Infine, Il Mio Cuore Immacolato Trionferà!

1L’Angelo precursore delle apparizioni della Madonna a Fatima

Le apparizioni del 1917 di Maria SS. a Fatima furono precedute dalle apparizioni dell’Angelo del Portogallo (o della Pace) ai tre pastorelli Lucia, Giacinta e Francesco
Precursore di eventi più grandi, Egli preparò le anime dei veggenti a meglio comprendere, vivere e diffondere il messaggio della Madonna, il suo accorato appello alla preghiera e alla penitenza. 
Ma soprattutto ribadì con forza la bimillenaria fede della Chiesa cattolica nella Presenza REALE di Nostro Signore Gesù Cristo nella SS. Eucaristia con il suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità.

Prima Apparizione dell’Angelo di Fatima: primavera del 1916: Loca do Cabeço

Lucia, Giacinta e Francesco stavano cercando un rifugio dentro una piccola grotta nel pendio orientale della Loca do Cabeço. Mangiarono un poco e in seguito recitarono il rosario, il quale abbreviarono in modo molto ingegnoso, recitando invece dell’orazione completa solo le parole “Dio ti salvi Maria” e “Santa Maria” per poter giocare prima. Allora apparve loro, venendo da oriente sopra il piccolo pendio, “una luce più bianca della neve e dentro la figura di un giovane, completamente trasparente alla luce e più brillante di un cristallo nel quale si riflettevano i raggi del sole. Quando questi si avvicinò, potemmo vedere meglio e nitidamente i suoi lineamenti. Restammo meravigliati e totalmente commossi e toccati da questo”. Questa descrizione di Lucia riguardante l’Angelo e la sua apparizione è totalmente biblica. Pensiamo ad esempio all’Angelo della Resurrezione: “Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un Angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo … 

…  aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve.” (Mt 28, 2-4). In forma simile San Giovanni ci parla di un Angelo, il cui volto era luminoso come il sole (Cfr. Ap 10, 1). Quando le donne arrivarono al sepolcro ed entrarono, “videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto” (Mc 16, 5-6).

San Marco ci racconta che fuggirono spaventate tremando. “Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura” (Mc 16,8). Così come l’Angelo della Resurrezione desidera liberare le donne dalla paura, anche San Gabriele, molto tempo prima, tranquillizzava sia il profeta Daniele (Dn 9, 21s) che  Maria nell’Annunciazione. Anche l’Angelo di Fatima tranquillizza i tre ragazzi con le parole: “Non temete! Sono l’Angelo della pace; pregate con me!”.

Su queste parole possiamo fare almeno tre importanti riflessioni esistenziali:

“Non temete!”

Quelli che temono Dio non necessitano tuttavia di temere gli Angeli di Dio, perché una tale apparizione non poteva infondere il timore di Dio, poiché l’Angelo è pieno della gloria di Dio, che sta rivelando. Così lo abbiamo visto nel profeta Daniele: “Egli venne dove io ero e quando giunse, io ebbi paura e caddi con la faccia a terra. Egli mi disse: “Figlio dell’uomo, comprendi bene, questa visione riguarda il tempo della fine” (Dn 8, 17). Questo non lo sperimentò soltanto Daniele, bensì molti altri profeti e santi, come possiamo leggere nella Sacra Scrittura. Citiamo qui San Giovanni che cadde due volte davanti ai piedi dell’Angelo, perché era così brillante e bello, le sue parole così divine, che Giovanni si sentiva alla presenza del Signore stesso. Giovanni ci parla espressamente di questo “errore” per confermare la verità della sua rivelazione, poiché solo il santo Angelo può stare intimamente unito a nostro Signore. Qui incontriamo la grazia della presenza divina, che il maligno non può ottenere, neanche sotto l’aspetto di “Angelo della luce” (cf 2 Cor 11, 14).

I ragazzini rimasero così sorpresi di questa presenza del divino dentro e attraverso l’Angelo, che Lucia scrive più tardi: “La presenza del soprannaturale che ci circondava, era così forte che per tanto tempo ci dimenticammo di noi stessi… la presenza di Dio divenne palpabile, così forte e personale, che non pensammo di parlarne fra noi stessi. Tuttavia il giorno dopo eravamo sommersi di questa presenza soprannaturale. Questa grazia si ripeté anche nelle ultime rivelazioni dell’Angelo, che provocò anche un moto maggiore di grazia e di amore”.

Lucia ricorda anche: “La forza della presenza di Dio era così forte che ci avvolgeva totalmente e quasi ci annientava. Ci sembrava che mancasse anche l’uso dei nostri sensi per un grande intervallo di tempo. In quei giorni facevamo tutto come sotto gli impulsi di questo essere soprannaturale che ci muoveva. La pace che sentivamo era molto grande, però totalmente interiore. Le nostre anime erano completamente sommerse in Dio”.

Lucia dice anche che dopo il primo incontro con l’Angelo: “non ci venne in mente di parlare di questa apparizione. Nemmeno pensammo di tacere su questo”. La comunicazione dell’Angelo si dà attraverso la luce dei doni dello Spirito Santo, di modo che l’anima riceve una conoscenza divina nel profondo dell’anima, in un luogo dove non ci sono parole. L’anima capisce, però non riesce ad esprimerlo. L’Angelo non comunicò ai ragazzi solamente con le parole, ma comunicò loro anche le grazie spirituali nella profondità dell’anima.

“Sono l’Angelo della pace”

Il papa Gregorio Magno ci insegna che i nomi degli Angeli non si riferiscono alla loro essenza, ma sopratutto alla loro missione e al servizio che prestano all’umanità. Per questo Michele significa: “Chi come Dio”, perché il suo compito è quello di insegnare l’umiltà della fede. Raffaele significa: “Medicina di Dio” perché fu inviato a curare la cecità di Tobia e a liberare Sara dagli impeti dello spirito maligno Asmodeo. Però qui si tratta dell’Angelo della pace. La sua missione allora è quella di guidare gli uomini verso la pace e consideriamo  che le sue armi sono la preghiera e il sacrificio e che le file delle anime combattute stanno dietro a questo Angelo. La pace delle nazioni è un dono di Dio: la pace nel cuore viene dalla sottomissione amorevole a Dio; e la pace in Dio viene dall’unione con Lui.

“Pregate con me”

Non sarà difficile per noi capire quale sarà il profitto che possiamo ottenere dall’aiuto del santo Angelo nella nostra preghiera.  Nell’Antico Testamento Raffaele comunicò a Tobia: “Quando tu e Sara pregavate, ero io che mi presentavo e leggevo davanti alla gloria del Signore il memoriale delle vostre suppliche” (Tb 12, 12). Quando l’Angelo pregò per la pace in Gerusalemme, in Signore rispose con parole amabili, parole piene di consolazione (Za 1, 13). Il fatto che l’Angelo con la sua preghiera interceda per noi non lo possiamo comprendere tanto facilmente. Però del fatto che lo faccia, lo possiamo vedere anche nel santo sacrificio della messa, quando il sacerdote prega: “che questa offerta sia elevata alla tua presenza, fino all’altare del cielo, dalle mani del tuo Angelo”. San Tommaso d’Aquino attribuisce al santo Angelo una forza speciale di intercessione, più grande di quella del sacerdote e del popolo verso di Dio. Scrive: “Il santo Angelo, presente nel mistero divino, solleva le orazioni del sacerdote e del popolo verso Dio come si dice anche in Ap 8, 4: “dalla mano dell’Angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le preghiere dei santi”. (Somma teologica III, 83, 4, 9). Nello stesso documento dice: “La Santa Messa è chiamata così per questa ragione (“messa” viene dal verbo mittere e significa inviare, mandare) “perché il sacerdote invia le sue preghiere per mezzo dell’Angelo a Dio, come il popolo invia le sue orazioni a Dio attraverso il sacerdote”.

Certamente la forza e la purezza delle preghiere degli Angeli, nonostante la loro natura e grazia angelica, sono molto inferiori a quelle di Dio. Però nella storia della salvezza si realizza subito l’imprevisto: Dio stesso si fa un uomo, il Figlio si converte in Sommo ed Eterno Sacerdote ed intercede come portavoce delle sue creature per mezzo delle sue preghiere. In tal modo Cristo ci innestò nel suo sacrificio di lode, infinitamente gradito a Dio Padre. Così Dio, come conseguenza, scelse in primo luogo l’uomo, però a causa dell’uomo unì gli Angeli a questo e alla fine unirà tutto in Cristo, ciò che sta nei cieli e sulla terra (cf Ef 1, 10). Per amore di Cristo e dei suoi membri del corpo mistico gli Angeli desiderano assisterci nella preghiera e nell’adorazione. Per questo i fedeli ortodossi cantano nella messa bizantina: “Maestro, Signore nostro Dio che ordinasti la gerarchia celeste e le dominazioni degli Angeli e ArcAngeli per la tua lode, fa che nella nostra entrata restiamo insieme agli Angeli per celebrare con loro la Liturgia e la Gloria della tua Bontà”. Più in fondo la stessa preghiera dice: “Adesso si uniscono a noi le Potestà spirituali nell’adorazione”. Noi stessi chiediamo nella celebrazione del rito romano: “che gli Angeli offrano a Cristo la loro preghiera di adorazione, quelli che stanno sempre vivendo in Tua presenza. Anche le nostre voci sono unite a loro nella lode trionfante di tre volte ‘ Santo’. L’orazione della Chiesa è perfetta solo quando nella Santa Messa Angelo e uomo sono uniti in Cristo nella lode alla Santissima Trinità.

SECONDA APPARIZIONE 

Nella sua seconda apparizione a Lucia, Giacinta e Francesco, l’Angelo del Portogallo insegnò ai ragazzi come dovevano adorare Dio, con santa riverenza e come fare  l’intercessione per i peccatori. I tre pastorelli si  dimostrarono  alunni docili nella preghiera, perché molto decisi nella crescita in santità, senza avere un contatto immediato con l’Angelo per un grande periodo di tempo. In relazione alla vita spirituale potremmo dire che tutte le anime in cerca di santità devono passare prima per il deserto dell’oscurità e della aridità, prima di poter arrivare all’oasi delle grazie divine. I propositi che si fanno al mattino e non durano fino alla sera non possono essere materia di formazione dei santi. I tre pastorelli dimostrarono per la loro fedeltà di essere degni di un aiuto continuo dell’Angelo. Questo aiuto arrivò mesi dopo, nell’estate. Poiché le temperature facilmente potevano salire oltre i 30 gradi, era abitudine che i pastori portassero le loro pecore a pascolare di mattina, per ritornare nel … 

…  loro spalle prima di mezzogiorno. Così i bambini potevano giocare dopo aver pranzato, per qualche tempo, vicino al pozzo, dietro la casa di Lucia. “All’improvviso vedemmo l’Angelo proprio al nostro fianco”. Come sarebbe differente il nostro comportamento se continuamente potessimo vedere l’Angelo custode al nostro fianco! E questa conoscenza dovrebbe portare la nostra vita a una conversione. Camminare alla presenza di Dio come ci insegna il fondatore dei redentoristi sant’Alfonso Maria de Liguori, è il fondamento della vita spirituale. Dio è presente nell’Angelo in modo speciale, perché Lui stesso dice: “Il mio nome è in lui”. La missione dell’Angelo è di portarci al luogo che Dio ci ha preparato (cf Es 23, 20). Per compiere questo lavoro, egli ci deve guidare alla presenza di Dio.

L’Angelo domandò ai ragazzi: “Che cosa fate?”, non perché non lo sapesse, bensì per mostrare loro chiaramente l’abisso che esiste fra lo spirito del mondo e lo spirito della fede, e per mostrarci come lasciamo passare il tempo distrattamente, e tutta la nostra vita con cose superficiali. I giochi dei bambini di quel tempo erano un passatempo innocente, e non come i ragazzi di oggi che con i programmi della televisione o la visione di internet avvelenano le loro anime con pornografia e violenza. Oh sì l’Angelo potrebbe strapparli all’offuscamento della televisione e di internet con le sue energiche parole: “Cosa fate?”. L’Angelo non soltanto vede ciò che fanno – e cosa facciamo noi; egli vede anche la situazione orribile di tutto il mondo, dove quotidianamente muoiono migliaia di uomini. Come sono poco preparati per il giudizio! “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa” (Mt 7, 13).

Poco tempo dopo, la Madre di Dio mostrò ai ragazzini una visione dell’inferno del quale lei dice: “Voi avete visto l’inferno, dove arrivano le anime dei poveri peccatori. Per salvarmi Dio desidera che sia realizzata la devozione al mio Cuore Immacolato. Se si fa quello che dico, molte anime saranno salvate e ci sarà la pace” (luglio del 1917).

Il cuore di Giacinta era commosso e aveva una grande compassione pensando agli infiniti tormenti dell’inferno! Lucia era la sua “catechista”. Alla domanda di Giacinta: “Quella Signora dice anche che molte anime entrano nell’inferno. Che cos’è l’inferno?”. Lucia le spiegò: “È un abisso con bestie feroci e con un fuoco enorme – così me lo spiegò la mia mamma – e li arrivano quelli che peccano e non confessano i loro peccati. Rimangono sempre lì ardendo costantemente.

Giacinta: “E non escono mai da lì?… nemmeno dopo tanti anni?”
Lucia: “No, l’inferno non finirà mai”.
Giacinta: “E nemmeno il cielo?”
Lucia: “Chi entra in cielo mai lo lascerà”
Giacinta: “E nemmeno chi entra all’inferno?”
Lucia: “Non capisci che sono eterni, che non finiranno mai?”

Quello che fece più impressione a Giacinta era il fatto che l’inferno fosse eterno. Ogni anima merita l’eternità, o di beata felicità e amore, o di dolore e odio. Questa verità quasi non sembra impressionare perché il mondo è molto occupato con il temporaneo. Per questo l’Angelo esclamò: “Che fate?”.

“Che fate? Pregate, pregate molto! I cuori di Gesù e di Maria hanno piani di misericordia. Offrite continuamente preghiere e sacrifici all’Altissimo!”. L’Angelo  esortò i tre pastorelli a pregare molto. Questo è importante pedagogicamente. Pensiamo che la preghiera sia l’espressione del nostro amore verso Dio e il prossimo. Dovrebbe essere tutta la nostra gioia. Dovremmo amare tanto come più è possibile: con tutto il nostro amore, tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze. Però quello che ognuno intende per “pregare molto”, si orienta secondo la misura dell’amore nel suo cuore. Se ognuno di noi pregasse molto, aumenterebbe anche la sua misura dell’amore, e se ognuno di noi amasse molto, aumenterebbe anche la misura della sua preghiera. Nella misura in cui vanno crescendo l’amore e la preghiera, crescono anche la pace e la gioia. Al contrario, non ci dobbiamo meravigliare se davanti alla scarsità di preghiere di molti che non pregano con il cuore, ” l’amore di molti si raffredderà” (Mt 24, 12) e la pace nel mondo sparirà.

L’Angelo esorta i ragazzini a offrire continuamente preghiere e sacrifici. L’unica cosa che potevano offrire era il dare alle loro opere questa intenzione di sacrificio perpetuo. Possiamo e dobbiamo fare un buon proposito e offrire tutto in questo senso. La forma migliore di una buona intenzione continuata, senza dubbio, è la consacrazione. La consacrazione del mondo al Sacro Cuore di Gesù fu realizzata appena prima dell’apparizione del Angelo di Fatima, da papa Leone XIII, nell’anno 1900, e poco dopo il Signore pretese una devozione speciale e una consacrazione al Cuore Immacolato di Sua Madre, come nel 1959 fecero anche i vescovi italiani che le consacrarono la penisola. Tutta la perfezione già è presente di fatto, un germe, nella nostra consacrazione battesimale. La sua grande potenzialità arriva in pieno svolgimento per le diverse consacrazioni e promesse che la Chiesa propone ai fedeli. Queste elevano la nostra vita a livello di una preghiera e sacrifici perpetui.
È una verità molto consolatrice che Gesù e Maria aspettano la nostra preghiera. Incendia il nostro cuore pensare che Nostro Signore accettò la sua sofferenza e morte per amore di tutti noi. Però è doloroso comprendere che la sofferenza di Nostro Signore, in un certo modo, tuttavia non è ancora completa,… e che Lui, tuttavia, ci invita per il suo amore ad aiutarlo. La sua croce è la sua gloria, e lui la vuole dividere con noi. San Paolo lo aveva compreso: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. (Col. 1, 24).”Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6, 14).

L’Angelo della pace già aveva insegnato loro come dovevano pregare, Lucia domandò semplicemente: “Come dobbiamo offrire sacrifici?” La risposta dell’Angelo è precisa e profonda: “Tutti quelli che possono, devono offrire sacrifici per riparare i peccati per i quali Dio è offeso, e implorare la conversione dei peccatori. Così raggiungeranno la pace per la loro patria, della quale io sono l’Angelo custode, l’Angelo del Portogallo. Prima di tutto, accettino la sofferenza e sopportino con sottomissione ciò che il Signore invierà loro”.

Qui riconosciamo la tripla dimensione delle nostre azioni. La prima intenzione dell’espiazione è la riparazione delle offese a Dio. Il peccato offende realmente Dio. In questi tempi si vede come ogni peccato grave neghi Dio e divinizzi il proprio io. Chesterton scrisse: “Il dolore è il regalo di Dio per gli idealisti (quelli che pensano filosoficamente che loro stessi arriveranno a essere dei, per il fatto di stare continuamente creando il mondo nelle loro teste). Il dolore porta nuovamente verso il riconoscimento di Dio. Ogni bene inalterabile dipende dall’accettazione che Dio è Dio e noi tutti siamo le sue creature. Questo bene, alla fine, si raggiungerà nel suo giudizio dopo la morte. Il dolore dei dannati nell’inferno consiste essenzialmente nella consapevolezza della perdita di Dio per propria scelta. L’espiazione è un eccesso di amore, quando un’anima, per il suo sacrificio e accettazione della sofferenza, riconosce la maestà di Dio in modo eroico e prega per la grazia, di toccare i cuori dei peccatori ostinati.

Poiché il peccato significa inimicizia con Dio, anche questa è la causa delle guerre. Adamo ed Eva non ubbidirono a Dio, che Caino uccise suo fratello Abele. Nella conversione dei peccatori, la riconciliazione con Dio è il primo passo per la riconciliazione tra fratelli.

Partendo dalle parole dell’Angelo, possiamo comprendere che la preghiera da sola non è capace di portare la pace. Sacrificio ed espiazione sono altri mezzi indispensabili per attrarre la pace nella patria. Senza il sacrificio, la preghiera è solamente labiale e quindi sterile. Il dono del nostro essere, della nostra esistenza e del nostro pane quotidiano, che riceviamo da Dio, esige che ritorniamo a Dio e ci convertiamo a Lui è più intimo del nostro essere. Per il fatto di essere alleati di Dio, si consolida nell’avidità la radice di tutto il male.

L’Angelo parla di due forme di sacrificio: quello che noi stessi scegliamo e le sofferenze che Dio sceglie per noi o permette. Tutto ciò che facciamo e siamo, si può e si deve offrire a Dio come sacrificio. Qui potevamo realmente svolgere qualcosa di pregevole: tutto quello che possiamo fare di importante per ottenere l’eternità in paradiso e così acquisire un tesoro in cielo. Quello che non si offre per l’onore di Dio, ma si realizza per altri motivi puramente umani si perderà per tutta l’eternità. Con la sua esortazione ai ragazzini, di offrire sacrifici di tutti i generi, l’Angelo annunciò in realtà una “buona notizia”, cioè che i sacrifici non necessariamente dovevano essere dolorosi. In cielo resteranno per tutta l’eternità tre forme di sacrifici: il sacrificio di lode (principio e fine dell’amore), il sacrificio della nostra consacrazione a Dio (compromesso e perseveranza dell’amore), e il sacrificio di gratitudine (per i doni e lo stare uniti nell’amore). L’amore comincia con questi sacrifici e arde in essi: l’amore diventa forte nel sacrificio dell’olocausto, nei sacrifici che ci costano. Anche così, non dobbiamo ignorare i sacrifici delle piccole cose, che possiamo offrire a Dio per amore. A questi piccoli sacrifici possiamo dare l’intenzione di espiazione. Giustamente a causa di questi sacrifici e penitenze, l’Angelo promise la pace per la loro patria.

L’Angelo dichiarò anche che il sacrificio della nostra volontà, per il quale sopportiamo con pazienza tutte le sofferenze che Dio ci manda, è più grande di qualunque sacrificio che noi stessi possiamo scegliere. Santa Teresa del Bambino Gesù, un’altra grande innamorata degli angeli, spiegò a sua sorella che la pace consiste esattamente in questo, che vogliamo realmente ciò che Dio vuole.

L’angelo ai pastorelli insegnò a dire questa semplice preghiera: “O Gesù, io voglio ciò che tu vuoi da me!”. Subito i ragazzini capiscono che Gesù li ama e ha in serbo per loro il miglior piano d’amore per la felicità delle loro vite. Perciò sono così disposti e pieni di entusiasmo quando si tratta di scoprire la loro vocazione e accettarla. Questa disposizione apre loro il cuore e li illumina per dare significato alla loro vocazione, e anche il desiderio della vocazione voluta da Dio, la pace interiore. Consegnandoci alla volontà di Dio, troviamo la pace interiore e la forza di portare le croci che il Signore ci assegna nel cammino della nostra vita.

L’Angelo era capace di distinguere qui due momenti importanti: innanzitutto dobbiamo accettare coscientemente le sofferenze che vengono da Dio (molte anime non sopportano questo primo passo e cadono), e in secondo luogo dobbiamo sopportare le sofferenze con pazienza, considerando che praticamente la nostra pazienza si relaziona direttamente all’accettazione cosciente e alla convinzione interiore che la sofferenza che ci tocca viene da Dio che ci ama.

Quando il diavolo riesce a deprimere tanto un’anima, affinché veda tutto buio e dia la colpa agli altri delle sue sofferenze, la sua pazienza per amare svanirà come la nebbia al mattino.

Gli effetti spirituali di questi insegnamenti sul significato del sacrificio si incontrano negli scritti di Lucia:

“Queste parole (dell’Angelo) si impregnarono nel nostro spirito come una luce che ci permise di conoscere chi è Dio, come ci ama e vuol essere amato da noi. Riconosciamo il valore del sacrificio e come è gradito ad Dio: e come converte, tramite di esso, i peccatori. A partire da questo tempo cominciamo ad offrire al Signore tutto quello che ci costa grande sforzo, però quel tempo non cercavamo altre mortificazioni o esercizi penitenziari, bensì lo stare prostrati a terra per ore, e ripetere solo la preghiera dell’Angelo!”

Le parole dell’Angelo sul sacrificio furono una luce che causò sette effetti santi nei pastorelli. L’insegnamento sul sacrificio, quando è ricevuto profondamente nell’anima con amore, aiuta innanzitutto l’uomo: a comprendere chi è Dio, perché “Dio è amore”. Se non abbiamo compreso l’affluire e la bontà dell’amore per il fatto che noi stessi ci consegniamo all’amore sacrificante, come possiamo comprendere l’amore? Tutto il mondo egoisticamente vuole ricevere amore, però non comprende cosa è l’amore, perché l’amore si può comprendere solo nella consegna di sé stessi, a partire dal sacrificio.

La grazia di Dio chiama nascostamente il nostro cuore e ci rende capaci di amare Lui e di consegnarci a Lui. Secondo la misura con cui si sacrifica il nostro cuore, possiamo ricevere il Dio nella nostra anima.

In secondo luogo pertanto, sperimentano e comprendono con quale amore Dio ci ama soltanto quelli che iniziano ad amare Dio con fervore, e in terzo luogo: come reciprocamente chiede di essere amato da noi. Un’anima santa, totalmente dominata dall’amore di Dio, domandò alla sua guida spirituale: “Come può Dio amarmi tanto?” Questo poteva solo rispondere che l’amore di Dio è infinito, poiché Dio è amore infinito. E nella sua sovranità sopra tutti gli altri amanti è totalmente libero nella scelta del suo amore, perché si compiace di darsi: Lui ama per dare: a quelli che ama dà quanto può, così li può amare sempre di più. “Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6, 38).

Quarto: l’anima comprende che la crescita nell’amore è un pellegrinaggio spirituale che esige il piede sinistro della preghiera e anche il piede destro del sacrificio. Molte anime si sforzano di corrispondere alla richiesta della Madre di Dio che ci chiama per la preghiera, ma nonostante ciò non progrediscono. La loro conoscenza di Dio raramente è più di una luce opaca, anziché una fiamma ardente. Il motivo è che queste persone pregano, però senza aggiungere una misura corrispondente di sacrifici. È come se il loro piede destro del sacrificio fosse inchiodato al suolo, e così per tutta la loro vita si muovono in un circolo e non progrediscono nell’amore di Dio e verso il prossimo come dovrebbero. Al contrario, un’anima che inizia avanzando nel cammino della preghiera e del sacrificio, fino al cuore di Dio – anche solo a piccoli passi – rapidamente scopre il grande valore del sacrificio. E questa è la quarta luce.

I tre  pastorelli, più tardi, ebbero molte volte l’occasione di vedere i frutti delle loro preghiere e sacrifici sotto forma di molte conversioni. Però la bellezza della luce, che l’Angelo comunicò per forza dello Spirito Santo, consisteva in questo, che la luce fu direttamente infusa nel loro spirito – o come dice Lucia “impregnato inestinguibilmente” – e con tanta nitidezza, che conobbero la verità, per così dire, in Dio.

Quinto: conobbero come è gradito ad Dio il sacrificio e sesto che il sacrificio ottiene la conversione dei peccatori. Anche questo già lo dovevamo sapere, se pensiamo alla morte salvifica di Cristo, – “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo” (Gv 10, 17) – tale conoscenza speculativa dovrebbe penetrare il nostro cuore, per formare le nostre convinzioni più profonde.

Affinché la “verità” del nostro spirito si trasformi nel “bene” della nostra volontà, la nostra fede si manifesterà in grandi opere di amore. In settimo luogo, l’Angelo comunicò ai ragazzini quella luce amabile e quella grazia alla quale risposero con entusiasmo instancabile nell’orazione e nel sacrificio: “A partire da allora cominciammo ad offrire al Signore ciò che ci costava sforzo, … prostrati per ore a terra, ripetevamo la preghiera dell’Angelo”.

Lucia descrive molti dei sacrifici che accolsero per la conversione dei peccatori. Consegnavano il loro pranzo ai ragazzini vicini di casa molto poveri. Invece del loro pranzo quotidiano mangiavano cipolle selvatiche e ghiande, che avevano raccolto loro stessi. Molte volte nel caldo afoso dell’estate, per tutto il giorno non bevevano acqua. Di propria iniziativa inventarono una dolorosa cintura penitenziale, che causava loro dolori e pene, per avere dell’altro da offrire a Dio e alla Madre di Dio per i peccatori.

Bevevano il meno possibile per saziare la sete del Signore per la salvezza dei peccatori. Qui vediamo il vero eroismo di Lucia, Giacinta e Francesco, paragonandole con le nostre mortificazioni che sembrano così insignificanti. In tutte le loro imprese, l’Angelo li assistette invisibilmente e li aiutò. Quello che dice Lucia riguardo all’aiuto dell’Angelo, in un certo periodo della sua vita, è valido per tutta la nostra vita: “In quei giorni svolgevamo i nostri lavori, quasi portati da questo stesso essere soprannaturale (l’Angelo) che ci stimolava a fare ciò”.

L’aiuto dell’Angelo ci viene sempre offerto, però dobbiamo mostrarci degni di esso con un santo impegno nelle cose di Dio. Allora si verificheranno le parole di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, nella nostra vita spirituale: “Alle persone che si sforzano intensamente di purificare i loro peccati e di progredire nel servizio di Dio, nostro Signore dà del buono verso il meglio… è proprio degli spiriti buoni dare valore e forza, consolazione, lacrime, ispirazione e tranquillità, in quanto facilitati per superare gli ostacoli, affinché si progredisca nelle buone opere” (Esercizi spirituali, n. 315).

Ai tempi della terza apparizione dell’Angelo del Portogallo, nell’autunno del 1916, i tre pastorelli avevano fatto grandi progressi nella vita spirituale, certamente l’Angelo in questo fu per loro un grande aiuto. Però tutte le ispirazioni e l’ausilio dell’Angelo non servono a niente se tali semi della grazia non cadono sul suolo fertile di cuori buoni e generosi. Straordinariamente ammirevoli erano la magnanimità e la perseveranza dei tre ragazzi. Prima delle apparizioni, con l’ansia di giocare e la mancanza di voglia per la preghiera, si riducevano alla recita del rosario a cinquanta brevi giaculatorie: “Dio ti salvi, Maria”, “Santa Maria”. Tuttavia, dopo le apparizioni iniziarono a recitare il rosario completo e a recitare per ore intere la preghiera: “Dio mio, io credo…”. Accadeva anche che Francesco doveva richiamare l’attenzione di Lucia e Giacinta, perché stava per imbrunire e dovevano portare le pecore a casa prima che si facesse notte.

Dopo la seconda apparizione dell’Angelo, nella quale li istruisce sul grande valore della penitenza e del sacrificio, i pastorelli familiarizzavano con i misteri di questa scienza dell’amore. Essi scoprirono immediatamente che i ragazzi poveri di questo villaggio accettavano con piacere il loro pranzo, quando portavano insieme le pecore al pascolo. Imparano anche che si può vivere di ghiande e radici di fiori selvatici, che cosa è una cintura di penitenza e che cosa significa l’intercessione per i peccatori. Si trovano pieni di un amore ardente e, per questo, generoso verso Dio.

Di questo i tre pastorelli ci meravigliano, principalmente se si tiene conto che le visite dell’Angelo erano scarse e di breve durata. Abbiamo una tendenza – così sembra – a considerare la vita mistica come una frequente convivenza, dolce e affidabile con Dio. È indiscutibile che la vita spirituale ha il suo principio con un una gioiosa scoperta di come Dio è buono e come ci ama, ad ognuno in modo personale. Però questa gradevole scoperta è solo la prima parte (dell’amore), a questo deve aggiungersi un amore perfetto che consiste nel fermo proposito di compiere la volontà di Dio e di glorificarlo in tutto. Questa fu la volontà, illuminata dalle tre virtù teologali, agendo in e attraverso di esse, che portò i pastorelli a una fiducia e a un’unione così intima con Dio, che permise di penetrare nelle profondità del mistero della Croce.

A quel tempo allora, la Madre di Dio era già entrata profondamente nelle loro vite ed offre loro, secondo le loro capacità di ricevere, altre grazie straordinarie. Di fatto, la Santissima Vergine, quando iniziarono le sue apparizioni il 13 maggio, innanzitutto domanda: “Volete offrirvi a Dio, sopportando tutte le sofferenze che vi invierà, come espiazione per tutti i peccati con i quali è offeso e, in questo modo, per la conversione dei peccatori?”. “Sì lo vogliamo!” è la loro risposta. E al che lei replica: “Allora dovrete soffrire molto, però la grazia di Dio sarà la vostra consolazione e la vostra forza”. Indubbiamente il suo Cuore Immacolato volle essere per loro un rifugio sicuro e una fonte traboccante di grazie, fortezza e conforto. Per la Mediatrice delle grazie fu indimenticabile la forma singolare con cui era entrata la Grazia Divina nella sua vita, al momento dell’Annunciazione con l’Arcangelo Gabriele. Con certezza questa era la ragione per la quale inviò un Angelo ai pastorelli, per prepararli alla loro missione, così come Lei stessa era stata preparata. Tanto le parole di San Gabriele a Maria, come il consenso amoroso della Santissima Vergine alla volontà di Dio: “Avvenga di me secondo la tua volontà!” incontrano il loro maggiore compimento nel fatto che la Parola si incarnò e si fece un uomo nel suo grembo. Con la sua terza e ultima visita, l’Angelo del Portogallo porta loro in forma sacramentale la stessa Parola di Dio fatta carne ai tre pastorelli. Dio si fece un uomo per poterci unire con lui nel Santissimo Sacramento.

L’Angelo precursore delle apparizioni della Madonna a Fatima

Una  delle apparizioni mariane più importanti  del XX secolo, è stata quella di Fatima in Portogallo dove un Angelo interpretò un ruolo di  capitale importanza. La storia comincia nel 1915, tra aprile ed ottobre, senza altra precisazione perché la fanciulla beneficiaria delle visioni è troppo ignorante per conoscere i giorni della settimana ed i mesi del calendario. Essa si chiama Lucia dos Santos, ha otto anni. Questo accade ad Aljustrel, nel centro del Portogallo. Come tutti i bambini del paese, Lucia custodisce le pecore nei campi ; in quella primavera del 1915, ella debutta nel compito di pastorella dove rimpiazza sua sorella maggiore, Carolina, oramai occupata in  compiti più ardui. Lucia si è legata in profonda amicizia con tre altre amichette, le ragazze Matias, Teresa e Maria Rosa, e Maria Justino. Insieme le quattro fanciulle sono molto pie, molto serie e riservate. Al contrario delle altre ragazzine del paese, …

… esse detestano i giochi rumorosi e passano le loro lunghe giornate nella campagna a cantare diversi canti alla Vergine ed un’altra canzone, popolare in tutto il Portogallo, intitolata Angeli, cantate con me !

 Quel giorno, le giovani pastorelle hanno portato i loro montoni a pascere sulla collina del Cabeço. Da questa vetta, si dominano gli uliveti dei dintorni. E’ circa mezzogiorno e Lucia ha l’idea di recitare il rosario. Hanno iniziato da poco l’orazione mariana e subito le quattro bambine sospendono le loro preghiere,  vagamente spaventate : volando al di sopra degli alberi, vi è qualcosa. Esse sono delle contadinelle analfabete e  le parole mancano loro per descrivere come per esprimere il loro stupore. Quello che vedono, esse non sanno che cos’è. Potrebbe essere una nube, se le nuvole avessero quel biancore più puro della neve, quella trasparenza. Questa rassomiglia ad una statua di neve attraversata dal sole… E’ lontano, è trasparente, ma si distingue al cuore di questo chiarore come una forma umana…  Angosciate, le bambine si interrogano : “Che cos’è ?”. Esse si fanno venire il mal di testa senza trovare una risposta valida. Due altre volte, quando, nei giorni seguenti, esse oseranno ritornare in vetta al Cabeço, esse rivedranno la forma bianca dall’andatura umana.

Lucia è una ragazza silenziosa e prudente ; ella si è ben guardata di andare a raccontare a casa che vedeva quello che descriverà “come una persona avviluppata in un lenzuolo” di cui non si distinguevano “né gli occhi né le mani”. Disgraziatamente per lei, le sue amiche hanno parlato a torto ed a ragione. Pressata di domande, incapace di mentire, la piccola Dos Santos si accontenta di dire scrupolosamente quello che ha osservato. Per sua madre, per pia che sia, il problema è presto troncato, con un perentorio : “Sciocchezze di bambini !” che mette fine alla discussione. Prima di diventare un ritornello schernitore sulle labbra di tutta la famiglia. La dolce e tenera Lucia si è trasformata per i suoi in una specie di affabulatrice, di mitomane di cui ci si può schernire a piacere. E nessuno si priva di prenderla in giro mentre la bambina si rinchiude sulla sua tristezza e la sua incomprensione. Trascorrono alcuni mesi. Nella primavera 1916, Lucia abbandona le sue tre compagne abituali per andare nei campi coi suoi due cuginetti, Giacinta e Francisco Marto, che hanno l’uno sei anni, l’altra otto. Non più dell’anno precedente, Lucia non è capace di datare l’evento. Come l’anno precedente, i montoni sono stati portati a pascere sul Cabeço. A metà mattinata, comincia a piovere. I piccoli cercano allora un riparo sotto una roccia posta in un uliveto appartenente al padrino di Lucia. E benché la pioggia sia cessata e che il sole brilli di nuovo, essi resteranno in quel posto. Essi giocano quando, subito, “un vento abbastanza forte” scuote gli alberi.

Questa burrasca col bel tempo scuote abbastanza questi piccoli contadinelli per strapparli dalla loro partita di “sassolini”. “Noi vedemmo allora, al di sopra degli ulivi e dirigendosi verso di noi, la stessa figura di cui ho già parlato. Giacinta e Francesco non l’avevano mai vista ed io non ne avevo parlato loro. Man mano che essa si avvicinava, noi distinguevamo meglio i suoi tratti. Essa aveva l’apparenza di un giovane di quattordici o quindici anni, più bianco della neve, che il sole rendeva trasparente come se fosse di cristallo, e di una grande bellezza. Noi eravamo sorpresi, e mezzo assorti. Non dicevamo parola. Arrivando vicino a noi, l’Angelo ci disse : “Non temete ! Io sono l’Angelo della Pace.

Pregate con me !”. E, inginocchiandosi a terra, egli curvò la fronte fino al suolo. Spinti da un movimento soprannaturale, noi lo imitammo e ripetemmo le parole che gli sentimmo pronunciare :”Mio Dio, io credo, adoro, spero e Vi amo. Vi chiedo perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano”.  Tale orazione è conosciuta sotto il nome di “Preghiera dell’Angelo” e questa breve invocazione è divenuta popolarissima nella Chiesa.

“Dopo avere ripetuto questa preghiera tre volte, egli si rialzò e ci disse : “Pregate così. I Cuori di Gesù e di Maria sono attenti alla voce delle vostre suppliche”. E sparì. Francesco, come sua sorella e sua cugina, ha visto, ma non ha sentito nulla delle parole dell’Angelo, come non sentirà in seguito nemmeno quelle della Vergine. Egli avrà sempre bisogno della rivelazione verbale delle due fanciulle.

Nel frattempo, sommersi dalla presenza del soprannaturale e dalla visione di quello che Lucia descriverà dicendo : “Egli era Luce” (Testimonianza di suor Lucia al canonico Barthas), i tre fanciulli restano inginocchiati, incapaci di muovere o di pronunciare una parola. Rientrati a casa loro, non dissero nulla dell’apparizione.

Fra Michele della Trinità, specialista di Fatima, sottolinea che gli Angeli, sia che agiscano come protettore del Portogallo o come i rispettivi Angeli custodi, erano conosciuti dai giovani pastori, ma che non vi è nessun rapporto tra la loro devozione semplice e popolare negli spiriti celesti e la schiacciante apparizione, di tipo biblico, che evoca invincibilmente le manifestazioni angeliche del Vangelo di cui essi beneficiano. Nessun  rapporto inoltre tra la loro grande semplicità, la loro mancanza di vocabolario, e la preghiera che l’Angelo ha insegnato loro ed i cui concetti sono loro evidentemente estranei perché troppo elevati teologicamente per essi. Durante diversi giorni, i tre visionari restano colpiti dalla loro esperienza mistica, prima di riprendere la loro vita normale. Giunge l’estate. Fa talmente caldo che occorre riportare le bestie all’ovile prima di mezzogiorno, per non ricacciarle che all tramonto del giorno. I tre bambini sono nel fondo del giardino di Lucia, all’ombra degli alberi. Essi giocano vicino al pozzo. “All’improvviso, noi vedemmo lo stesso Angelo vicino a noi. “Che fate ? Pregate, pregate molto ! I Sacri Cuori di Gesù e di Maria hanno su di voi dei disegni di misericordia. Offrite incessantemente all’Altissimo delle preghiere e dei sacrifici”. “Come dobbiamo sacrificare ? chiesi”. “Con tutto quello che potrete, offrite a Dio un sacrificio in atto di riparazione per i peccati coi quali Egli è offeso, e  voi fate suppliche per la conversione dei peccatori. In questo modo, voi attirerete la pace sulla vostra patria. Io sono il suo Angelo custode, l’Angelo del Portogallo. Soprattutto, accettate e sopportate con sottomissione le sofferenze che il Signore vi invierà”.

Una volta di più, i fanciulli restano soli, incapaci di esteriorizzare l’intensità di ciò che vengono dal vivere e come angosciati da una immensa fatica fisica. Ed essi continuano a tacere (Giacinta e Francesco, moriranno tutti e due giovanissimi, non parleranno dell’Angelo. Lucia aspetterà il 1924 per rivelare queste prime manifestazioni del Cielo). Ma, oramai, l’impressione non si cancella più, non diminuisce più di intensità ; la grazia si è impadronita di queste anime infantili, dando loro una forza che permetterà ad essi di affrontare tutte le prove ed anche, per i ragazzi Marto, una morte prematura, preceduta da una lunga e penosa agonia, offerta per la salvezza dei peccatori.

“La terza apparizione ha dovuto avere luogo in ottobre, o fine settembre, perché noi non andavamo già più a passare le ore della siesta a casa. Dopo aver preso il nostro pasto, ci mettemmo d’accordo per andare a pregare alla grotta che è situata dall’altra parte della collina, e ci occorse scalare alcune rocce che si trovano in alto della Pregueira. Le pecore riuscirono a passare, con una certa difficoltà. Come fummo arrivati, mettendoci in ginocchio, il volto contro la terra, noi ci mettemmo a ripetere la preghiera dell ‘Angelo : “Mio Dio, credo, adoro, spero e Vi amo…”. Non so quante volte abbiamo ripetuto questa preghiera quando vedemmo brillare sopra di noi una luce sconosciuta. Ci siamo rialzati per vedere che accadeva, ed abbiamo rivisto l’Angelo che aveva nella sua mano sinistra un calice, sul quale era sospesa un’ostia dalla quale cadevano alcune gocce di sangue nel calice. Lasciando il calice e l’ostia sospesi in aria, egli si prosternò vicino a noi fino a terra e ripeté tre volte questa preghiera :”Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, io Vi adoro profondamente, e Vi offro il Preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente nei tabernacoli della terra, in riparazione degli oltraggi, sacrilegi ed indifferenze con le quali Egli stesso è offeso. Per i meriti infiniti del Suo Sacratissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, Vi domando la conversione dei poveri peccatori”. “Poi, rialzandosi, prese di nuovo nelle sue mani il calice e l’ostia, mi diede la sacra ostia, e diede il sangue del calice a Giacinta e Francesco, dicendo nello stesso tempo : “Prendete e bevete il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio”. “Si prosternò di nuovo fino a terra e ripeté con noi ancora tre volte la stessa preghiera : “Santissima Trinità…”. Poi disparve. Spinti dalla forza del soprannaturale che ci avviluppava, abbiamo imitato l’Angelo in tutto, cioè che ci siamo prostrati come lui, ed abbiamo ripetuto le preghiere che diceva. Siamo rimasti nello stesso atteggiamento, ripetendo sempre le stesse parole. Fu Francesco che si rese conto che la notte si avvicinava. Fu lui che ce ne avvertì e pensò a ricondurre il nostro gregge a casa”.

I tre bambini non dovevano rivedere l’Angelo di cui custodirono sempre le tre visite come una preparazione celeste alla serie di apparizioni della Vergine, che iniziarono il 13 maggio 1917. Perché si trattava, in qualche modo, di una catechesi privata, destinata ad essi soli, nessuno di loro ne fece menzione per il seguito, se non suor Lucia. Degli ecclesiastici ai quali ella si era confidata prima le avevano tutti sconsigliato di parlare delle apparizioni angeliche, per paura che le apparizioni mariane non fossero considerate così centrali. Il “meraviglioso cristiano” disturbava, anche nel Portogallo degli anni 20… Ora, il messaggio dell’Angelo è di una irreprensibile teologia e tale che è impossibile sospettare i bambini di frode.

Esso è trinitario ; insegna la devozione al Sacro Cuore ed al Cuore Immacolato di Maria ; insegna i meriti riparatori della preghiera e del sacrificio ed il principio della Comunione dei Santi. Infine, il miracolo eucaristico di ottobre 1916 si inscrive in una continuità che i giovani pastori ignoravano. Perché le comunioni angeliche non sono senza esempi nella storia della Chiesa. Queste, in particolare, vengono a corroborare la nuova politica di San Pio X che desiderava autorizzare la prima Comunione all’età della ragione, come anche prima presso alcuni fanciulli maturi e pii, contro l’uso che la respingeva fino a dodici o tredici anni (A Lourdes, Nostra Signora, nel 1858, non esitò a corroborare il dogma dell’Immacolata Concezione, promulgato nel 1854 da Pio IX a discapito di una ostilità marcata da una parte del clero e dell’opinione pubblica, ). Ora, benché Giacinta e Francesco fossero tutti e due in età di comunicare, il curato della parrocchia li aveva scartati dalla Sacra Mensa, deciso che erano da ignorare le nuove consegne romane (Nel XVIII secolo, il piccolo Gerardo Majella, scartato dai sacramenti per la sua età, si comunicò dalla mano di San Michele).

Quanto all’ostia sanguinante, ella rispondeva ad una serie di fatti miracolosi legati alla credenza nella Presenza reale. Il più celebre tra di essi è quello detto del miracolo eucaristico di Bolsena, città italiana in cui un sacerdote incredulo, nel 1263, vide all’improvviso il Santissimo Sacramento che veniva dal consacrare mettersi a sanguinare (Raffaello ne ha fatto il soggetto di una delle sue più belle composizioni nelle Stanze che portano il suo nome in Vaticano). Dimostrate la buona fede dei giovani veggenti e la solidità dottrinale dei propositi che essi attribuivano all’Angelo, un’ultima domanda si pone : l’identità dello Spirito beato che li visitò.

Lui stesso si è presentato, al momento delle apparizioni della primavera e dell’estate 1916, sotto due titoli differenti : “Io sono l’Angelo della Pace” ha detto dapprima, poi, “Io sono l’Angelo custode del Portogallo”. Interrogata, tra gli altri dal canonico Barthas, al fine di sapere se avesse avuto l’impressione di incontrare due distinti Angeli, Lucia ha sempre affermato che si trattava bene di una sola e stessa persona. San Tommaso d’Aquino, poggiandosi su citazioni di più antichi autori e sul Libro di Daniele, ammette che le Nazioni umane sono affidate da Dio alla custodia di un Angelo del Coro dei Principati.  Il Portogallo celebrava, ogni terza domenica di luglio, la festa del suo Angelo custode, senza la precisione del suo nome, e questo fin dal 1514, festa confermata alla fine del secolo, al momento della grande crisi che seguì la morte di Sebastiano IV e l’annessione del suo regno alla Spagna. Questa festa, caduta in desuetudine nel XIX secolo, ridicolizzata dalla massoneria molto attiva nel Paese, era stata soppressa da San Pio X poco tempo prima degli avvenimenti di Fatima. I Portoghesi ne chiesero il ristabilimento solenne a Pio XII ; essa concorda oggi con la data della festa nazionale, il 10 giugno, anniversario della morte di Camoëns.

La prima ipotesi sarebbe dunque che si tratta di un Angelo del Coro dei Principati, Principe del Portogallo per impiegare la terminologia biblica del Libro di Daniele. La seconda tende ad identificare quest’Angelo a San Michele, appoggiandosi su diversi argomenti. Angelo della Pace è uno dei titoli del Primo dei Serafini nella liturgia. Il primo Re Cattolico del Portogallo. Alfonso Enriquez, aveva consacrato il suo Paese all’Arcangelo, nota logica nella società cavalleresca medievale, soprattutto in un regno esposto ai colpi dell’islam.

Meno convincente, per contro, è l’argomento secondo il quale il re si sarebbe investito delle insegne regali invocando San Michele e San Giorgio, formula senza originalità poiché questi due Santi erano già i patroni della cavalleria cristiana. Si può pertanto concludere che Michele e l’Angelo custode del Portogallo non sono che uno ? Gli oppositori a questa tesi sottolineano che il Principe serafico, dappertutto, in tutte le apparizioni, fa risuonare altamente il suo nome. Anche se precisa a Giovanna d’Arco che egli è il protettore del regno di Francia, comincia col presentarsi :”Io sono Michele”. Perché, a Fatima, avrebbe omesso di declinare la sua identità ? Infine, sembra bene che la festa dell’Angelo del Portogallo non abbia mai confuso San Michele, patrono del Paese e protettore della monarchia, con lo Spirito protettore del regno. Il dibattito resta aperto ed il mistero dell’identità angelica ancora tutto da svelare.

L’Angelo del Portogallo e gli Angeli delle Nazioni

Fin dalla sua prima apparizione, l’angelo si presenta come il protettore del Portogallo e tra l’altro dice ai tre pastorelli: “ In tutti i modi possibili, offrite a Dio un sacrificio in atto di riparazione per i peccati con cui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori. Attirerete così sulla vostra patria la pace. Io sono il suo Angelo custode, L’Angelo del Portogallo”. La devozione dei cattolici  portoghesi verso l’Angelo della loro nazione è una devozione loro caratteristica. Il 5 febbraio 1590, papa Sisto V accordò un Ufficio liturgico in onore dell’Angelo Custode del Regno del Portogallo e delle sue colonie e, ancora oggi, nei paesi di lingua portoghese, tale ricorrenza è festeggiata il 10 giugno, col permesso di papa Pio XII che l’ha ripristinata. L’idea degli angeli protettori delle nazioni è presente sia nella bibbia sia nella teologia cattolica.  Secondo San Tommaso né l’uomo né nessun altra cosa possono rimanere completamente al di fuori del governo della Divina Provvidenza. …  

…  Questo principio fondamentale venne applicato da alcuni dei primi scrittori e Padri Cristiani, in maniera abbastanza esagerata, tale da richiedere un particolare angelo per ogni cosa in questo mondo: tutti gli elementi, le stelle del cielo, ogni cosa vivente, inclusi gli insetti. Origene nega invece l’influenza dei demoni su tutte le cose che noi cristiani utilizziamo, mai gli ammette una corrispondente influenza e protezione di custodi invisibili, che egli successivamente chiama angeli divini: “Noi dunque dobbiamo rispettare non solo i frutti della terra, ma anche ogni ruscello che scorre e ogni soffio d’aria, perché il terreno produce quelle cose che si dice crescano naturalmente, perché l’acqua zampilla nelle fontane e rinfresca la terra con i suoi ruscelli, perché l’aria è pura, e supporta la vita di coloro che la respirano, solo grazie all’azione e al controllo di alcuni esseri che chiamiamo custodi invisibili, ma neghiamo che questi agenti invisibili siano demoni.” San Tommaso e gli Scolastici rifiutano questa opinione considerata esagerata, ma essi ammettono che probabilmente c’è un angelo per ogni specie di cose viventi, oltre all’uomo, perché secondo la stessa Provvidenza è la specie che è destinata a sopravvivere e continuare all’infinito; perciò essi pensavano che occorreva una protezione speciale. “Tutti gli angeli ai quali sono affidate le cose puramente corporali sembra che appartengano al Coro delle Virtù; anche i miracoli spesso accadono per mezzo del ministero di questi stessi angeli.”

Poiché gli angeli sono ministri della Divina Provvidenza in questo mondo, sembra che non solo la vita e l’esistenza degli esseri umani individuali dovrebbe essere affidata alla loro protezione ma anche quella delle nazioni, città, chiese e comunità.

La versione Septuaginta del Deuteronomio,  32,8 dice: “Quando l’Altissimo divise le nazioni, come ha separato i figli di Adamo, egli stabilì i confini delle nazioni secondo gli angeli di Dio,” (la Vulgata dice: “Egli stabilì i confini del popolo secondo il numero dei bambini di Israele”), deve aver fornito agli scrittori greci cristiani il solido fondamento per credere che le nazioni e le città, oltre agli individui si trovano sotto la protezione degli Angeli Custodi. Dunque, tra gli altri, Clemente d’Alessandria: “I Reggimenti degli Angeli vengono distribuiti sulle nazioni e sulle città e alcuni vengono assegnati agli individui.” Tuttavia, nella visione del profeta Daniele troviamo una base più solida per questa verità. In questa visione il profeta rivela che tre nazioni, gli Israeliti, i Persiani, e i Greci, avevano ognuno un protettore nazionale o Angelo custode che egli chiamano principe.

Questo nome probabilmente implica che l’angelo custode nazionale appartiene al coro più alto della gerarchia minore (Principati, Arcangeli, Angeli), il coro dei Principati, o più probabilmente che essi sono Arcangeli; inoltre in qualità di custodi delle nazioni essi vengono chiamati principi. Questo è certamente il caso dell’Arcangelo Michele che Daniele chiama Principe della nazione ebraica: “Sai tu perché io sono venuto da te?” chiede l’Arcangelo apparso al profeta Daniele, “Ora tornerò di nuovo a lottare con il principe di Persia, poi uscirò ed ecco verrà il principe di Grecia. Io ti dichiarerò ciò che è scritto nel libro della verità: nessuno mi aiuta in questo se non Michele, il vostro principe” Questo angelo che parlò a Daniele era probabilmente l’Arcangelo Gabriele. Egli dice che sta andando a combattere contro il principe di Persia, ciò significa che egli sta andando a combattere contro l’angelo custode nazionale della Persia. Uscendo egli vide venire l’Angelo Custode nazionale della Grecia, ma sembra che egli non si aspetta di ottenere aiuto da lui. L’unico che l’avrebbe aiutato e assistito nella sua battaglia santa era San Michele Arcangelo, l’angelo custode della nazione ebraica di quei tempi. Questa importante rivelazione fatta da uno dei maggiori spiriti celesti, l’Arcangelo Gabriele, ci dovrebbe sconcertare un poco.

Dopo tutto come possiamo riconciliare la carità, l’armonia e la pace esistente tra gli spiriti celesti combattendo e facendo guerre, che implicano inimicizia e discordia. Inoltre non c’è dubbio che questo parlare di guerra e combattimento si riferisce all’amore e allo zelo per la salvezza del popolo affidato alla loro protezione. Ogni angelo protettore nazionale ricerca il vantaggio spirituale e la salvezza del popolo del suo territorio, come dovere affidatogli. L’Arcangelo Gabriele (che Daniele ha pregato per la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù dei persiani in cui essi si trovavano) aveva assicurato l’assistenza dell’Arcangelo Michele, angelo custode nazionale della nazione ebraica, promuovendo la liberazione degli ebrei dalla schiavitù, ma egli aveva trovato un potente oppositore ai suoi sforzi nell’angelo custode nazionale o principe della Persia, che aveva resistito a tutti gli attacchi di Gabriele e di Michele con lo scopo di mantenere gli ebrei nella schiavitù più a lungo. Questo grande Angelo del popolo persiano, che era una nazione pagana che non credeva nel vero Dio, aveva notato le numerose benedizioni che la presenza di questi schiavi ebrei fedeli avevano procurato ai persiani, infatti molti di loro avevano trovato la strada della salvezza. Egli tuttavia desiderava che quelle benedizioni continuassero per il bene dei suoi assistiti, e resisteva con tutto il suo amore e la sua potenza agli sforzi degli altri angeli, che guardavano gli interessi delle loro nazioni. Fu una battaglia d’amore perfettamente compatibile con la pace e la carità. Ogni angelo sa cosa Dio vuole che egli faccia per il popolo del suo territorio, ma senza una rivelazione particolare egli non sa esattamente cosa Dio si aspetta dall’angelo di un’altra nazione, ecco le loro differenze. Inoltre, tutte le loro missioni vengono compiute con grande fermezza e reciproco amore – per la gloria di Dio e la pace degli uomini. Il profeta Daniele usa qui un linguaggio di guerra e di contesa per esprimere l’ardente zelo e l’interesse mostrati da questi angeli nel compimento del loro dovere, come spiriti protettori nazionali.

Se le nazioni pagane del passato, come la Persia e la Grecia, erano sotto la protezione di un angelo, tanto più dovremmo aspettarci tale protezione sulle nazioni cristiane. Dunque San Giovanni Damasceno, riassumendo l’opinione dei Padri, suoi predecessori, scrive: “Essi (di angeli) proteggono anche parti di questa terra; essi presiedono sulle nazioni e sulle regioni, come è stato loro comandato dal supremo creatore.” Se le unità civili e politiche, come città e nazioni godono del privilegio di un Angelo Custode, le unità ecclesiastiche come diocesi, parrocchie, Chiese richiedono una simile protezione, per la semplice ragione che esse sono parti e unità integrali del regno di Dio qui sulla terra. Scrivendo alle sette Chiese dell’Asia Minore, all’inizio della sua Apocalisse, a San Giovanni Evangelista viene ordinato di indirizzare i suoi messaggi ai sette Angeli delle sette chiese: “Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese. Le sette lampade sono le sette chiese.” È vero che la comune interpretazione ritiene che il messaggio sia indirizzato al vescovo locale, quale angelo di ognuna delle sette chiese. Sebbene venga inteso il vescovo, è davvero al locale angelo custode, testimone della condotta del vescovo e protettore di quella chiesa, che è indirizzato il messaggio. Infatti, se “le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese” come possiamo chiamare stella il vescovo della chiesa di Sardi al quale viene detto: “conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto”; o quale stella splendente era il vescovo della chiesa di Laodicea, che il Signore “rigettò”, perché era malvagio, miserabile, povero, cieco e nudo. Le sette stelle erano dunque i sette angeli custodi di quelle sette chiese, attraverso i quali e nel cui nome veniva riferito al rispettivo vescovo ciò che il Signore pensava di lui e quello che si aspettava da lui. Crediamo tuttavia che questi testi dei primi tre capitoli dell’Apocalisse, sono un classico esempio di questa verità, e un fondamento solido in favore della dottrina che stiamo presentando. L’Angelo della chiesa è un angelo vero, il custode celeste e il protettore di quella comunità che il ministro umano, vescovo o sacerdote, dovrebbe imitare, e che egli dovrebbe pregare con il suo gregge.

Altri riferimenti a questa categoria di angeli custodi si trovano nella profezia del profeta Zaccaria quando egli scrive: “E io domandai: che significano queste cose mio Signore? E l’Angelo che parlava con me mi dispose: io ti indicherò ciò che esse significano. E l’uomo (un angelo in forma umana) che stava fra i mirti prese a dire: essi sono coloro che il Signore ha inviato a percorrere la terra. Essi allora si rivolsero all’angelo del Signore che stava fra i mirti e gli dissero: abbiamo percorso la terra ed è tutta tranquilla. E l’angelo del Signore disse: Signore degli eserciti, fino a quando rifiuterai di aver pietà di Gerusalemme e delle città di Giuda contro le quali sei sdegnato? Sono ormai settant’anni.” L’uomo che si trovava fra gli alberi di mirto, e che viene chiamato successivamente Angelo, era l’angelo custode nazionale degli Ebrei, l’Arcangelo Michele. Egli è l’unico che sta pregando il Signore degli eserciti di essere misericordioso con Gerusalemme e le città di Giuda che sono state in uno stato di desolazione per settanta anni. Come adempie bene la sua missione di protettore nazionale e intercessore per il popolo affidato alla sua protezione questo principe delle armate celesti! Alla stessa categoria appartengono quegli altri angeli menzionati in questa profezia: “Quelli che il Signore ha mandato a percorrere la terra”. Anche questi erano custodi di territori, nazioni i popoli, ecco dunque il loro interesse per il fatto che la terra era tranquilla.

La visione che San Paolo ebbe di un misterioso uomo della Macedonia “che gli stava davanti e lo supplicava” di passare in Macedonia e aiutarli, viene comunemente considerata la visione dell’Angelo Custode del paese e del popolo macedone. La prontezza con cui Paolo ubbidì a quella chiamata mostra che e egli doveva essere convinto che il macedone che gli era apparso era effettivamente un messaggero di Dio, un angelo: “Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamato ad annunziarvi la parola del Signore.”

San Tommaso, con altri teologi, è dell’opinione che le persone pubbliche, come i capi delle nazioni, i governatori di stati o di grandi comunità sia civili che ecclesiastiche, come i vescovi ordinari, gli abati, ecc., oltre al proprio angelo custode ricevuto alla nascita, ricevono un ulteriore Angelo, quando essi assumono le responsabilità di un tale officio, che li assisterà nel governo e nell’amministrazione del popolo affidato loro.

Come la Sinagoga del passato, così la Chiesa di Dio (la nostra Madre Chiesa che è il regno di Dio sulla terra) è sotto la protezione degli Angeli Custodi; e San Michele Arcangelo è il protettore celeste del popolo cristiano come lo era stato del popolo ebraico nel Vecchio Testamento. “O Madre Chiesa” scrive San Bernardo, “i tuoi custodi sono i Santi Angeli!” Egli credeva anche che ogni edificio cristiano, ogni chiesa o cappella dove si tenevano funzioni divine fossero sotto la protezione dei santi angeli. San Paolo si riferisce alla presenza degli Angeli nelle assemblee cristiane di preghiera nelle nostre chiese, quando egli chiede che tutte le donne cristiane si coprano il capo in tali posti “per rispetto agli angeli”. 

Don Marcello Stanzione (Ri-Fondatore della M.S.M.A.)

AMIAMO IL CAPO DEGLI ANGELI : L’ARCANGELO MICHELE

Arcistratega, capo supremo delle milizie celesti, principe degli angeli, campione del Bene e simbolo delle lotta contro il Male nella quale si gioca tutta la nostra esistenza, guida delle anime nell’aldilà, entità dotata di poteri taumaturgici, patrono delle acque, abitatore dei luoghi alti e delle caverne: tutto questo è l’arcangelo Michele, il cui nome significa Chi come Dio? Fin dall’inizio dei tempi l’arcangelo Michele accompagna la storia dell’umanità: lo troviamo a guardia delle porte del paradiso quando Adamo ed Eva ne furono cacciati, sarà lui ad accompagnarci nel grande viaggio nel mondo ultraterreno e a suonare la tromba nel giorno del giudizio. Michele, quindi, è inizio e fine. Fra tutti gli angeli è il più amato, il più presente nella storia dell’uomo, al quale in più occasioni è apparso operando prodigi: il gran numero di santuari, chiese, grotte, torri, ospedali, caserme, cimiteri e cappelle a lui intitolati, inferiore soltanto a quello dei luoghi di culto dedicati alla Vergine Maria, attesta la venerazione che l’umanità da sempre gli porta. E questo sebbene l’arcangelo, non essendo mai vissuto sulla terra, non abbia territorialità ne’ collocazione storica.
I suoi devoti sono stati e sono legione: persone che si riconoscono nelle sue battaglie, impegnate nella difesa dei diritti umani, della giustizia, della natura, dell’arte, della bellezza, della verità – del Bene quindi, in ogni suo aspetto ed accezione.
Michele, allora, come campione e simbolo dell’evoluzione dell’umanità, della sua crescita armoniosa. Di lui abbiamo oggi un crescente bisogno e una inestinguibile nostalgia, poiché Michele è essenzialmente il “Volto” di Dio, colui attraverso il quale Dio – concepito come energia in dinamico divenire – si manifesta.
“Un’apparizione di Michele equivale a un’apparizione della Shekinah (che in ebraico significa ‘presenza di Dio’)”, scrive Henry Corbin, grande esperto di storia delle religioni, nel suo libro Il paradosso del monoteismo.
E continua: “Come rivela il nome (Mi-cha-el, Qui ut Deus?), egli è il doppione, l’immagine (eikon) di Dio, è un essere che appartiene a un ordine eccezionale, infinitamente superiore agli altri angeli e ai santi. Si manifesta al mondo tramite le teofanie, quale un bagliore, un riflesso del Volto divino, come ricorda una glossa medievale (anonima): “Ovunque tu scorga cosa meravigliosa e grande, hai a che fare con san Michele”. Dalla Sacra Scrittura emerge chiaramente la figura di San Michele Arcangelo come vindice della gloria di Dio contro gli angeli ribelli; è oggi Protettore della Chiesa come lo era stato dell’Israele dell’antica alleanza. La sua missione continua nella Chiesa di Cristo per la vittoria su Satana e il male.
Il culto di San Michele Arcangelo, nacque in Oriente ed è un’eredità della sinagoga e si sostituì spesso a culti pagani. In Occidente il culto micaelitico si diffuse maggiormente nei centri che subivano l’influenza Bizantina.
Lo storico Sozomeno, del V secolo, afferma che l’imperatore Costantino, in seguito ad una visione da lui avuta dell’Arcangelo, eresse il celebre santuario dedicato a San Michele presso il promontorio Hestie sul Bosforo. Tale culto a San Michele si sviluppò a tal punto che già nel VI secolo a Costantinopoli e dintorni si contavano una decina di chiese a lui dedicate.
In Egitto i primi cristiani consacrarono il fiume Nilo a San Michele e ancora oggi il 12 di ogni mese i Copti dell’Etiopia celebrano un particolare rito in suo onore.
Anche i Longobardi si fecero promotori di tale devozione angelica, specialmente dopo la vittoria conseguita verso il 662 sulle truppe dell’imperatore Costantino II presso Siponto il giorno 8 maggio.
Lungo la via Salaria a circa sei miglia a nord di Roma, nel quinto secolo venne elevata una basilica in onore di S. Michele, la cui festa era il 29 settembre, data della “Dedicatio sancti angeli“. In questa data con la riforma Liturgica dopo il concilio ecumenico Vaticano II si pensò di far confluire in una sola le altre feste di San Gabriele (24 marzo) e San Raffaele (24 ottobre).
San Michele è certamente lo spirito celeste più importante di tutti e svolge numerose funzioni. Nell’antichità San Michele era associato più che agli esorcismi, soprattutto alla guarigione fisica per mezzo dell’acqua. Le acque hanno sempre svolto un ruolo fondamentale nella cura delle varie malattie e in modo particolare le sorgenti calde sono state considerate dagli antichi un dono particolare di Dio. Gli ammalati arrivavano anche da molto lontano per immergersi nelle acque calde e pregare per la guarigione.
Secondo gli studi di angelologia di Eileen Freeman, ai tempi di Gesù, gli ebrei credevano che San Michele fosse l’angelo nominato da Dio affinché vegliasse su determinate fonti d’acqua, in particolare quelle con proprietà terapeutiche.
Secondo la Freeman l’associazione di San Michele con la guarigione tramite l’acqua inizia dal fatto che egli è considerato l’Angelo dell’Esodo, lo spirito celeste che condusse Israele attraverso le acque del Mar Rosso e che, quando Mosè nel deserto batté il bastone sulla roccia, fece scaturire sorgenti d’acqua per dissetare il popolo.
Riguardo al potere curativo di certe acque vi è anche la testimonianza del Vangelo di San Giovanni: V’è a Gerusalemme, presso la porta delle pecore, una piscina chiamata in ebraico Betzaida, con cinque portici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici, che aspettavano il moto dell’acqua. Un angelo, infatti, in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto“. I rabbini, generalmente, identificavano in Michele l’angelo del Signore che agitava le acque. La tradizione cristiana ha continuato quella ebraica, dedicando a San Michele le fonti e le acque curative, inizialmente dedicate agli dei pagani.
La prima apparizione di San Michele nell’era cristiana è quella a Colossi, quando in quel luogo fece scaturire sorgenti dalle rocce. A Colossi i pagani avevano diretto un corso d’acqua contro un santuario di Michele per distruggerlo. L’Arcangelo spaccò la roccia in due con un fulmine e diede al corso d’acqua un nuovo letto.
A Pythia in Bithynia ed in altri luoghi dell’Asia, a San Michele erano dedicate calde sorgenti. Presso i luoghi termali dell’Imperatore Arcadio a Costantinopoli vi era una Chiesa consacrata all’Arcangelo dove si festeggiava San Michele 1’8 novembre e tale celebrazione divenne la festa più popolare in
Oriente.
Altra funzione del Santo Arcangelo è quella di turiferario: si è voluto ravvisare in Michele il turiferario delle mistiche visioni di Isaia e dell’Apocalisse: “Venne un angelo e si fermò all’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi perché li offrisse insieme con la preghiera di tutti i santi bruciandoli sull’altare d’oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio“. (Ap. 8, 3-8).


Alla benedizione dell’incenso nel vecchio rito della Santa Messa, prima della riforma del Vaticano II, il sacerdote recitava questa formula: “Per l’intercessione del Beato Michele Arcangelo, che sta alla destra dell’altare dell’incenso, e di tutti i suoi eletti il Signore si degni di benedire quest’incenso, e di accettarlo in soave odore“. Il fumo dell’incenso nella liturgia rappresenta le nostre preghiere, quindi nella Santa Messa all’offertorio del pane e del vino, all’Arcangelo Michele veniva­ chiesto di presentare a Dio dall’altare dell’incenso in Chiesa, la preghiera solenne del Santo Sacrificio.
Infine, un’altra importante funzione dell’Arcangelo Michele è quella di essere psicopompo, cioè di fare da conduttore dell’anima dei morti al Giudizio di Dio. Nell’iconografia è raffigurato spesso nell’atto di pesare sulla sua bilancia le anime dei defunti. La Chiesa cattolica ha sempre considerato S. Michele come quel grande angelo protettore presente alla morte. Per molti secoli al momento della preghiera dell’offertorio nella Santa Messa per i defunti la liturgia, dopo aver chiesto che le anime fossero salvate dall’inferno, faceva riferimento a San Michele: “Possa il santo portabandiera San Michele guidarla nella luce santa che tu hai promesso ad Abramo e ai suoi discendenti“.
Nelle litanie a San Michele, l’Arcangelo viene invocato come “aiuto di coloro che sono in agonia, luce e fiducia delle anime all’ora della morte, consolatore delle anime trattenute tra le fiamme del purgatorio”.
San Gregorio di Tours ritiene che sia stato San Michele a presentare a Dio le anime di Adamo ed Eva, come pure quelle di San Giuseppe e di Maria Santissima.
Moltissimi santi e mistici hanno avuto una particolare devozione a San Michele Arcangelo. San Francesco d’Assisi praticava la quaresima in onore di tale angelo; essa inizia il 14 agosto e termina il 29 settembre. Durante tale quaresima, nel settembre del 1224 sul monte Alvernia, San Francesco ricevette le stimmate.
Santa Giovanna d’Arco fu guidata e assistita da San Michele nella liberazione della Francia. San Francesco da Paola in una visione ricevette dall’Arcangelo San Michele una cartuccia, una specie di stemma, meravigliosamente colorato e circondato da raggi di luce. A luminose lettere d’oro, nel suo centro, c’era la parola Charitas in campo azzurra. Tale parola divenne il motto dei Minimi di San Francesco di Paola. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori scrisse che la devozione a San Michele e agli angeli è un segno di predestinazione e volle l’arcangelo come protettore dei Redentoristi che nella festa di Settembre rinnovano la professione religiosa. Il papa Benedetto XVI, oggi pontefice emerito, all’ordinazione di sei nuovi vescovi avvenuta in san Pietro il 29 settembre 2007, nella sua splendida omelia riguardo a san Michele affermò che egli “ difende la causa dell’unicità di Dio”, contro l’eterna presunzione di chi ritiene che Dio sia un ostacolo alla nostra libertà e del quale bisognerebbe sbarazzarsi. Papa Francesco nell’omelia della Messa celebrata il 29 settembre 2014 a Casa Santa Marta, nel giorno in cui la Chiesa festeggia i Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, ha parlato della lotta contro il diavolo.

Satana fin dall’inizio cerca di distruggere l’umanità utilizzando la sua astuzia, seducendo l’uomo; e l’uomo deve lottare sempre, perché se non si lotta, ha detto il Papa, saremo sconfitti. Al termine dell’omelia, Papa Francesco ha invitato a recitare “quella preghiera antica ma tanto bella, all’Arcangelo Michele, perché continui a lottare per difendere il mistero più grande dell’umanità: che il Verbo si è fatto Uomo, è morto ed è risorto. Questo è il nostro tesoro. Che lui continui a lottare per custodirlo.

Preghiere agli Angeli Custodi e ai Santi Arcangeli

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