in domandargli questa grazia. Haec importunitas (dice S. Girolamo) apud Dominum opportuna est. Ogni mattina non lasciar di pregarlo a liberarti da’ peccati di quel giorno. E quando si affaccia alla mente qualche mal pensiero, o qualche cattiva occasione, subito, senza metterti a discorrere colla tentazione, subito ricorri a Gesù Cristo, e alla Santa Vergine, dicendo: Gesù mio aiutami, Maria SS. soccorrimi. Basta allora nominare Gesù e Maria, per svanir la tentazione; ma se la tentazione persiste, seguita ad invocare Gesù e Maria per aiuto, che non resterai mai vinto.

(Sant’Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa, da “Avvertimenti necessari ad ogni persona di qualunque stato per salvarsi”)

Vedi anche:

San Roberto Bellarmino e l’arte di ben morire

Sant’Alfonso Maria dei Liguori: Apparecchio alla morte

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Pubblicato da gianluca05

Pace: l’altra condizione della Madonna di Julio Loredo Da quando Papa Francesco ha annunciato che consacrerà la Russia (e l’Ucraina) al Cuore Immacolato di Maria, insieme a tutti i vescovi del mondo – ai quali ha rivolto un preciso appello in questo senso – tutto il mondo cattolico vive nell’attesa di questo storico evento. C’è chi, mosso da spirito pio, vede nel gesto pontificio una soluzione definitiva che metterà fine alla guerra, porterà alla conversione della Russia e al risanamento morale del mondo moderno. Altri, invece, mossi da spirito critico, vi segnalano possibili omissioni e contraddizioni. In ogni caso, bisogna rimarcare come l’annuncio di Papa Francesco – mettendo Fatima al centro degli avvenimenti contemporanei – abbia toccato una fibra profonda nell’opinione pubblica mondiale. L’atto di Francesco si collega a una precisa richiesta fatta dalla Madonna a Fatima nel 1917. Parlando ai pastorelli, la Madonna volle parlare al mondo intero, esortando tutti gli uomini alla preghiera, alla penitenza, all’emendazione della vita. In modo speciale, Ella parlò al Papa e alla sacra Gerarchia, chiedendo loro la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato. Queste richieste, la Madre di Dio le fece di fronte alla situazione religiosa in cui si trovava il mondo intero all’epoca delle apparizioni. La Madonna indicò tale situazione come estremamente pericolosa. L’empietà e l’impurità avevano a tale punto preso possesso della terra, che per punire gli uomini sarebbe esplosa quella autentica ecatombe che fu la Grande Guerra 1914-1918. Questa conflagrazione sarebbe terminata rapidamente, e i peccatori avrebbero avuto il tempo di emendarsi, secondo il richiamo fatto a Fatima. Se questo richiamo fosse stato ascoltato, l’umanità avrebbe conosciuto la pace. Nel caso non fosse stato ascoltato, sarebbe venuta un’altra guerra ancora più terribile. E, nel caso che il mondo fosse rimasto sordo alla voce della sua Regina, una suprema ecatombe, di origine ideologica e di portata universale, implicante una grave persecuzione religiosa, avrebbe afflitto tutti gli uomini, portando con sé grandi prove per i cattolici: “La Russia diffonderà i suoi errori nel mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa (...) I buoni saranno martirizzati. Il Santo Padre dovrà soffrire molto”. “Per impedire tutto questo – continua la Madonna – verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se accetteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace”. Dopo un periodo di estrema tribolazione e di terribili castighi “come non si sono mai visti” (santa Giacinta di Fatima), la Madonna promette il trionfo finale: “Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace”. Ancor oggi gli esperti discutono sulla validità o meno delle varie consacrazioni fatte da Pio XII e da Giovanni Paolo II. La Madonna aveva posto tre condizioni: che la consacrazione fosse fatta dal Sommo Pontefice, che menzionasse la Russia, e che fosse fatta in unione con tutti i vescovi del mondo. In un modo o nell’altro, a tutte le consacrazioni – 1942, 1952, 1982, 1984 – mancava almeno una di delle condizioni. Dopo aver affermato perentoriamente che la consacrazione del 1984, fatta da Giovanni Paolo II, non era valida, la veggente suor Lucia aveva cambiato opinione, attestando invece la sua conformità a quanto richiesto dalla Madonna. Questa è la posizione più diffusa negli ambienti della Chiesa e fra i fedeli in generale. Non vogliamo entrare in un tema tanto complesso. Facciamo però notare che, alla Cova da Iria, la Madonna indicò due condizioni, entrambe indispensabili, perché si allontanassero i castighi con cui ci minacciava. Una di queste condizioni era la consacrazione. Supponiamo che sia stata fatta nel modo richiesto dalla santissima Vergine. Rimane la seconda condizione: la divulgazione della pratica della comunione riparatrice dei primi cinque sabati del mese. Ci sembra evidente che questa devozione non si è propagata fino a oggi nel mondo cattolico nella misura desiderata dalla Madre di Dio. E vi è ancora un’altra condizione, implicita nel messaggio ma anch’essa indispensabile: è la vittoria del mondo sulle mille forme di empietà e di impurità che oggi, molto più che nel 1917, lo stanno dominando. Tutto indica che questa vittoria non è stata ottenuta, e, al contrario, che in questa materia ci avviciniamo sempre più al parossismo. Così, un mutamento di indirizzo dell’umanità sta diventando sempre più improbabile. E, nella misura in cui avanziamo verso questo parossismo, diventa più probabile che avanziamo verso la realizzazione dei castighi. A questo punto bisogna fare una osservazione, e cioè che, se non si vedessero le cose in questo modo, il messaggio di Fatima sarebbe assurdo. Infatti, se la Madonna affermò nel 1917 che i peccati del mondo erano giunti a un tale livello da richiedere il castigo di Dio, non parrebbe logico che questi peccati siano continuati ad aumentare per più di mezzo secolo, che il mondo si sia rifiutato ostinatamente e fino alla fine di prestare ascolto a quanto gli fu detto a Fatima, e che il castigo non arrivi. Sarebbe come se Ninive non avesse fatto penitenza e, nonostante tutto, le minacce del profeta non si fossero realizzate. Per di più, la stessa consacrazione richiesta dalla Madonna non avrebbe l’effetto di allontanare il castigo se il genere umano dovesse restare sempre più attaccato alla empietà e al peccato. Infatti, fintanto che le cose staranno così, la consacrazione avrà qualcosa di incompleto. Insomma, siccome non si è operato nel mondo l’enorme trasformazione spirituale richiesta alla Cova da Iria, stiamo sempre più avanzando verso l’abisso. E, nella misura in cui avanziamo, tale trasformazione sta diventando sempre più improbabile. Applaudiamo l’atto di Papa Francesco e ci sommiamo toto corde a esso se seguirà i requisiti posti dalla Madonna a Fatima. Tuttavia, finché a questo atto non seguirà una vera e propria crociata spirituale contro l’immoralità dilagante – aborto, omosessualità, LGBT, mode indecenti, pornografia, gender e via dicendo – la semplice consacrazione della Russia – per quanto gradita alla Divina Provvidenza – non allontanerà il castigo. Mi sia permesso di sollevare un’altra perplessità, e non di piccolo peso. A Fatima la Madonna indicò, come l’elemento allora più dinamico del processo rivoluzionario che portava l’umanità verso l’abisso, gli “errori della Russia”, ossia il comunismo, che proprio nell’Unione Sovietica trovò la sua sede e fuoco di espansione. Non ci sarà una vera conversione finché questa ideologia non sarà rigettata in ogni sua manifestazione. Ora, proprio in questo campo il pontificato di Papa Francesco si è contraddistinto per la sua prossimità all’estrema sinistra: dalla vicinanza alla dittatura cubana, al sostegno ai “movimenti popolari” latinoamericani di matrice marxista, senza dimenticare i contatti col patriarca Kiryll, che della dittatura sovietica fu fedele servitore e propagandista. Anche qui, salvo miglior giudizio, ci sembra che, finché all’atto di venerdì a San Pietro non seguirà una vera e propria crociata spirituale contro il comunismo e i suoi epigoni, la sola consacrazione della Russia non fungerà da toccasana per risparmiare una catastrofe alla civiltà contemporanea. Fonte: TFP - Tradizione Famiglia Proprietà -