In una strana coalizione, le pubblicazioni cattoliche conservatrici e liberali lanciarono un appello ai cattolici:
“Noi, editori di quattro riviste cattoliche – America, National Catholic Register, National Catholic Reporter e Our Sunday Visitor – esortiamo i lettori delle nostre diverse pubblicazioni e l’intera comunità cattolica statunitense e tutte le persone di fede a stare con noi e dire: ‘ La pena capitale deve finire.’”
I pericoli dell’abbandono degli insegnamenti della Scrittura e della tradizione
Qualunque posizione si assuma rispetto all’applicazione della pena di morte in questo o quel luogo o circostanze storiche, bisogna stare attenti a non avvolgere nell’ambiguità i chiari principi della legge naturale e della Rivelazione.
In un articolo accademico del 2001, il defunto cardinale Avery Dulles ha avvertito che se la Chiesa abbandonasse gli argomenti della Scrittura e della Tradizione che giustificano la pena di morte, ciò distruggerebbe la loro autorità e non potrebbe più essere invocata come base “per ripudiare il divorzio, l’aborto, relazioni omosessuali e l’ordinazione sacerdotale delle donne”. E aggiunge: “[se] la Chiesa si sente vincolata dalla Scrittura e dalla tradizione in questi altri ambiti, sembra incoerente che i cattolici proclamino una ‘rivoluzione morale’ sulla questione della pena capitale”.
L’Antico e il Nuovo Testamento accettano la pena di morte
“Nell’Antico Testamento la legge mosaica specifica non meno di trentasei reati capitali che richiedono l’esecuzione”, scrive il cardinale Avery Dulles. E dice che “[l]a pena di morte era considerata particolarmente adatta come punizione per l’omicidio poiché nel suo patto con Noè Dio aveva stabilito il principio: ‘Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché Dio fece l’uomo a sua immagine’” (Genesi 9:6).
Il Cardinale sottolinea che «[nel] Nuovo Testamento il diritto dello Stato di mettere a morte i criminali sembra scontato». E che anche se «Gesù stesso si astiene dall’usare la violenza», non ha «negato che lo Stato ha l’autorità di esigere la pena capitale». Per esempio, nei Suoi dibattiti con i Farisei, “Gesù cita con approvazione il comandamento apparentemente severo: ‘Chi parla male del padre o della madre, muoia sicuramente’ (Matteo 15:4; Marco 7:10, riferendosi a Esodo 2l :17; cfr Levitico 20:9).
Quando Pilato si riferisce alla sua autorità di crocifiggerlo, “Gesù fa notare che il potere di Pilato gli viene dall’alto, cioè da Dio (Gv 19,11). Gesù loda il buon ladrone sulla croce accanto a lui, il quale ha ammesso che lui e il suo compagno di ladruncola stanno ricevendo la giusta ricompensa per le loro azioni (Lc 23,41).
Il magistero costante della Chiesa
La legittimità della pena di morte inflitta dall’autorità competente dopo un giusto processo deriva dalla Rivelazione e dal diritto naturale. È sempre stata insegnata dal Magistero della Chiesa e dai suoi teologi. Lo stesso cardinale Dulles afferma:
“Il magistero cattolico non ha e non ha mai sostenuto l’abolizione incondizionata della pena di morte. Non conosco alcuna dichiarazione ufficiale di papi o vescovi, né del passato né del presente, che neghi il diritto dello Stato di giustiziare i colpevoli almeno in certi casi estremi».
La professione di fede che Papa Innocenzo III (1198-1216) esigeva dagli eretici valdesi che negavano la legittimità della pena di morte, contiene questa affermazione: “Quanto al potere secolare dichiariamo che senza peccato mortale è possibile esercitare un giudizio di sangue come fintanto che si procede a punire non con odio ma con giudizio, non incautamente ma con prudenza”.
Lettera del cardinale Ratzinger ai vescovi americani
In una lettera ai vescovi americani sulla negazione della Santa Comunione ai politici cattolici pro-aborto, il cardinale Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, chiariva che la pena di morte è legittima e non può essere equiparata aborto o eutanasia. Dice lui:
“[I]fa Cattolico dovesse essere in contrasto con il Santo Padre sull’applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare la guerra, non sarebbe per questo considerato indegno di presentarsi per ricevere la Santa Comunione. …[I]t può ancora essere lecito prendere le armi per respingere un aggressore o ricorrere alla pena capitale. Ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sulla guerra e sull’applicazione della pena di morte, ma non sull’aborto e l’eutanasia».
Confusione sul concetto di giustizia punitiva
La maggior parte delle obiezioni alla pena di morte sorgono perché la punizione di un criminale è vista solo come un mezzo per impedirgli di commettere un altro crimine. In tal caso, sarebbe sufficiente incarcerare il criminale. In questa prospettiva, lo scopo della punizione è proteggere la società o correggere il malfattore.
Quella concezione, diffusa dalla filosofia illuministica , abbandonava l’aspetto espiatorio della pena. Nel testo che segue, Papa Pio XII spiega che l’assenza di questo aspetto rende più difficile comprendere la giustizia divina e il dogma dell’Inferno. Infatti, poiché nell’aldilà non esistono il bisogno di protezione e la possibilità di conversione, la pena eterna può essere intesa solo come espiazione del male commesso, riparazione alla giustizia divina offesa e trionfo del bene sul male.
Il reato viola l’ordine giuridico
Ma lasciate che lo stesso Papa Pio XII spieghi queste nozioni. Riportiamo di seguito stralci del suo memorabile intervento al VI Congresso di diritto penale internazionale, il 3 ottobre 1953. È una delle spiegazioni più complete e sistematiche in un documento pontificio su questo argomento.
“Il diritto penale è una reazione dell’ordine giuridico contro il delinquente; presuppone che il delinquente sia causa della violazione dell’ordine giuridico….“Al momento del delitto, il delinquente ha davanti agli occhi il divieto imposto dall’ordine giuridico: ne ha coscienza e dell’obbligo che esso impone; ma, nondimeno, decide contro la sua coscienza, e per eseguire la sua decisione commette il delitto esterno. Questo è il quadro di una violazione colposa della legge”.
Le moderne teorie penali sono incomplete
“La maggior parte delle moderne teorie del diritto penale spiegano la pena e la giustificano in ultima istanza come misura protettiva, cioè difesa della comunità contro i delitti tentati; e, al tempo stesso, come tentativo di ricondurre il colpevole all’osservanza della legge. In queste teorie, la punizione può infatti includere sanzioni sotto forma di riduzione di alcuni vantaggi garantiti dalla legge, al fine di insegnare al colpevole a vivere onestamente; ma non considerano l’espiazione del delitto commesso, che è essa stessa una sanzione sulla violazione della legge, come la funzione più importante della pena…».
“Tuttavia, da un altro punto di vista, e anzi più alto, ci si può chiedere se la concezione moderna sia del tutto adeguata a spiegare la pena. Deve essere assicurata la protezione della comunità contro i delitti e i criminali, ma lo scopo ultimo della pena deve essere ricercato su un piano più alto”.
L’essenza del castigo: proclamare la supremazia del bene sul male
“L’essenza dell’atto colpevole è l’opposizione liberamente scelta a una legge riconosciuta come vincolante, è la rottura e la violazione deliberata dell’ordine giusto. Una volta fatto, è impossibile ricordare. Tuttavia, nella misura in cui è possibile soddisfare l’ordine violato, ciò dovrebbe essere fatto. Perché è un’esigenza fondamentale della “giustizia”, il cui ruolo nella moralità è di mantenere l’equilibrio esistente, quando è giusto, e di ristabilirlo quando è sconvolto. Esige che per punizione il responsabile sia forzatamente richiamato all’ordine; e l’adempimento di questa esigenza proclama l’assoluta supremazia del bene sul male; il giusto trionfa sovranamente sull’ingiusto.

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“Ora facciamo l’ultimo passo; Nell’ordine metafisico la punizione è una conseguenza della nostra dipendenza dalla Volontà suprema, dipendenza che è scritta indelebilmente nella nostra natura creata. Se mai sarà necessario reprimere la rivolta di un essere libero e ristabilire l’ordine infranto, allora è sicuramente qui che il Giudice supremo e la Sua giustizia lo richiedono. La vittima di un’ingiustizia può liberamente rinunciare alla sua pretesa di riparazione, ma per quanto riguarda la giustizia, tale pretesa gli è sempre assicurata.
Necessità di espiazione, tutela dell’ordine giuridico
“L’approfondimento della pena dà non meno importanza alla funzione di protezione, sottolineata oggi, ma va più al nocciolo della questione. Infatti non si tratta immediatamente di proteggere il bene assicurato dalla legge, ma la legge stessa. Non c’è niente di più necessario per la comunità nazionale o internazionale del rispetto della maestà della legge, e del salutare pensiero che la legge è anche sacra e protetta, così che chi la viola è punibile e sarà punito.
“Queste riflessioni aiutano a meglio apprezzare un’altra epoca, da alcuni ritenuta superata, che distingueva tra pena medicinale – paena medicinalis – e pena vendicativa – paena vindicativae . Nel castigo vendicativo è preminente la funzione di espiazione: in entrambi i tipi di castigo è compresa la funzione di protezione.
Senza il concetto di espiazione non si comprende la giustizia divina
“Infine, è la funzione espiatoria che dà la chiave del giudizio finale dello stesso Creatore, il quale ‘rende a ciascuno secondo le sue opere’… (Mt 16,27; Rm 2,6). La funzione di protezione scompare completamente nell’aldilà. L’onnipotente e onnisciente Creatore può sempre impedire il ripetersi di un delitto, mediante la conversione morale interiore del delinquente; ma il Supremo Giudice, nel Suo ultimo giudizio, applica in modo univoco il principio della retribuzione. Questo, quindi, deve essere di grande importanza”.
La dignità dell’uomo si oppone a qualsiasi punizione?
Alcuni sostengono che la pena di morte sia contraria alla dignità umana e che un criminale mantenga la sua dignità nonostante i suoi crimini, per quanto orrendi possano essere stati. Questo argomento, tuttavia, conduce alla confusione tra l’ordine ontologico (natura umana) e l’ordine morale (conformità delle azioni umane con la retta ragione e la legge divina). Mentre l’uomo non perde mai ladignità ontologicadella sua natura, perde la suadignità moralequando pratica intenzionalmente il male.
Inoltre, l’argomento della dignità umana non è pertinente alla questione, perché l’oggetto della giustizia non è la dignità umana , sia essa ontologica o morale , ma piuttosto gli atti volontari dell’uomo nei suoi rapporti con gli altri. Nessuno è condannato a una giusta pena a causa della dignità o della mancanza di essa, ma piuttosto per atti concreti compiuti contro il bene comune.
Sentimento e sentimentalismo
Siamo in un tempo dominato dall’emotività. L’emozione prende il posto della ragione e il sentimentalismo quello del vero sentimento. Quindi dobbiamo occuparci e discutere i problemi dottrinali nel regno della ragione e non dell’emozione.
Ma anche quando ci si oppone alla pena capitale per motivi circostanziali, non si deve negarne la legittimità o condizionarla alle circostanze in modo tale che non possa mai essere messa in pratica. Perché allora i principi non guiderebbero la vita reale e si cadrebbe nell’errore del pragmatismo.
Luiz Sérgio Solimeo 11 marzo 2015
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