
La domanda sembra assurda perché ogni bambino che si prepara alla Prima Comunione conosce la risposta: “No! Per ricevere la Santa Comunione bisogna essere in stato di grazia”.
Il peccato del concubinato adultero
Lo stesso bambino di 7 anni sa che una grave colpa contro uno qualsiasi dei Dieci Comandamenti (ad esempio, adulterio o concubinato) farà perdere lo stato di grazia a una persona. Orbene, l’adulterio può essere accoppiato al concubinato quando una o entrambe le persone stabilmente conviventi sono legittimamente sposate con terzi.
Chi vive stabilmente in concubinato è in stato di peccato mortale. Questo peccato è aggravato quando è associato all’adulterio. Pertanto, affinché questa persona possa ricevere l’assoluzione sacramentale, deve pentirsi e prendere una ferma decisione di abbandonare la sua situazione peccaminosa, altrimenti l’assoluzione non sarebbe valida.
Pertanto, finché la coppia adultera continua a vivere insieme, non può ricevere la Santa Comunione.
In casi particolarissimi di persone anziane che per vari motivi non possono più separarsi, possono essere assolte e ammesse alla santa Comunione purché vivano da fratello e sorella e non diano scandalo.
Questa dottrina cattolica tradizionale può essere trovata in qualsiasi catechismo o trattato tradizionale di morale. Si trova anche negli insegnamenti papali e nelle encicliche come Casti Connubii , emessa da Papa Pio XI il 31 dicembre 1930.
Gli errori della “nuova morale” o “etica della situazione”
Quello che vediamo oggi nelle discussioni in corso sull’opportunità o meno di permettere ai cattolici divorziati e “risposati” di ricevere la Santa Comunione non è altro che un revival dei principi della “nuova morale” o “etica della situazione” già condannati da Papa Pio XII.
Con le sue basi esistenzialiste, la “nuova morale” rifiuta l’applicazione dei principi generali della morale a casi specifici. Afferma che ogni caso è diverso e deve essere risolto con criteri speciali. Ma questa credenza erronea non è altro che portare l’esistenzialismo personalistico alle sue ultime conseguenze, facendo della persona umana (piuttosto che della Legge di Dio) la regola finale e oggettiva della morale.
Come sempre accade in tali questioni, non ci troviamo di fronte a nulla di nuovo, ma piuttosto a un “rimaneggiamento” di vecchi errori confezionati come nuove e grandi “scoperte”.

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Condannando questa presa di posizione morale, Pio XII affermò che “[questa nuova morale] potrebbe essere chiamata ‘esistenzialismo etico’”. si deve agire e secondo cui la coscienza individuale deve giudicare e scegliere”.
«[La] nuova etica è così contraria alla fede e ai principi cattolici», dice il Papa, «anche un bambino che conosce il catechismo se ne accorgerà». “Non è difficile”, continua, “vedere come il nuovo sistema morale derivi dall’esistenzialismo”.
Confutando tale “morale” il pontefice spiega che la legge universale della morale può essere applicata ad ogni caso particolare «perché per la sua universalità [essa]… comprende necessariamente e intenzionalmente tutti i casi particolari che si presentano».
Il cardinale Kasper applica la “nuova morale”
Al Concistoro Straordinario sulla Famiglia, svoltosi il 20 e 22 febbraio di quest’anno, il cardinale Walter Kasper, esponente di spicco della corrente liberale nella Chiesa e per alcuni anni alla guida del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, è stato chiese di tenere un discorso sul matrimonio.
In un’intervista ai media, il presule ha riassunto la sua posizione a favore di dare la Santa Comunione ai “divorziati risposati”, e il suo stile ricordava i principi condannati della “nuova morale” o “etica della situazione”:
“Ci sono alcune situazioni molto varie, alcune regole generali ma anche alcune situazioni concrete”.
A titolo di esempio, ha presentato il caso di una donna divorziata e “risposata” il cui figlio stava per fare la Prima Comunione: “Il figlio doveva fare la Comunione ma non la madre”, ha detto. E poi, invece di invocare un principio per risolvere il caso, ha sollevato una domanda: “Allora mi chiedo: come è possibile?”
Messo così in discussione il chiaro principio morale che questa donna non poteva ricevere la Comunione perché si trovava oggettivamente in stato di peccato mortale, concludeva, in maniera ancora più ambigua: «Abbiamo il pentimento, la misericordia e il perdono di Dio. Possiamo davvero negare la remissione peccatorum ?
Se gli elementi della sua risposta al giornalista sono presentati logicamente, ecco come si leggono:

Il perdono e la misericordia richiedono l’abbandono del peccato
“Non è possibile negare la Comunione a una madre divorziata risposata il cui figlio farà la Prima Comunione perché ciò significherebbe negare il perdono e la misericordia di Dio”.
Il Cardinale ha riassunto in quel breve comunicato l’ampio studio che ha letto agli altri cardinali durante il Concistoro. Mostrava il sostrato del suo pensiero: i casi morali non devono essere risolti sulla base di regole universali, ma secondo la “situazione” in cui si trova la persona.
Inoltre, parla di “pentimento” e di “misericordia e perdono di Dio” ignorando il fatto che per ottenere il perdono un peccatore deve detestare il suo peccato, pentirsi e abbandonarlo.
In effetti, l’insegnamento del Concilio di Trento è chiarissimo:
“La contrizione, che occupa il primo posto tra i suddetti atti del penitente, è un dolore della mente e un orrore per il peccato commesso con lo scopo di non peccare in futuro. … Il santo concilio dichiara quindi che questa contrizione implica non solo un’astensione dal peccato e la risoluzione e l’inizio di una nuova vita, ma anche un odio per il vecchio, secondo l’affermazione: ‘Getta via da te tutte le tue trasgressioni con le quali avete trasgredito e fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo” (Ezechiele 18:31).”
Una persona in stato di peccato mortale può praticare la comunione spirituale?
Nel documento letto durante il Concistoro, il cardinale Kasper ha presentato questo sillogismo:
1. Premessa maggiore: “[Colui] che riceve la comunione spirituale diventa uno con Gesù Cristo;
2. Premessa minore: “come può dunque essere in contraddizione con il comandamento di Cristo?
3. Conclusione: “Perché allora non può ricevere anche la comunione sacramentale?”
Sebbene questo sillogismo sia formalmente corretto, la sua conclusione è errata perché la sua premessa maggiore è errata: le persone in stato di peccato mortale non possono fare una vera Comunione spirituale e quindi unirsi spiritualmente a Gesù Cristo se non fanno un sincero atto di contrizione per il loro peccato con delibera di modificarsi.
Lo stesso Concilio di Trento, infatti, definisce così la Comunione spirituale:
Quanto al suo uso, i nostri Padri hanno giustamente e saggiamente distinto tre modi di ricevere questo Santissimo Sacramento. Perché hanno insegnato che alcuni lo ricevono solo sacramentalmente, come peccatori; altri solo spiritualmente, cioè coloro che mangiano con desiderio il pane celeste posto loro davanti, mediante una fede viva, “che opera mediante la carità” [Gal. 5,6], percepirne i frutti e l’utilità; mentre i terzi lo ricevono sia sacramentalmente che spiritualmente [can. 8]; e questi sono coloro che così provano e si preparano prima di “rivestirsi dell’abito nuziale” [Matt. 22:11, ss.], si avvicinano a questa mensa divina.
Per questo p. Felix Capello, SJ nel suo Tractatus Canonico-Moralis dice che “chi è in peccato mortale” deve almeno “pentirsi nel suo cuore se vuole comunicarsi spiritualmente con profitto”.
Lo stato di peccato mortale, infatti, ci priva della «fede viva che operava per mezzo della carità», di cui parla il Concilio di Trento.
Anche p. Francis D. Costa, SSS, nel ben documentato studio intitolato Nature and Effects of Spiritual Communion , afferma che come condizione per fare la Comunione spirituale, “la persona deve essere in stato di grazia, poiché questa è una condizione necessaria per Santa Comunione, e anche perché questo desiderio è essenzialmente un atto di amore di Cristo nel Santissimo Sacramento».
In altre parole, la persona che si comunica spiritualmente deve avere una fede viva che scaturisce da , che è l’amore di Dio; questo significa che lui o lei deve essere in stato di grazia piuttosto che avere la fede morta di una persona nel peccato.
“Ritorno” alla “Chiesa primitiva”
Nella sua presentazione ai cardinali, il cardinale Kasper cita esempi storici nel tentativo di dimostrare che la Chiesa primitiva ei Padri della Chiesa accettavano che i divorziati “risposati” fossero ammessi alla santa comunione dopo un periodo di pentimento e penitenza.
Tali argomentazioni storiche sono state brillantemente confutate dal Prof. Roberto de Mattei nel suo saggio, “Ciò che Dio ha unito insieme… e la Rivoluzione Culturale del Cardinale Kasper”.
“È più facile che il cielo e la terra passino, che un solo titolo della legge cada”
Le parole del Salvatore sono chiare e non lasciano spazio a confusione:
“È più facile che il cielo e la terra passino, piuttosto che la più piccola parte di una lettera della legge diventi invalida. Chiunque divorzia da sua moglie e ne sposa un’altra commette adulterio, e chi sposa una donna ripudiata dal marito commette adulterio”. (Lc 16,17-18)
“Non sai che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non lasciarti ingannare; né fornicatori né idolatri né adulteri né prostituti né sodomiti, né ladri né avari né ubriaconi né calunniatori né briganti erediteranno il regno di Dio». (1 Corinzi 6:9-10)
Insomma, non si può amare Nostro Signore senza seguire i Suoi Comandamenti:
“Chi ha i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama”. (Giovanni 14:21)
Se desideriamo andare in Paradiso, siamo fedeli alle parole e ai Comandamenti del Salvatore. Tutto il resto è “vanità e un inseguire il vento”. (Eccl. 2:11)
Luiz Sérgio Solimeo 13 marzo 2014