Infine, Il Mio Cuore Immacolato Trionferà!

8Dichiarazione di fedeltà all’immutabile insegnamento della Chiesa sul matrimonio e alla sua ininterrotta disciplina

“Il matrimonio sia onorato da tutti” (Ebrei 13: 4)

Dichiarazione di fedeltà all’immutabile insegnamento della Chiesa sul matrimonio e alla sua ininterrotta disciplina

Viviamo in un’epoca in cui numerose forze cercano di distruggere o deformare il matrimonio e la famiglia. Le ideologie laiche, infatti, approfittano e aggravano la crisi della famiglia, risultato di un processo di decadenza culturale e morale. Questo processo porta i cattolici ad adattarsi alla nostra società neopagana. Il loro “conformarsi al mondo” (Rm 12,2) è spesso favorito dalla mancanza di fede – e quindi di spirito soprannaturale per accogliere il mistero della Croce di Cristo – e dall’assenza di preghiera e di penitenza.

Più che mai valida la diagnosi del Concilio Vaticano II sui mali che colpiscono l’istituto del matrimonio e della famiglia: “La poligamia, la piaga del divorzio, il cosiddetto amore libero e altre deturpazioni hanno un effetto oscurante. Inoltre, l’amore coniugale è troppo spesso profanato dall’eccessivo amor proprio, dal culto del piacere e da pratiche illecite contro la generazione umana» (Concilio Vaticano II, Cost. Pastorale Gaudium et Spes, 7 dic. 1965, n. 47).
Fino a poco tempo fa la Chiesa cattolica è rimasta la roccaforte del vero matrimonio e della famiglia, ma gli errori su queste due divine istituzioni sono oggi diffusi negli ambienti cattolici, in particolare dopo i Sinodi Straordinario e Ordinario sulla famiglia, celebrati rispettivamente nel 2014 e nel 2015, e il pubblicazione dell’Esortazione apostolica post-sinodaleAmoris Laetitia.

Di fronte a questa offensiva, i sottoscritti si sentono moralmente obbligati a dichiarare la loro determinazione a rimanere fedeli agli immutabili insegnamenti della Chiesa sulla morale e sui sacramenti del matrimonio, della riconciliazione e dell’eucaristia, e alla sua disciplina senza tempo e duratura riguardo a tali sacramenti.

I. Riguardo alla castità, al matrimonio e ai diritti dei genitori

1. Ribadiamo fermamente la verità che ogni forma di convivenza more uxorio (come marito e moglie) al di fuori di un matrimonio valido contraddice gravemente la volontà di Dio nei suoi santi comandamenti e, di conseguenza, non può contribuire al progresso morale e spirituale delle persone coinvolte o della società.

«L’istituto stesso del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro stessa natura alla procreazione e all’educazione dei figli, e trovano in essi il loro ultimo coronamento. Così, un uomo e una donna, che per il loro patto di amore coniugale «non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,6). In quanto dono reciproco di due persone, questa unione intima e il bene dei figli impongono agli sposi una fedeltà totale e sostengono un’unità indissolubile tra di loro… Gli sposi cristiani hanno uno speciale sacramento dal quale sono fortificati e ricevono una sorta di consacrazione nei doveri e nella dignità del proprio stato» (Concilio Vaticano II, Cost. pastorale Gaudium et Spes, 7 dicembre 1965, n. 48).

2. Ribadiamo fermamente la verità che il matrimonio e l’atto coniugale hanno finalità sia procreative che unitive e che ogni singolo atto coniugale deve essere aperto al dono della vita. Inoltre, affermiamo che questo insegnamento è definitivo e irreformabile.

“È esclusa qualsiasi azione che, prima, al momento o dopo il rapporto sessuale, sia specificamente intesa a impedire la procreazione, sia come fine che come mezzo. Né è valido sostenere, a giustificazione di un rapporto sessuale deliberatamente contraccettivo, che un male minore sia da preferire a uno maggiore, o che tale rapporto si fonderebbe con atti procreativi del passato e del futuro per formare un’unica entità, e quindi essere qualificato esattamente dalla stessa bontà morale di questi. Se è vero che talvolta è lecito tollerare un male morale minore per evitare un male maggiore o per promuovere un bene maggiore, non è mai lecito, anche per i motivi più gravi, fare il male perché ne derivi il bene it (Rm 3,8), cioè intendere direttamente qualcosa che per sua stessa natura contraddice l’ordine morale, e che quindi devono essere giudicati indegni dell’uomo, anche se l’intenzione è quella di proteggere o promuovere il benessere di un individuo, di una famiglia o della società in generale. Di conseguenza, è un grave errore pensare che tutta una vita coniugale di rapporti altrimenti normali possa giustificare rapporti sessuali deliberatamente contraccettivi e quindi intrinsecamente sbagliati» (Paolo VI, EnciclicaHumanae Vitae, 25 luglio 1968, n. 14).

3. Ribadiamo con fermezza la verità che la cosiddetta educazione sessuale è un diritto fondamentale e primario dei genitori, che deve essere esercitata sempre sotto la loro attenta guida, sia in casa, sia nei centri educativi da loro scelti e controllati.

“Un altro gravissimo pericolo è quel naturalismo che oggi invade il campo dell’educazione in quella delicatissima materia della purezza dei costumi. Troppo comune è l’errore di coloro che con pericolosa sicurezza e sotto un brutto termine propagano una cosiddetta educazione sessuale, immaginando falsamente di poter premunire i giovani contro i pericoli della sensualità con mezzi puramente naturali, come un’iniziazione temeraria e precauzionale istruzione per tutti indistintamente, anche in pubblico; e, peggio ancora, esponendoli in tenera età alle occasioni, per abituarli, così si sostiene, e come per indurirli a tali pericoli» (Pio XI, Enciclica Divini Illius Magistri, 31 dic . , 1929, n.65).

“Sarà poi vostro dovere verso le vostre figlie, dovere del padre verso i vostri figli, svelare con cura e delicatezza la verità [delle leggi misteriose e meravigliose della vita] per quanto sembrerà necessario, dare una lettura prudente, vera e cristiana rispondi a quelle domande e tranquillizza i loro animi” (Pio XII, Allocuzione alle Madri di Famiglie Italiane, 26 ottobre 1941).

“[L’educazione dell’opinione pubblica è] in questo campo pervertita dalla propaganda che non si esita a chiamare male, anche se a volte prende origine da fonti cattoliche e mira a farsi strada tra i cattolici – e anche se chi la promuove lo fa non sembrano consapevoli di essere ingannati dallo spirito del male. Qui intendiamo parlare di scritti, libri, articoli riguardanti l’iniziazione sessuale… Anche i principi così saggiamente illustrati dal Nostro Predecessore Pio XI, nell’Enciclica Divini Illius Magistri,sull’educazione sessuale e le questioni connesse a cui sono accantonate: un triste segno dei tempi! Con un sorriso di compassione dicono: ‘Pio XI ha scritto queste cose vent’anni fa per i suoi tempi! Il mondo ha fatto molta strada da allora!’… Combattete insieme, senza timidezza né rispetto umano, per arrestare e reprimere questi movimenti che si autorizzano e si mascherano sotto qualsiasi nome o patronato” (Pio XII, Allocuzione a un gruppo di Padri francesi di Famiglie, 18 settembre 1951).

“Si raccomanda di rispettare il diritto del bambino o del giovane a ritirarsi da qualsiasi forma di istruzione sessuale impartita fuori casa. Né i figli né altri membri della loro famiglia devono mai essere penalizzati o discriminati per questa decisione» (Pontificio Consiglio per la Famiglia, Verità e significato della sessualità umana: Linee guida per l’educazione in famiglia, 8 dicembre 1995, n. 120).

“Nell’insegnamento della dottrina e della morale cattolica sulla sessualità si deve tener conto degli effetti duraturi del peccato originale, cioè della debolezza umana e della necessità della grazia di Dio per vincere le tentazioni ed evitare il peccato” (Pontificio Consiglio per la Famiglia , Orientamenti per l’educazione in famiglia, 8 dicembre 1995, n.123).

“Nessun materiale di natura erotica dovrebbe essere presentato a bambini o giovani di qualsiasi età, individualmente o in gruppo. Questo principio di decenza deve salvaguardare la virtù della castità cristiana. Pertanto, nel trasmettere informazioni sessuali nell’ambito dell’educazione all’amore, l’istruzione deve essere sempre ‘positiva e prudente’ e ‘chiara e delicata’. Queste quattro parole usate dalla Chiesa cattolica escludono ogni forma di contenuto inaccettabile nell’educazione sessuale» (Pontificio Consiglio per la Famiglia, Orientamenti per l’educazione familiare, 8 dicembre 1995, n. 126).

“Oggi i genitori dovrebbero essere attenti ai modi in cui un’educazione immorale può essere trasmessa ai propri figli attraverso vari metodi promossi da gruppi con posizioni e interessi contrari alla morale cristiana. Sarebbe impossibile indicare tutti i metodi inaccettabili. Vengono qui presentati solo alcuni dei metodi più diffusi che minacciano i diritti dei genitori e la vita morale dei loro figli. In primo luogo, i genitori devono rifiutare l’educazione sessuale secolarizzata e antinatalista, che pone Dio ai margini della vita e considera la nascita di un figlio come una minaccia. Questa educazione sessuale è diffusa da grandi organizzazioni e associazioni internazionali che promuovono l’aborto, la sterilizzazione e la contraccezione. Queste organizzazioni vogliono imporre un falso stile di vita contro la verità della sessualità umana” (Pontificio Consiglio per la Famiglia, Orientamenti per l’educazione in famiglia, 8 dicembre 1995, nn. 135-6).

4. Ribadiamo fermamente la verità che la consacrazione definitiva di una persona a Dio attraverso una vita di perfetta castità è oggettivamente più eccellente del matrimonio, perché è una sorta di matrimonio spirituale in cui l’anima è sposata con Cristo. La sacra verginità è stata raccomandata dal nostro Divin Redentore e da san Paolo come stato di vita complementare, ma oggettivamente più perfetto del matrimonio.

“Questa dottrina dell’eccellenza della verginità e del celibato e della loro superiorità sullo stato coniugale fu, come abbiamo già detto, rivelata dal nostro Divin Redentore e dall’Apostolo delle genti; così pure fu solennemente definito come dogma della fede divina dal santo Concilio Tridentino (Sess. XXIV, can. 10) e spiegato allo stesso modo da tutti i santi Padri e Dottori della Chiesa. Infine, Noi ei Nostri Predecessori lo abbiamo spesso esposto e sostenuto con fervore ogni volta che se ne presentava l’occasione. Ma i recenti attacchi a questa dottrina tradizionale della Chiesa, il pericolo che essi costituiscono e il danno che arrecano alle anime dei fedeli Ci inducono, in adempimento dei doveri di Nostro incarico, a riprendere la questione in questa Lettera Enciclica ,Sacra Virginitas, 25 marzo 1954, n. 32).

II. Per quanto riguarda la convivenza, le unioni tra persone dello stesso sesso e il nuovo matrimonio civile dopo il divorzio

5. Ribadiamo fermamente la verità che l’unione irregolare di un uomo e una donna conviventi, o quella di due individui dello stesso sesso, non può mai essere equiparata al matrimonio, ritenuto moralmente lecito, o legalmente riconosciuto, e che è falso affermare che si tratta di forme familiari che possono offrire una certa stabilità.

“Quindi la natura di questo contratto, che è proprio e proprio ad esso solo, lo rende del tutto diverso sia dall’unione degli animali stipulata dal solo istinto cieco della natura in cui né la ragione né il libero arbitrio hanno parte, e anche da le unioni casuali degli uomini, che sono molto lontane da tutte le vere e onorevoli unioni di volontà e non godono di alcuno dei diritti della vita familiare. Da ciò risulta chiaro che l’autorità legittimamente costituita ha il diritto e quindi il dovere di restringere, impedire e punire quelle basse unioni che si oppongono alla ragione e alla natura» (Pio XI, Enciclica Casti Connubii, 31 dicembre 1930 ) .

“La famiglia non può essere equiparata a semplici associazioni o unioni, e queste ultime non possono godere dei diritti particolari connessi esclusivamente alla tutela dell’impegno coniugale e della famiglia fondata sul matrimonio, stabile comunità di vita e di amore, frutto del dono totale e fedele degli sposi, aperti alla vita» (Giovanni Paolo II, Discorso al II Incontro dei Politici e dei Legislatori europei [organizzato dal Pontificio Consiglio per la Famiglia], 23 ottobre 1998).

“È utile capire le differenze sostanziali tra matrimonio e unioni di fatto. Questa è la radice della differenza tra la famiglia originata dal matrimonio e la comunità originata da un’unione di fatto. La comunità familiare nasce dal patto dell’unione dei coniugi. Il matrimonio che scaturisce da questo patto di amore coniugale non è creato da alcuna autorità pubblica: è un’istituzione naturale e originaria che lo precede. Nelle unioni di fatto, invece, l’affetto reciproco è messo in comune ma, al tempo stesso, è assente il vincolo matrimoniale, con la sua originaria dimensione pubblica che fonda la famiglia» (Pontificio Consiglio per la Famiglia, n. Dichiarazione sulla famiglia, il matrimonio e le unioni “di fatto”, 26 luglio 2000).

6. Ribadiamo fermamente la verità che le unioni irregolari di cattolici conviventi mai sposati nella Chiesa, o di divorziati risposati civilmente (non sposati agli occhi di Dio), contraddicono radicalmente e non possono esprimere il bene del matrimonio cristiano, né parzialmente né analogamente , e dovrebbe essere visto come uno stile di vita peccaminoso o come un’occasione permanente di peccato grave. Inoltre, è falso affermare che possano essere un’occasione fatta di elementi costruttivi che portano al matrimonio, perché, nonostante le somiglianze materiali che possono presentare, un matrimonio valido e un’unione irregolare sono due realtà morali del tutto diverse e opposte: una è secondo la volontà di Dio, e l’altro le disobbedisce, ed è quindi peccaminoso.

“Oggi sono molti quelli che rivendicano il diritto all’unione sessuale prima del matrimonio, almeno in quei casi in cui una ferma intenzione di sposarsi e un affetto che è già in qualche modo coniugale nella psicologia dei soggetti esigono questo compimento, che essi giudicano essere connaturale. Ciò è particolarmente vero quando la celebrazione del matrimonio è ostacolata dalle circostanze o quando questa relazione intima sembra necessaria per la conservazione dell’amore. Questa opinione è contraria alla dottrina cristiana, la quale afferma che ogni atto genitale deve rientrare nell’ambito del matrimonio… Attraverso il matrimonio, infatti, l’amore dei coniugi viene assunto in quell’amore che Cristo ha irrevocabilmente per la Chiesa (Ef. 5:25-32), mentre l’unione sessuale dissoluta (1 Cor. 6:

“Possiamo individuare e comprendere la differenza essenziale tra una mera unione di fatto – anche se pretende di fondarsi sull’amore – e il matrimonio, in cui l’amore si esprime in un impegno non solo morale ma rigorosamente giuridico. Il vincolo reciprocamente assunto ha, a sua volta, un effetto rafforzante sull’amore da cui nasce, favorendone la permanenza a vantaggio dei coniugi, dei figli e della stessa società» (Giovanni Paolo II, Discorso al Tribunale della Rota Romana, n. 21 gennaio 1999).

7. Ribadiamo fermamente la verità che le unioni irregolari non possono soddisfare le esigenze oggettive della legge di Dio. Non possono essere ritenute moralmente buone né raccomandate come adempimento prudente e graduale della legge divina, anche a coloro che sembrano non essere in grado di comprendere, apprezzare o attuare pienamente le esigenze di questa legge. La “legge della gradualità” pastorale esige una rottura decisa con il peccato, insieme a un cammino verso l’accettazione piena della volontà di Dio e delle sue amorevoli esigenze.

“Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, una buona intenzione o circostanze particolari possono diminuire il loro male, ma non possono rimuoverlo. Rimangono atti ‘irrimediabilmente’ cattivi; di per sé e in sé non sono suscettibili di essere ordinati a Dio e al bene della persona. «Quanto agli atti che sono essi stessi peccati (cum iam opera ipsa peccata sunt), scrive sant’Agostino, come il furto, la fornicazione, la bestemmia, chi oserebbe affermare che, compiendoli per buoni motivi (causis bonis), non sarebbero più peccati, o, cosa ancora più assurda, che sarebbero peccati giustificati?’ ( Contra Mendacium, VII, 18). Di conseguenza, le circostanze o le intenzioni non possono mai trasformare un atto intrinsecamente cattivo in virtù del suo oggetto in un atto ‘soggettivamente’ buono o difendibile come scelta” (Giovanni Paolo II, EnciclicaVeritatis Splendor, 6 agosto 1993, n. 81).

“A volte sembra che si facciano sforzi concertati per presentare come ‘normali’ e attraenti, e persino per rendere glamour, situazioni che in realtà sono ‘irregolari’” (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie Gratissimam sane, 2 febbraio 1994 , n.5).

III. Sul diritto naturale e la coscienza individuale

8. Ribadiamo fermamente la verità che, nel processo profondamente personale di prendere decisioni, la legge morale naturale non è una mera fonte di ispirazione soggettiva, ma piuttosto la legge eterna di Dio, alla quale la persona umana partecipa. La coscienza non è una fonte arbitraria di bene e di male, ma un richiamo a come un’azione debba rispondere a un’esigenza estrinseca all’uomo, cioè l’intimazione soggettiva e immediata di una legge superiore, che dobbiamo chiamare naturale.

“’La legge naturale è scritta e scolpita nel cuore di ogni uomo, poiché non è altro che la stessa ragione umana che ci comanda di fare il bene e ci ingiunge di non peccare…’. La forza della legge consiste nella sua autorità di imporre doveri, di conferire diritti e di sanzionare determinati comportamenti… «La legge naturale è essa stessa la legge eterna, insita negli esseri dotati di ragione, e che li inclina verso la loro retta azione e fine; non è altro che l’eterna ragione del Creatore e Sovrano dell’universo”» (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, 6 agosto 1993, n. 44, citando Leone XIII, Enciclica Libertas praestantissimum e San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q.91, a.2).

9. Ribadiamo fermamente la verità che una coscienza ben formata, capace di discernere rettamente in situazioni complesse, non giungerà mai alla conclusione che, dati i limiti della persona, il suo permanere in una situazione che contraddice oggettivamente la concezione cristiana del matrimonio può essere suo migliore risposta al Vangelo. Presumere che la debolezza della coscienza di un individuo sia il criterio della verità morale è inaccettabile, e non può essere incorporato nella prassi della Chiesa.

“Gli obblighi fondamentali della legge morale si fondano sull’essenza e sulla natura dell’uomo, e sui suoi rapporti essenziali, e quindi hanno forza ovunque troviamo l’uomo. Gli obblighi fondamentali della legge cristiana, in quanto superiori a quelli della legge naturale, si fondano sull’essenza dell’ordine soprannaturale stabilito dal Divino Redentore. Dalle relazioni essenziali tra uomo e Dio, tra uomo e uomo, tra marito e moglie, tra genitori e figli; dalle essenziali relazioni comunitarie che si trovano nella famiglia, nella Chiesa e nello Stato, consegue, tra l’altro, che l’odio verso Dio, la bestemmia, l’idolatria, l’abbandono della vera fede, la negazione della fede, lo spergiuro, l’assassinio, il sopportare falsa testimonianza, calunnia, adulterio e fornicazione, abuso del matrimonio, peccato solitario, furto e rapina, sottrazione del necessario alla vita, privazione dei lavoratori del giusto salario (Giacomo 5:4), monopolio di generi alimentari vitali e aumento ingiustificato dei prezzi, bancarotta fraudolenta, manovre ingiuste nella speculazione: tutto ciò è gravemente proibito dal Legislatore divino. Non è necessario alcun esame. Qualunque sia la situazione dell’individuo, non gli resta altra via che l’obbedienza» (Pio XII, Discorso sugli errori della morale situazionale, 18 aprile 1952, n. 10).
“Quando invece essi disprezzano la legge, o anche solo la ignorano, colpevolmente o no, i nostri atti ledono la comunione delle persone, a danno di ciascuno” (Giovanni Paolo II, Enc. Veritatis Splendor, 6 ago . , 1993, n.51).

“I precetti negativi della legge naturale sono universalmente validi. Obbligano ogni singolo individuo, sempre e in ogni circostanza. Si tratta di divieti che vietano una determinata azione semper et pro semper, senza eccezioni, perché la scelta di questo tipo di comportamento non è in nessun caso compatibile con la bontà della volontà dell’agente, con la sua vocazione alla vita con Dio e alla comunione con il prossimo. È vietato – a tutti e in ogni caso – violare questi precetti» (Giovanni Paolo II, Enc. Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, n. 52).

“Anche nelle situazioni più difficili l’uomo deve rispettare la norma della morale per essere obbediente al santo comandamento di Dio e coerente con la propria dignità di persona. Certo, il mantenimento di un’armonia tra libertà e verità esige a volte sacrifici non comuni, e deve essere conquistato a caro prezzo: può comportare anche il martirio» (Giovanni Paolo II, Enc. Veritatis splendor, 6 agosto 1993, n. 102 ) .

10. Ribadiamo fermamente la verità che le persone non possono considerare il sesto comandamento e l’indissolubilità del matrimonio come semplici ideali a cui tendere. Si tratta piuttosto di comandi di Cristo Nostro Signore, che ci aiutano con la sua grazia a superare le difficoltà, mediante la nostra costanza.

“È nella Croce salvifica di Gesù, nel dono dello Spirito Santo, nei Sacramenti che sgorgano dal costato squarciato del Redentore (cfr Gv 19,34), che i credenti trovano la grazia e la forza per osserva la santa legge di Dio, anche in mezzo alle più gravi avversità… Solo nel mistero della Redenzione di Cristo scopriamo le possibilità ‘concrete’ dell’uomo. ‘Sarebbe un gravissimo errore concludere… che l’insegnamento della Chiesa sia essenzialmente solo un ‘ideale’ che va poi adattato, proporzionato, graduato alle possibilità cosiddette concrete dell’uomo, secondo un ‘bilanciamento dei beni in domanda.’ Ma quali sono le ‘possibilità concrete dell’uomo’? E di quale uomo stiamo parlando? Dell’uomo dominato dalla concupiscenza o dell’uomo redento da Cristo? Questa è la posta in gioco: la realtà della redenzione di Cristo. Cristo ci ha redenti! Questo significa che ci ha dato la possibilità di realizzare tutta la verità del nostro essere; ha liberato la nostra libertà dal dominio della concupiscenza” (Discorso ai partecipanti al corso sulla “paternità responsabile”, 1 marzo 1984).… Il comando di Dio è naturalmente proporzionato alle capacità dell’uomo; ma alle capacità dell’uomo a cui è stato dato lo Spirito Santo; dell’uomo che, pur essendo caduto nel peccato, può sempre ottenere il perdono e godere della presenza dello Spirito Santo». In questo contesto si tiene opportunamente conto sia della misericordia di Dio verso il peccatore che si converte, sia della comprensione della debolezza umana. Tale comprensione non significa mai compromettere e falsificare lo standard del bene e del male per adattarlo a circostanze particolari. È del tutto umano che il peccatore riconosca la sua debolezza e chieda misericordia per le sue mancanze; ciò che è inaccettabile è l’atteggiamento di chi fa della propria debolezza il criterio della verità sul bene…. Un atteggiamento di questo tipo corrompe la moralità dell’intera società, in quanto induce il dubbio sull’obiettività della legge morale in generale e il rifiuto dell’assolutezza dei divieti morali riguardo a specifici atti umani, e finisce per confondere tutti i giudizi circa valori” (Giovanni Paolo II, Enc.Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, nn. 102-4).

11. Ribadiamo fermamente la verità che la coscienza che ammette che una data situazione non corrisponde oggettivamente alle esigenze evangeliche per il matrimonio non può onestamente concludere che rimanere in tale situazione di peccato sia la risposta più generosa che si possa dare a Dio, né che questa sia ciò che Dio stesso sta chiedendo all’anima in questo momento, poiché entrambe le conclusioni negherebbero il potere onnipotente della grazia di portare i peccatori alla pienezza della vita cristiana.

“Nessuno, per quanto giustificato, deve ritenersi esente dall’osservanza dei comandamenti; nessuno dovrebbe usare quell’affermazione temeraria, un tempo proibita dai Padri sotto anatema, che l’osservanza dei comandamenti di Dio è impossibile per chi è giustificato. Perché Dio non comanda l’impossibile, ma comandando ti ammonisce a fare ciò che puoi e a pregare per ciò che non puoi, e ti aiuta affinché tu possa essere in grado (Sant’Agostino, De Natura et Gratia ,43, 50). I suoi comandamenti non sono pesanti (1 Giovanni 5:3) e il suo giogo è dolce e un carico leggero (Matteo 11:30). Poiché coloro che sono figli di Dio amano Cristo, ma coloro che lo amano osservano i suoi comandamenti, come egli stesso attesta (Giovanni 14:23); che, infatti, con l’aiuto divino possono fare…. Infatti Dio non abbandona coloro che sono stati giustificati una volta per la sua grazia, se prima non è stato abbandonato da loro. Perciò nessuno deve illudersi con la sola fede, pensando che per la sola fede è fatto erede e otterrà l’eredità” (Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, cap. 11).

“Un cristiano non può ignorare che deve sacrificare tutto, anche la vita, per salvare la sua anima. Ce lo ricordano tutti i martiri. I martiri sono numerosissimi, anche nel nostro tempo. La madre dei Maccabei, insieme ai suoi figli; le sante Perpetua e Felicita, nonostante i loro figli appena nati; Maria Goretti, e migliaia di altri, uomini e donne, che la Chiesa venera, hanno essi, di fronte alla ‘situazione’ in cui si sono trovati, inutilmente o anche per errore incorse in una morte cruenta? No, certamente no, e nel loro sangue sono le più esplicite testimoni della verità contro la ‘nuova morale’» (Pio XII, Discorso Soyez les bienvenues alla Federazione Mondiale delle Giovani Donne Cattoliche, 18 aprile 1952, n. 11).

“Le tentazioni si possono vincere, i peccati si possono evitare, perché insieme ai comandamenti il ​​Signore ci dà la possibilità di osservarli: ‘I suoi occhi sono su quelli che lo temono, e conosce ogni azione dell’uomo. Non ha comandato a nessuno di essere empio e non ha concesso a nessuno di peccare» (Sir 15,19-20). Osservare la legge di Dio in situazioni particolari può essere difficile, difficilissimo, ma non è mai impossibile. Questo è l’insegnamento costante della tradizione della Chiesa, ed è stato espresso dal Concilio di Trento» (Giovanni Paolo II, Enc. Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, n. 102).

12. Ribadiamo fermamente la verità che, nonostante la varietà delle situazioni, il discernimento personale e pastorale non può mai portare i divorziati che hanno tentato un matrimonio civile a concludere, in buona coscienza, che la loro unione adultera può essere moralmente giustificata dalla “fedeltà” al loro nuovo partner, che è impossibile recedere dall’unione adultera, o che, così facendo, si espongono a nuovi peccati, o mancano di fedeltà cristiana o naturale al partner adultero. Non si può parlare di fedeltà in un’unione illecita che viola il comandamento di Dio e il vincolo indissolubile del matrimonio. Il pensiero della lealtà tra adulteri nel loro reciproco peccato è blasfemo.
“Contro l’”etica delle situazioni” Abbiamo posto tre considerazioni, o massime. La prima: ammettiamo che Dio voglia, prima e sempre, una retta intenzione. Ma questo non è abbastanza. Vuole anche il buon lavoro. Un secondo principio è che non è permesso fare il male affinché ne derivi il bene (Romani 3:8). Ora questa nuova etica, forse senza rendersene conto, agisce secondo il principio che il fine giustifica i mezzi» (Pio XII, Discorso Soyez les bienvenues alla Federazione Cattolica Mondiale delle Giovani Donne, 18 aprile 1952, n. 11 ).

“Alcuni autori hanno proposto una sorta di doppio statuto della verità morale. [Fanno finta che] al di là del piano dottrinale e astratto, si dovrebbe riconoscere la priorità di una certa considerazione esistenziale più concreta. Quest’ultima, tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare alcune eccezioni alla regola generale e consentire così di fare concretamente e in buona coscienza ciò che la legge morale qualifica come intrinsecamente cattivo. Si stabilisce così in alcuni casi una separazione, o addirittura una contrapposizione, tra l’insegnamento del precetto, che vale in generale, e la norma della coscienza individuale, che prenderebbe infatti la decisione finale su ciò che è bene e ciò che è cattivo. Su questa base,Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, n. 56).

13. Ribadiamo fermamente la verità che i divorziati che hanno tentato il matrimonio civile e che, per motivi gravissimi, come l’educazione dei figli, non possono soddisfare il grave obbligo di separarsi, sono moralmente obbligati a vivere come “fratello e sorella” e a evitare lo scandalo. Ciò significa, in particolare, l’esclusione di tutte le manifestazioni di intimità proprie dei coniugi, poiché queste sarebbero di per sé peccaminose e, inoltre, scandalizzerebbero i loro stessi figli, i quali concluderebbero così che sono legittimamente sposati, o che il matrimonio cristiano non è indissolubile, né che intrattenere rapporti sessuali con una persona che non è il legittimo coniuge non è peccato. Data la delicatezza della loro situazione, devono essere particolarmente attenti alle occasioni di peccato.

“La riconciliazione nel sacramento della Penitenza, che aprirebbe la strada all’Eucaristia, può essere concessa solo a coloro che, pentiti di aver infranto il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad intraprendere un cammino di vita che sia non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò significa, in pratica, che quando, per gravi motivi, quali ad esempio l’educazione dei figli, un uomo e una donna non possono soddisfare l’obbligo di separarsi, essi «assumono il dovere di vivere in completa continenza, cioè l’astinenza dagli atti propri dei coniugi”» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981, n. 84).

IV. A proposito di discernimento, responsabilità, stato di grazia e stato di peccato

14. Ribadiamo fermamente la verità che quei divorziati che hanno tentato il matrimonio civile e che scelgono la loro situazione con piena cognizione e consenso della volontà non sono membri viventi della Chiesa, in quanto si trovano in uno stato di peccato grave che impedisce loro di possedere e crescere nella carità. Inoltre, sottolineiamo che Papa San Pio V nella sua Bolla Ex Omnibus Affflictionibus contro gli errori di Michael du Bay, detto anche Baius, condannò la seguente opinione morale: “L’uomo esistente nello stato di peccato mortale, o sotto pena di eterno la dannazione può avere la vera carità” (Denz. 1070).

“Secondo san Tommaso, per vivere spiritualmente l’uomo deve rimanere in comunione con il principio supremo della vita, che è Dio, poiché Dio è il fine ultimo dell’essere e dell’agire dell’uomo. Ora, il peccato è un disordine perpetrato dall’essere umano contro questo principio di vita. E quando, col peccato, «l’anima commette un disordine che giunge ad allontanarsi dal suo ultimo fine Dio, al quale è legata dalla carità, allora il peccato è mortale; invece, qualora il disordine non giunga fino all’allontanamento da Dio, il peccato è veniale» (S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae,I-II, q. 72, A. 5). Per questo il peccato veniale non priva il peccatore della grazia santificante, dell’amicizia con Dio, della carità e quindi della beatitudine eterna, mentre proprio tale privazione è appunto conseguenza del peccato mortale» (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 2 dic . 1984, n.17).

“Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Pretende di rompere il contratto, al quale i coniugi hanno liberamente acconsentito, di vivere insieme fino alla morte. Il divorzio nuoce all’alleanza di salvezza, di cui il matrimonio sacramentale è il segno. Contrarre una nuova unione, anche se riconosciuta dal diritto civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova allora in una situazione di adulterio pubblico e permanente. Se un marito, separato dalla moglie, si avvicina a un’altra donna, è un adultero perché fa commettere adulterio a quella donna, e la donna che vive con lui è un’adultera, perché ha attirato a sé il marito di un altro» (Catechismo della Chiesa Cattolica Chiesa, n.2384).

15. Ribadiamo fermamente la verità che non c’è una via di mezzo tra l’essere nella grazia di Dio e l’essere privati ​​di essa a causa del peccato mortale. La via della grazia e della crescita spirituale per chi vive in uno stato oggettivo di peccato consiste nell’abbandonare quella situazione, e ritornare su un cammino di santificazione che dia gloria a Dio. Nessun “approccio pastorale” può giustificare o incoraggiare le persone a rimanere in uno stato di peccato, contrario alla legge di Dio.

“Resta pur sempre vero che la distinzione essenziale e decisiva è tra il peccato che distrugge la carità e il peccato che non uccide la vita soprannaturale: non c’è via di mezzo tra la vita e la morte” (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 2 dic . 1984, n.17).

“’Bisognerà fare attenzione a non ridurre il peccato mortale ad un atto di ‘opzione fondamentale’ – come si dice oggi comunemente – contro Dio’, inteso o come rifiuto esplicito e formale di Dio e del prossimo o come implicita e inconsapevole rifiuto dell’amore. “Poiché il peccato mortale esiste anche quando una persona consapevolmente e volontariamente, per qualsiasi motivo, sceglie qualcosa di gravemente disordinato…. [La] persona si allontana da Dio e perde la carità. Di conseguenza, l’orientamento fondamentale può essere radicalmente modificato da atti particolari. Chiaramente possono verificarsi situazioni molto complesse e oscure dal punto di vista psicologico, che influiscono sull’imputabilità soggettiva del peccatore.Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, n. 70).

16. Ribadiamo fermamente la verità che, poiché Dio è onnisciente, la legge rivelata e quella naturale prevedono tutte le situazioni particolari, specialmente quando vietano determinate azioni in qualsiasi circostanza, bollandole come “intrinsecamente cattive” (intrinsece malum).

“Si chiederà come la legge morale, che è universale, possa essere sufficiente, e anche avere forza vincolante, in un caso singolo, che, in concreto, è sempre unico e ‘accade una volta sola’. Può essere sufficiente e vincolante, ed effettivamente lo è perché, proprio in ragione della sua universalità, la legge morale include necessariamente e ‘intenzionalmente’ tutti i casi particolari in cui si verifica il suo significato. In moltissimi casi lo fa con una logica così convincente che anche la coscienza dei semplici fedeli vede immediatamente, e con piena certezza, la decisione da prendere» (Pio XII, Discorso Soyez les bienvenues alla Catholic World Federation of Young Women, 18 aprile 1952, n.9).

“Esistono atti che, di per sé e di per sé, indipendentemente dalle circostanze, sono sempre gravemente illeciti in ragione del loro oggetto. Questi atti, se compiuti con sufficiente consapevolezza e libertà, sono sempre gravemente peccaminosi» (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 2 dicembre 1984, n. 17).

“La ragione attesta che vi sono oggetti dell’atto umano che sono per loro natura ‘incapaci di essere ordinati’ a Dio, perché contraddicono radicalmente il bene della persona fatta a sua immagine. Sono questi gli atti che, nella tradizione morale della Chiesa, sono stati definiti «intrinsecamente cattivi» (intrinsece malum): sono tali sempre e per sé, cioè per il loro stesso oggetto, e del tutto prescindendo dalle intenzioni ulteriori di chi agisce e delle circostanze… Insegnando l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la Chiesa accoglie l’insegnamento della Sacra Scrittura. L’apostolo Paolo afferma con enfasi: “Non v’ingannate: né immorali, né idolatri, né adulteri, né pervertiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né oltraggiatori, né ladri erediteranno il regno di Dio” (1 Cor. 6,9-10)” (Giovanni Paolo II, Enc.Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, n. 80).

17. Ribadiamo fermamente la verità che la complessità delle situazioni e il diverso grado di responsabilità tra i casi (dovuto a fattori che possono limitare la capacità di prendere una decisione) non consentono ai pastori di concludere che coloro che sono in unioni irregolari non sono in un obiettivo stato di peccato grave manifesto, e presumere in foro esterno che coloro che in tali unioni non ignorano le norme matrimoniali non si siano privati ​​della grazia santificante.

“L’individuo può essere condizionato, incitato e influenzato da numerosi e potenti fattori esterni. Può anche essere soggetto a tendenze, difetti e abitudini legate alla sua condizione personale. In non pochi casi tali fattori esterni ed interni possono attenuare, in misura maggiore o minore, la libertà della persona e quindi la sua responsabilità e colpa. Ma è una verità di fede, confermata anche dalla nostra esperienza e dalla nostra ragione, che la persona umana è libera. Questa verità non può essere ignorata per addossare la colpa dei peccati degli individui a fattori esterni come strutture, sistemi o altre persone. Ciò significherebbe soprattutto negare la dignità e la libertà della persona, che si manifestano – sia pure in modo negativo e disastroso – anche in questa responsabilità per il peccato commesso. Reconciliatio et Paenitentia, 2 dicembre 1984, n. 16).

“È sempre possibile che l’uomo, per effetto di coercizione o di altre circostanze, possa essere impedito dal compiere certe azioni buone; ma non gli si può mai impedire di non compiere certe azioni, soprattutto se è disposto a morire piuttosto che a fare il male» (Giovanni Paolo II, Enc. Veritatis splendor, 6 agosto 1993, n. 52).

18. Ribadiamo fermamente la verità che, poiché l’uomo è dotato di libero arbitrio, ogni atto morale consapevole e volontario da lui compiuto deve essere imputato a lui, suo autore, e che, in mancanza di prova contraria, l’imputabilità deve essere presunta. L’imputabilità esteriore non va confusa con lo stato interiore di coscienza. Fermo restando che “de internis neque Ecclesia iudicat” (la Chiesa non giudica ciò che è interno – solo Dio può farlo), la Chiesa può tuttavia giudicare atti che sono direttamente contrari alla Legge divina.

“Benché sia ​​necessario credere che i peccati non sono rimessi né mai sono stati rimessi se non gratuitamente per misericordia divina per amore di Cristo, tuttavia non si deve dire che i peccati sono rimessi o sono stati rimessi a chi si vanta della sua fiducia e certezza di la remissione dei suoi peccati, basandosi solo su questo, sebbene tra gli eretici e gli scismatici questa fiducia vana ed empia possa essere e nei nostri tempi difficili sia davvero trovata e predicata con instancabile furia contro la Chiesa cattolica. Inoltre, non si deve sostenere che coloro che sono veramente giustificati debbano necessariamente, senza alcun dubbio, convincersi di essere giustificati» (Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, cap. 9).

“Quando è avvenuta una violazione esterna, si presume l’imputabilità, salvo che non risulti altrimenti” (CIC, can. 1321, § 3).

“Ogni atto direttamente voluto è imputabile al suo autore” ( Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1736).

“Il giudizio sul proprio stato di grazia spetta ovviamente solo all’interessato, trattandosi di un esame di coscienza. Tuttavia, nei casi di comportamenti esteriori gravemente, manifestamente e fermamente contrari alla norma morale, la Chiesa, nella sua sollecitudine pastorale per il buon ordine della comunità e per rispetto del sacramento, non può non sentirsi direttamente coinvolta. A questa situazione di manifesta mancanza di un’adeguata disposizione morale si riferisce il Codice di Diritto Canonico quando afferma che coloro che «persistono ostinatamente nel peccato grave manifesto» [can. 915] non sono ammessi alla comunione eucaristica» (Giovanni Paolo II, Enciclica Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, n. 37).

V. Riguardo ai Sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia

19. Ribadiamo fermamente la verità che, trattando con i penitenti, i confessori li aiutino ad esaminarsi sui doveri specifici dei Comandamenti, li aiutino a giungere a un pentimento sufficiente e ad accusarsi pienamente dei peccati gravi, nonché a consigliarli abbracciare la via della santità. Così facendo, il confessore è tenuto ad ammonire i penitenti riguardo a trasgressioni oggettivamente gravi della Legge di Dio, e ad assicurarsi che essi desiderino veramente l’assoluzione e il perdono di Dio, e siano decisi a riesaminare e correggere il loro comportamento. Anche se la frequente ricaduta nei peccati non è di per sé un motivo per negare l’assoluzione, essa non può essere data senza un sufficiente pentimento, o la ferma risoluzione di evitare il peccato in futuro.

“La verità, che viene dalla Parola e deve condurci a Lui, spiega perché la confessione sacramentale non deve scaturire ed essere accompagnata da un mero impulso psicologico, come se il sacramento fosse un sostituto della psicoterapia, ma da un dolore fondato su motivi soprannaturali , perché il peccato viola la carità verso Dio, Sommo Bene, fu causa delle sofferenze del Redentore e ci fa perdere i beni dell’eternità… Purtroppo molti fedeli oggi si accostano al sacramento della Penitenza senza fare una completa accusa dei loro peccati mortali nel senso appena accennato dal Concilio di Trento. A volte reagiscono al prete confessore, che li interroga doverosamente sulla necessaria completezza, come se si concedesse un’indebita intrusione nel santuario della coscienza. Auspico e prego che questi fedeli non illuminati si convincano, anche in virtù di questo presente insegnamento, che la norma che esige completezza in genere e numero, per quanto si può conoscere da una memoria onestamente esaminata, non è un onere loro imposto arbitrariamente, ma un mezzo di liberazione e serenità. È anche evidente che l’accusa di peccati deve includere la seria intenzione di non commetterli più in futuro. Se manca questa disposizione d’animo, non c’è proprio pentimento: si tratta infatti del male morale in quanto tale, e quindi non prendere posizione contraria a un possibile male morale significherebbe non detestare il male, non pentirsi. Ma come questo deve nascere soprattutto dal dolore per aver offeso Dio, così il proposito di non peccare deve fondarsi sulla grazia divina, che il Signore non manca mai di dare a chi fa ciò che può per agire onestamente… Si ricordi anche che altro è l’esistenza del pentimento sincero, altro è il giudizio dell’intelletto sul futuro: è infatti possibile che, nonostante la sincera intenzione di non peccare più, l’esperienza passata e la consapevolezza della debolezza umana fa temere di ricadere; ma ciò non compromette l’autenticità dell’intenzione, quando quel timore si unisce alla volontà, sostenuta dalla preghiera, di fare il possibile per evitare il peccato» (Giovanni Paolo II, Lettera alla Penitenzieria Apostolica, 22 marzo 1996, nn.3-5). nonostante la sincera intenzione di non peccare più, l’esperienza passata e la consapevolezza della debolezza umana fa temere di ricadere; ma ciò non compromette l’autenticità dell’intenzione, quando quel timore si unisce alla volontà, sostenuta dalla preghiera, di fare il possibile per evitare il peccato» (Giovanni Paolo II, Lettera alla Penitenzieria Apostolica, 22 marzo 1996, nn.3-5). nonostante la sincera intenzione di non peccare più, l’esperienza passata e la consapevolezza della debolezza umana fa temere di ricadere; ma ciò non compromette l’autenticità dell’intenzione, quando quel timore si unisce alla volontà, sostenuta dalla preghiera, di fare il possibile per evitare il peccato» (Giovanni Paolo II, Lettera alla Penitenzieria Apostolica, 22 marzo 1996, nn.3-5).

20. Ribadiamo con fermezza la verità che i divorziati che hanno tentato un matrimonio civile e non si separano, ma restano invece nel loro oggettivo stato di adulterio, non possono mai essere considerati dai confessori e dagli altri pastori d’anime come viventi in un oggettivo stato di grazia, capaci di crescere nella vita di grazia e di carità e legittimati a ricevere l’assoluzione nel Sacramento della Penitenza, o essere ammessi alla Santa Eucaristia, a meno che non esprimano contrizione per il loro stato di vita e si risolvano fermamente ad abbandonarlo, anche se, soggettivamente, questi divorziati possono non sentirsi colpevoli, o non pienamente, della loro situazione peccaminosa oggettivamente grave, per fattori condizionanti e attenuanti.

“Mi riferisco ad alcune situazioni, oggi non infrequenti, che colpiscono cristiani desiderosi di continuare la loro pratica religiosa sacramentale, ma che ne sono impediti dalla loro condizione personale, non in sintonia con gli impegni liberamente assunti davanti a Dio e alla Chiesa … Basandosi su questi due principi complementari [di compassione e veridicità], la Chiesa non può che invitare i suoi figli che si trovano in queste situazioni dolorose ad avvicinarsi alla divina misericordia per altre vie, non però attraverso i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia fino a non appena abbiano acquisito le disposizioni richieste. Su questo argomento, che tormenta profondamente anche i nostri animi pastorali, mi è parso preciso dovere pronunciare parole chiare nell’esortazione apostolica Familiaris consortio,per quanto riguarda il caso dei divorziati risposati, come pure il caso dei cristiani conviventi in unione irregolare» (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 2 dicembre 1984, n. 34).

“È da riprovare ogni pratica che limiti la confessione ad una generica accusa di peccato o solo di uno o due peccati giudicati più importanti” (Giovanni Paolo II, Motu proprio Misericordia Dei, 7 aprile 2002, n. 3).

“È chiaro che i penitenti che vivono in uno stato abituale di peccato grave e che non intendono cambiare la loro situazione non possono ricevere validamente l’assoluzione” (Giovanni Paolo II, Misericordia Dei, 7 aprile 2002, n. 7 c.).

21. Ribadiamo fermamente la verità che, nei confronti dei divorziati che hanno tentato il matrimonio civile e vivono apertamente more uxorio (come marito e moglie), nessun responsabile discernimento personale e pastorale può sostenere che sia consentita l’assoluzione sacramentale o l’ammissione all’Eucaristia, ai sensi l’affermazione che, per diminuita responsabilità, non sussista colpa grave. La ragione di ciò è che la loro eventuale mancanza di colpevolezza formale non può essere di pubblico dominio, mentre il loro stato esteriore di vita contraddice oggettivamente il carattere indissolubile del matrimonio cristiano e di quell’unione d’amore tra Cristo e la Chiesa, che è significata e realizzata dalla Santa Eucaristia.

“La Chiesa ribadisce la sua prassi, basata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati. Non possono esservi ammessi per il fatto che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata e realizzata dall’Eucaristia. Oltre a questo, c’è un altro motivo pastorale speciale: se queste persone fossero ammesse all’Eucaristia, i fedeli sarebbero indotti in errore e confusione circa l’insegnamento della Chiesa circa l’indissolubilità del matrimonio” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 22 nov . 1981, n.84).
“Negli ultimi anni, in diverse regioni, sono state suggerite diverse soluzioni pastorali in questo ambito secondo le quali, certo, non sarebbe possibile una generalizzata ammissione dei divorziati risposati alla comunione eucaristica, ma i fedeli divorziati risposati potrebbero accostarsi alla Santa Comunione in casi specifici quando si ritengano autorizzati secondo un giudizio di coscienza a farlo. Sarebbe il caso, ad esempio, quando fossero stati abbandonati in modo del tutto ingiusto, sebbene avessero sinceramente cercato di salvare il precedente matrimonio, o quando fossero convinti della nullità del loro precedente matrimonio, pur non potendo dimostrarlo in foro esterno o quando hanno attraversato un lungo periodo di riflessione e penitenza, o anche quando per ragioni moralmente valide non possono soddisfare l’obbligo di separarsi. In alcuni luoghi è stato anche proposto che, per esaminare obiettivamente la loro situazione attuale, i divorziati risposati debbano consultare un sacerdote prudente ed esperto. Questo sacerdote, però, dovrebbe rispettare la loro eventuale decisione di accostarsi alla Santa Comunione, senza che ciò implichi un’autorizzazione ufficiale. In questi e simili casi si tratterebbe di una soluzione pastorale tollerante e benevola per rendere giustizia alle diverse situazioni dei divorziati risposati. Anche se analoghe soluzioni pastorali sono state proposte da alcuni Padri della Chiesa e in qualche misura sono state praticate, tuttavia queste non hanno mai raggiunto il consenso dei Padri e in nessun modo sono venute a costituire la dottrina comune della Chiesa né a determinarne la disciplina. … In fedeltà alle parole di Gesù Cristo, la Chiesa afferma che una nuova unione non può essere riconosciuta valida se il matrimonio precedente era valido. Se i divorziati si risposano civilmente, si trovano in una situazione che contravviene oggettivamente alla legge di Dio. Di conseguenza, non possono ricevere la Santa Comunione finché persiste questa situazione” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la ricezione della Santa Comunione da parte dei fedeli divorziati risposati, 14 sett. , 1994, nn.3-4). Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla ricezione della Santa Comunione da parte dei fedeli divorziati risposati, 14 settembre 1994, nn. 3-4). Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla ricezione della Santa Comunione da parte dei fedeli divorziati risposati, 14 settembre 1994, nn. 3-4).

“L’accoglienza del Corpo di Cristo quando si è pubblicamente indegni costituisce un danno oggettivo alla comunione ecclesiale: è un comportamento che lede i diritti della Chiesa e di tutti i fedeli a vivere secondo le esigenze di tale comunione. Nel caso concreto dell’ammissione alla santa Comunione di fedeli divorziati risposati, lo scandalo, inteso come azione che spinge altri verso il male, colpisce contemporaneamente sia il sacramento dell’Eucaristia sia l’indissolubilità del matrimonio. Quello scandalo esiste anche se tale comportamento, purtroppo, non desta più sorpresa: infatti è proprio rispetto alla deformazione della coscienza che diventa più necessario che i Pastori agiscano, con altrettanta pazienza quanto fermezza,

22. Ribadiamo fermamente la verità che la certezza soggettiva in coscienza circa l’invalidità di un precedente matrimonio da parte dei divorziati che hanno tentato un matrimonio civile (sebbene la Chiesa consideri ancora valido il loro precedente matrimonio) non è mai sufficiente, da sola, a scusare dal peccato materiale dell’adulterio, o permettere di ignorare la valutazione canonica e le conseguenze sacramentali del vivere da pubblico peccatore.

“L’errata convinzione di un divorziato risposato di poter ricevere la santa Comunione presuppone normalmente che la coscienza personale sia ritenuta in ultima analisi capace, sulla base delle proprie convinzioni (cfr Enciclica Veritatis splendor, 55), di venire ad una decisione sull’esistenza o meno di un precedente matrimonio e sul valore della nuova unione. Tuttavia, una tale posizione è inammissibile (cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 1085 § 2). Il matrimonio, infatti, poiché è sia immagine del rapporto sponsale tra Cristo e la sua Chiesa, sia nucleo fondamentale e fattore importante della vita della società civile, è essenzialmente una realtà pubblica… Così il giudizio di coscienza di la propria situazione coniugale non riguarda solo il rapporto immediato tra l’uomo e Dio, come se si potesse prescindere dalla mediazione della Chiesa, che comprende anche le leggi canoniche vincolanti in coscienza. Non riconoscere questo aspetto essenziale significherebbe infatti negare che il matrimonio sia una realtà della Chiesa, cioè un sacramento» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Comunione dei fedeli divorziati risposati, sett. 14, 1994, 7-8).

23. Ribadiamo fermamente la verità che «il Battesimo e la Penitenza sono come medicine purgative, date per togliere la febbre del peccato, mentre questo sacramento [la Santa Eucaristia] è una medicina data per fortificare, e non deve essere dato se non per coloro che sono liberati dal peccato» (San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae,III, q. 80, a.4, ad 2). Coloro che ricevono la Santa Eucaristia sono davvero partecipi del Corpo e del Sangue di Cristo e devono esserne degni essendo in stato di grazia. I divorziati che hanno tentato un matrimonio civile, e quindi conducono uno stile di vita oggettivo e pubblicamente peccaminoso, rischiano di commettere un sacrilegio ricevendo la Santa Comunione. Per loro la Santa Comunione non sarebbe una medicina ma un veleno spirituale. Se un celebrante acconsente alla loro indegna Comunione, o non crede alla presenza reale di Cristo, o all’indissolubilità del matrimonio, o alla peccaminosità del vivere more uxorio (come marito e moglie) al di fuori di un matrimonio valido.

“Va ricordato che l’Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali, che è proprio del Sacramento della Riconciliazione. L’Eucaristia è propriamente il sacramento di coloro che sono in piena comunione con la Chiesa’” (Sacra Congregazione per la Liturgia e la disciplina dei Sacramenti, Lettera circolare circa l’integrità del Sacramento della Penitenza, 20 marzo 2000, n. 9 ).

“Il divieto [di dare l’Eucaristia ai pubblici peccatori] contenuto nel citato canone [can. 915], per sua natura deriva dal diritto divino e trascende l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste ultime non possono introdurre modifiche legislative contrarie alla dottrina della Chiesa. Il testo scritturale su cui si è sempre basata la tradizione ecclesiale è quello di san Paolo: «Ciò significa che chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore indegnamente pecca contro il corpo e il sangue del Signore. Un uomo dovrebbe prima esaminare se stesso, solo allora dovrebbe mangiare del pane e bere dal calice. Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo, mangia e beve un giudizio su se stesso» (1 Cor 11,27).… Qualsiasi interpretazione del can. 915 che si contrapporrebbe al contenuto sostanziale del canone, come dichiarato ininterrottamente dal Magistero e dalla disciplina della Chiesa lungo i secoli, è chiaramente fuorviante. Non si può confondere il rispetto della formulazione della legge (cfr. can. 17) con l’uso improprio della stessa formulazione come strumento per relativizzare i precetti o svuotarli della loro sostanza. L’espressione «e altri che ostinatamente persistono in peccato grave manifesto» è chiara e va intesa in modo da non stravolgerne il senso in modo da rendere inapplicabile la norma. Le tre condizioni richieste sono: a) peccato grave, inteso oggettivamente, essendo che il ministro della Comunione non potrebbe giudicare dall’imputabilità soggettiva; b) persistenza ostinata, il che significa l’esistenza di una situazione oggettiva di peccato che perdura nel tempo e che la volontà del singolo fedele non pone fine, non essendo necessario stabilire altri requisiti (atteggiamento di sfida, ammonimento preventivo, ecc.) la fondamentale gravità della situazione nella Chiesa; c) il carattere manifesto della situazione di grave peccato abituale.
“Vi sono però cattolici divorziati risposati che per gravi motivi – ad esempio l’educazione dei figli – non possono ‘adempiere all’obbligo di separarsi’, ma ‘assumono l’impegno di vivere in completa continenza, cioè di astenersi dagli atti propri degli sposi» (Familiaris consortio, n. 84), e che in base a tale intenzione hanno ricevuto il sacramento della Penitenza. Tali cattolici non sono in una situazione di peccato grave abituale”. Posto che il fatto che questi fedeli non stiano vivendo more uxorio è di per sé occulto, mentre la loro condizione di divorziati risposati è di per sé manifesta, essi potranno ricevere la Comunione eucaristica solo remoto scandalo…. Nelle situazioni, invece, in cui tali misure cautelari non hanno avuto effetto o non sono state possibili, il ministro della Comunione deve rifiutarsi di distribuirla a coloro che sono pubblicamente indegni. Lo facciano con estrema carità, e cerchino il momento opportuno per spiegare le ragioni che hanno richiesto il rifiuto. Devono però farlo con fermezza, consapevoli del valore che tali segni di forza hanno per il bene della Chiesa e delle anime…. Tenuto conto della natura della suddetta norma (cfr. n. 1), nessuna autorità ecclesiastica può dispensare in ogni caso il ministro della santa Comunione da tale obbligo, né emanare direttive che lo contraddicano» (Pontificio Consiglio per la Testi, Comunione dei fedeli divorziati risposati, nn.1-4). e sono da ricercare il momento opportuno per spiegare i motivi che hanno richiesto il rifiuto. Devono però farlo con fermezza, consapevoli del valore che tali segni di forza hanno per il bene della Chiesa e delle anime…. Tenuto conto della natura della suddetta norma (cfr. n. 1), nessuna autorità ecclesiastica può dispensare in ogni caso il ministro della santa Comunione da tale obbligo, né emanare direttive che lo contraddicano» (Pontificio Consiglio per la Testi, Comunione dei fedeli divorziati risposati, nn.1-4). e sono da ricercare il momento opportuno per spiegare i motivi che hanno richiesto il rifiuto. Devono però farlo con fermezza, consapevoli del valore che tali segni di forza hanno per il bene della Chiesa e delle anime…. Tenuto conto della natura della suddetta norma (cfr. n. 1), nessuna autorità ecclesiastica può dispensare in ogni caso il ministro della santa Comunione da tale obbligo, né emanare direttive che lo contraddicano» (Pontificio Consiglio per la Testi, Comunione dei fedeli divorziati risposati, nn.1-4).

Profezie di Nostra Signora del Buon Successo sui Nostri Tempi

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24. Ribadiamo fermamente la verità che, secondo la logica del Vangelo, gli uomini che muoiono in stato di peccato mortale, non riconciliati con Dio, sono condannati all’inferno per sempre. Nei Vangeli Gesù parla spesso del pericolo della dannazione eterna.

“Se [i fedeli cattolici] non risponderanno più a quella grazia in pensieri, parole e opere, non solo non saranno salvati, ma saranno tanto più severamente giudicati” (Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 21 nov . 1964 , n.14).

“Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo è l’amore stesso. Ne consegue la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è redenta dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno, perché la nostra libertà ha il potere di fare scelte per sempre, senza tornare indietro. Tuttavia, sebbene si possa giudicare che un atto costituisce di per sé una grave offesa, bisogna affidare alla giustizia e alla misericordia di Dio il giudizio delle persone» ( Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1861).

VI. Sull’atteggiamento materno e pastorale della Chiesa

25. Ribadiamo fermamente che il chiaro insegnamento della verità è un’opera eminente di misericordia e di carità, perché il primo compito salvifico degli Apostoli e dei loro successori è l’obbedienza al solenne comando del Salvatore: «Andate dunque e fate discepoli di tutte le nazioni… insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20).

“La dottrina cattolica ci dice che il dovere primario della carità non sta nella tolleranza delle false idee, per quanto sincere, né nell’indifferenza teorica o pratica verso gli errori e i vizi in cui vediamo immersi i nostri fratelli, ma nella zelo per il loro miglioramento intellettuale e morale come pure per il loro benessere materiale…. Ogni altro tipo di amore è pura illusione, sterile e fugace» (Pio X, Enciclica Notre Charge Apostolique, 15 ago. 1910).

“La Chiesa è sempre la stessa e rimane immutabile secondo la volontà di Cristo e la vera tradizione che l’ha perfezionata”. (Paolo VI, Omelia, 28 ottobre 1965).

“È una straordinaria manifestazione di carità verso le anime il non omettere nulla dalla dottrina salvifica di Cristo; ma questo deve essere sempre unito alla tolleranza e alla carità, come Cristo stesso ha mostrato nei suoi colloqui e rapporti con gli uomini. Infatti, quando è venuto non per giudicare, ma per salvare il mondo, non era egli amaramente severo verso il peccato, ma paziente e ricco di misericordia verso i peccatori? (Paolo VI, Enc. Humanae vitae, 25 luglio 1968, n. 29).

“L’insegnamento della Chiesa, e in particolare la sua fermezza nel difendere la validità universale e permanente dei precetti che proibiscono gli atti intrinsecamente malvagi, non di rado è vista come il segno di un’intransigenza intollerabile, soprattutto nei confronti delle situazioni di enorme complessità e conflittualità presenti nella vita morale degli individui e della società odierna; questa intransigenza sarebbe in contrasto con la maternità della Chiesa. La Chiesa, si sente dire, manca di comprensione e di compassione. Ma la maternità della Chiesa non può mai disgiungersi, infatti, dalla sua missione di insegnamento, che essa deve sempre svolgere come Sposa fedele di Cristo, che è la Verità in persona. “Come Maestra, non si stanca mai di proclamare la norma morale… La Chiesa non è in alcun modo l’autore o l’arbitro di questa norma. In obbedienza alla verità che è Cristo,Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, n. 95).

26. Ribadiamo con fermezza la verità che l’impossibilità di dare l’assoluzione e la santa Comunione ai cattolici che vivono manifestamente in uno stato oggettivo di peccato grave, come quelli che convivono, o i divorziati che hanno tentato un matrimonio civile, deriva dalla cura materna della Chiesa , poiché Ella non è la proprietaria dei Sacramenti, ma piuttosto «l’amministratore fedele dei misteri di Dio» (1 Cor 4,1).

“Come maestri e custodi della verità salvifica dell’Eucaristia, dobbiamo sempre e ovunque custodire questo senso e questa dimensione dell’incontro sacramentale e dell’intimità con Cristo… Dobbiamo sempre vigilare affinché questo grande incontro con Cristo nell’Eucaristia non diventi una mera abitudine, e che non lo riceviamo indegnamente, cioè in stato di peccato mortale… Non possiamo, neanche per un momento, dimenticare che l’Eucaristia è un bene speciale che appartiene a tutta la Chiesa. È il dono più grande nell’ordine della grazia e del sacramento che lo Sposo divino ha offerto e offre incessantemente alla sua sposa. E proprio perché è un tale dono, tutti noi dovremmo, in spirito di profonda fede, lasciarci guidare da un senso di responsabilità veramente cristiana. … L’Eucaristia è un bene comune di tutta la Chiesa come sacramento della sua unità. E quindi la Chiesa ha lo stretto dovere di precisare tutto ciò che concerne la partecipazione ad essa e la sua celebrazione» (Giovanni Paolo II, LettDominicae Cenae, 24 febbraio 1980, nn. 4-12).

“Questo non significa che la Chiesa non prenda a cuore la situazione di questi fedeli, che peraltro non sono esclusi dalla comunione ecclesiale. Si preoccupa di accompagnarli pastoralmente e di invitarli a partecipare alla vita della Chiesa nella misura compatibile con le disposizioni del diritto divino, dalle quali la Chiesa non ha il potere di dispensare» (Congregazione per la Dottrina della Fede, n. Comunione ai divorziati risposati, 14 settembre 1994, n.6).

“Nell’azione pastorale si deve fare tutto il possibile perché questa sia intesa non come questione di discriminazione ma solo di assoluta fedeltà alla volontà di Cristo che ci ha restaurato e nuovamente affidato l’indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore . Sarà necessario che i pastori e la comunità dei fedeli soffrano e amino solidali con le persone interessate perché riconoscano nel loro peso il dolce giogo e il leggero peso di Gesù. Il loro carico non è dolce e leggero nel senso di essere piccolo o insignificante, ma diventa leggero perché il Signore – e con lui tutta la Chiesa – lo condivide. È compito dell’azione pastorale, da svolgere con totale dedizione, offrire questo aiuto, fondato insieme nella verità e nell’amore» (Congregazione per la Dottrina della Fede, n. Comunione ai divorziati risposati, 14 settembre 1994, n. 10).

«Nel corso dei secoli, la celebrazione del sacramento della Penitenza si è sviluppata in forme diverse, ma ha sempre mantenuto la stessa struttura di fondo: implica necessariamente non solo l’azione del ministro, ma solo un Vescovo o sacerdote, che giudica e assolve, cura e guarisce nel nome di Cristo, ma anche le azioni del penitente: contrizione, confessione e soddisfazione» (Giovanni Paolo II, Misericordia Dei, 7 aprile 2002, proemio).

VII. Sulla validità universale del magistero costante della Chiesa

27. Ribadiamo fermamente la verità che le questioni dottrinali, morali e pastorali concernenti i Sacramenti dell’Eucaristia, della Penitenza e del Matrimonio devono essere risolte con interventi del Magistero e, per loro stessa natura, precludono interpretazioni contraddittorie di tale insegnamento, o il disegno di conseguenze pratiche sostanzialmente diverse, in quanto ogni paese o regione può cercare soluzioni più adatte alla propria cultura e sensibili alla propria tradizione e alle esigenze locali.

“Il principio sotteso a queste nuove opinioni è che, per attrarre più facilmente coloro che sono diversi da lei, la Chiesa dovrebbe modellare i suoi insegnamenti più secondo lo spirito del tempo e allentare un po’ della sua antica severità e fare alcune concessioni a nuove opinioni. Molti pensano che queste concessioni debbano essere fatte non solo riguardo ai modi di vivere, ma anche riguardo alle dottrine che appartengono al deposito della fede. Sostengono che sarebbe opportuno, per guadagnare coloro che differiscono da noi, omettere alcuni punti del suo insegnamento che sono di minore importanza, e attenuare il significato che la Chiesa ha sempre attribuito loro. Non servono molte parole, figlio prediletto, per provare la falsità di queste idee se si ricorda la natura e l’origine della dottrina che la Chiesa propone. Il Concilio Vaticano [Constitutio de Fide Catholica, cap. IV] dice riguardo a questo punto: ‘Infatti la dottrina della fede che Dio ha rivelato non è stata proposta, come un’invenzione filosofica da perfezionare con l’ingegno umano, ma è stata consegnata come deposito divino alla Sposa di Cristo per essere fedelmente custodita e dichiarato infallibilmente. Quindi quel significato dei sacri dogmi è da conservare perpetuamente, che la nostra Santa Madre, la Chiesa, una volta ha dichiarato, né da quel significato si deve mai allontanarsi sotto la pretesa o il pretesto di una più profonda comprensione di essi.’” (Leone XIII) , Enciclica ma è stato consegnato come deposito divino alla Sposa di Cristo per essere custodito fedelmente e dichiarato infallibilmente. Quindi quel significato dei sacri dogmi è da conservare perpetuamente, che la nostra Santa Madre, la Chiesa, una volta ha dichiarato, né da quel significato si deve mai allontanarsi sotto la pretesa o il pretesto di una più profonda comprensione di essi.’” (Leone XIII) , Enciclica ma è stato consegnato come deposito divino alla Sposa di Cristo per essere custodito fedelmente e dichiarato infallibilmente. Quindi quel significato dei sacri dogmi è da conservare perpetuamente, che la nostra Santa Madre, la Chiesa, una volta ha dichiarato, né da quel significato si deve mai allontanarsi sotto la pretesa o il pretesto di una più profonda comprensione di essi.’” (Leone XIII) , EnciclicaTestem Benevolentiae, 22 gennaio 1899).

“Uno dei compiti primari dell’Ufficio Apostolico è quello di smentire e condannare le dottrine erronee e di opporsi alle leggi civili che sono in contrasto con la Legge di Dio, e così preservare l’umanità dal provocare la propria distruzione” (Pio X, Discorso di Concistoro , 9 novembre 1903).
“La Chiesa, ‘colonna e baluardo della verità’, ‘ha ricevuto dagli apostoli questo solenne comando di Cristo di annunciare la verità salvifica’. «Sulla Chiesa spetta sempre e ovunque il diritto di annunziare i principi morali, compresi quelli relativi all’ordine sociale, e di esprimere giudizi su tutte le cose umane nella misura in cui sono richiesti dai diritti fondamentali della persona umana o dalla salvezza anime’” ( Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2032).

«È della massima importanza che nella teologia morale come in quella dogmatica tutti obbediscano al magistero della Chiesa e parlino come con una sola voce» (Paolo VI, Enc. Humanae vitae, 25 luglio 1968, n. 28 ) . .

“Spetta al Magistero universale, nella fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione, insegnare e interpretare autenticamente il depositum fidei. Rispetto alle suddette nuove proposte pastorali, questa Congregazione si ritiene pertanto obbligata a richiamare la dottrina e la disciplina della Chiesa in materia» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Comunione ai divorziati risposati, 14 settembre 1994, nn.4).

VIII. La voce sempre giovane dei Padri della Chiesa

“Avviene che, mentre [i pastori d’anime] si dilettano di essere spinti dai tumulti mondani, ignorano le cose che sono dentro, che avrebbero dovuto insegnare agli altri. E da questa causa indubbiamente, la vita anche dei loro sudditi è intorpidita…. Perché quando la testa langue, le membra non prosperano; ed è inutile che un esercito segua rapidamente all’inseguimento dei nemici se lo stesso capo della marcia sbaglia. Nessuna esortazione sostiene le menti dei sudditi, e nessun rimprovero castiga le loro colpe…. [I] sudditi non sono in grado di cogliere la luce della verità, perché, mentre le occupazioni terrene occupano la mente del pastore, la polvere, sospinta dal vento della tentazione, acceca gli occhi della Chiesa» (San Gregorio Magno, Regula Pastoralis, II , 7 ).

“Anche la stessa penitenza, quando per la legge della Chiesa vi è motivo sufficiente per compierla, viene spesso elusa per infermità; poiché la vergogna è la paura di perdere il piacere quando la buona opinione degli uomini dà più piacere della rettitudine che porta un uomo ad umiliarsi nella penitenza. Perciò la misericordia di Dio è necessaria non solo quando un uomo si pente, ma anche per indurlo a pentirsi» (Sant’Agostino, Enchiridion de Fide, Spe et caritate, 82).
“Il pentimento è il rinnovo del battesimo. Il pentimento è un contratto con Dio per una seconda vita. Un penitente è un compratore di umiltà. Il pentimento è riflessione di autocondanna e cura di sé spensierata. Il pentimento è figlia della speranza e della rinuncia alla disperazione. Un penitente è un condannato senza vergogna. Il pentimento è la riconciliazione con il Signore mediante la pratica di buone azioni contrarie ai peccati. Il pentimento è la purificazione della coscienza. Il pentimento rialza i caduti, il lutto bussa alla porta del Cielo e la santa umiltà la apre» (San Giovanni Climaco, Scala Paradisi, 25).

Conclusione

Mentre il nostro mondo neopagano sferra un attacco generale contro l’istituto divino del matrimonio, e le piaghe del divorzio e della depravazione sessuale si diffondono ovunque, anche all’interno della vita della Chiesa, noi, sottoscritti vescovi, sacerdoti e fedeli cattolici, lo consideriamo nostro dovere e privilegio di dichiarare, con una sola voce, la nostra fedeltà agli immutabili insegnamenti della Chiesa sul matrimonio e alla sua ininterrotta disciplina, così come ci è stata data dagli Apostoli. In effetti, solo la chiarezza della verità renderà le persone libere (Giovanni 8:32) e consentirà loro di trovare la vera gioia dell’amore, vivendo una vita secondo la volontà saggia e salvifica di Dio, in altre parole, evitando il peccato, come maternamente richiesto dalla Madonna a Fatima, nel 1917.

29 agosto 2016
Festa della decapitazione di San Giovanni Battista (decapitato per aver sostenuto la verità sul matrimonio)

Filial Appeal Association 30 settembre 2016

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