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5Lo studioso cileno offre una valutazione approfondita, una risposta equilibrata radicata nella tradizione

“Cambio di paradigma” di Papa Francesco: continuità o rottura nella missione della Chiesa?
Lo studioso cileno offre una valutazione approfondita, una risposta equilibrata radicata nella tradizione
Il libro appena pubblicato esamina criticamente le questioni e propone misure che i cattolici possono adottare per rimanere fedeli agli insegnamenti tradizionali della Chiesa.

“Osservate dunque e fate le cose che il Signore Dio vi ha comandato: non deviare né a destra né a sinistra”. – Deut. 5:32

Valutazione del “cambio di paradigma” di Francesco

Tra i libri più interessanti pubblicati nel 2018 c’è il lavoro dello studioso cileno José Antonio Ureta dal titolo Il “cambio di paradigma” di Papa Francesco: continuità o rottura nella missione della Chiesa? ( libro in inglese, in italiano Qui ). Si distingue per la singolare caratteristica di offrire non solo un bilancio accurato dei primi cinque anni di regno di papa Francesco, ma anche di suggerire utili linee di azione per contrastare l’autodistruzione della Chiesa che questo pontificato ha accelerato.

Secondo Ureta, il quinquennio del pontificato di Jorge Mario Bergoglio è stato caratterizzato da un “cambio di paradigma” nella Chiesa. Il termine “cambio di paradigma” è stato utilizzato dallo stesso Papa Francesco nella Costituzione apostolica Veritatis gaudium (27 dicembre 2017) come sinonimo della sua “rivoluzione culturale” (VG, n. 3). Uno dei cardinali più vicini al Papa, l’arcivescovo Blase Cupich di Chicago, ha presentato il 9 febbraio 2018 una conferenza espressamente intitolata “La rivoluzione della misericordia di Papa Francesco: Amoris laetitia come nuovo paradigma della cattolicità ”, dedicata a spiegare la nuova rivoluzione culturale “nel rapporto tra dottrina morale e prassi pastorale”.

Il “cambio di paradigma” è un nuovo modello concettuale di Chiesa che sostituisce quello vecchio. Un primo ambito di netta discontinuità con i pontificati precedenti è quello dei cosiddetti “principi non negoziabili”. I valori che furono importanti per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – la famiglia, la vita, l’educazione – sono assenti o ridotti al minimo nell’orizzonte pastorale di Papa Francesco, il quale, in un’intervista al Corriere della Sera (4 marzo 2014), dichiarò: “Non ho mai compreso l’ espressione ‘ valori non negoziabili.’” Papa Bergoglio ha invece espresso vicinanza e simpatia a chi nega questi valori, come il leader del Partito radicale italiano Marco Pannella ed Emma Bonino, sostenitrice del divorzio, dell’aborto, delle unioni omosessuali, della droga libera e dell’eutanasia. L’Istituto Giovanni Paolo II su Matrimonio e Famiglia, che si era distinto nella difesa dei valori non negoziabili, è stato escluso dall’organizzazione del Sinodo sulla famiglia del 2015 ed è stato “rifondato” nel settembre 2017 con un orientamento completamente nuovo. Il controverso ex arcivescovo di Terni, Vincenzo Paglia, ne fu nominato Gran Cancelliere, e fu poi nominato Presidente della Pontificia Accademia per la Vita (PAV), anch’essa ristrutturata ed epurata dei suoi professori più ortodossi.

Un cambiamento politico-sociale

Un altro campo in cui il “cambio di paradigma” appare evidente è quello politico-sociale. Nonostante i risultati disastrosi del “socialismo reale”, Papa Francesco ha coltivato un rapporto privilegiato con quei regimi che si ispirano più o meno direttamente all’ideologia marxista, da Cuba al Venezuela, e per tre volte ha ricevuto in Vaticano i leader dei “movimenti popolari” di ispirazione comunista. A un giornalista che gli ha commentato: «Sei considerato un papa comunista, pauperista, populista», Papa Francesco ha risposto: «Io dico solo che i comunisti hanno rubato la bandiera» (Il Messaggero, 29 giugno 2014 ) . Lo stesso concetto è stato ripetuto nel suo libro-intervista con l’intellettuale francese Dominique Wolton.

Legge eterna e naturale: il fondamento della morale e della legge

Per papa Bergoglio, «la disuguaglianza è la radice dei mali sociali» (Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 202), contrariamente a quanto insegna la dottrina cattolica, secondo la quale il peccato è la causa di ogni altro male, mentre l’essenziale uguaglianza degli uomini, che sono tutti figli di Dio, non si oppone alla disuguaglianza negli accidenti. Come giustamente osserva Ureta: “Ciò è in contrasto con la dottrina sociale cattolica, la quale insegna che il peccato è la radice di tutti i mali (compresi i mali sociali), e l’essenziale uguaglianza di tutti i battezzati come figli di Dio ed eredi del Cielo non contraddice la disuguaglianza accidentale risultante dalla varietà di talenti, diligenza, educazione e condizione”.

Il nuovo paradigma si esprime anche in una visione “ecologica” dell’universo, che ritiene che lo stile di vita delle popolazioni indigene rappresenti un modello di saggezza per il rapporto dell’uomo con la natura. L’enciclica Laudato si, ignorando i risultati degli studi scientifici più seri, si basa sulla collaborazione di intellettuali come l’ex confratello Leonardo Boff o Hans Schellenhuber, accanito difensore del controllo delle nascite, che Papa Francesco ha anche nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze. La proiezione del gioco di luci neopagano e blasfemo sulla facciata della Basilica di San Pietro l’8 dicembre 2015 ha costituito una scandalosa traduzione in immagini dell’enciclica papale.

Accompagnamento e pluralismo

Accanto al tema dell’ecologia, filo conduttore pastorale di papa Francesco è il tema dell’“accompagnamento” degli immigrati, che sembra costituire l’unico principio assoluto e “non negoziabile” del suo pontificato. Le visite del Papa alle isole di Lampedusa e Lesbo sono episodi simbolici che indicano che per lui il fenomeno migratorio sembra avere una vera e propria dimensione teologica. Ricevendo il Premio Carlo Magno nel 2016, Papa Francesco ha dichiarato: «L’identità europea è ed è sempre stata un’identità dinamica e multiculturale». La conseguenza di questo principio è il rifiuto delle radici cristiane dell’Europa in nome di una malintesa carità, che sta preparando il continente europeo alla sua futura sottomissione all’Islam. La “cultura dell’incontro”, infatti, porta Francesco a idealizzare la religione di Maometto e ad esonerarlo da ogni responsabilità per le violenze praticate in suo nome (cfr Evangelii gaudium , n. 253). Per papa Francesco l’islam è una “religione di pace” e può anche essere definito uno strumento di salvezza perché “Dio è uno solo, sempre lo stesso. Alcuni lo pregano in un modo, altri in un altro» (Discorso del 19 gennaio 2014).

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L’atteggiamento di papa Francesco nei confronti dell’islam non è diverso da quello assunto nei confronti delle altre religioni non cristiane, come si evince dal video interreligioso diffuso dalla Santa Sede nel gennaio 2016. Vi si vedevano un buddista, un ebreo, un prete cattolico e un musulmano dire in successione: «Confido in Buddha», «credo in Dio», «credo in Gesù Cristo» e «credo in Dio, Allah». Seguono poi lo stesso Papa Francesco, che compare nel video dicendo: «Molti pensano diversamente, sentono diversamente, cercano Dio o incontrano Dio in modi diversi. In questa folla, in questa gamma di religioni, c’è una sola certezza che abbiamo per tutti: siamo tutti figli di Dio».

Altrettanto sorprendenti sono le affermazioni fatte nella prima delle famigerate interviste di Papa Francesco a Eugenio Scalfari (1 ottobre 2013), in cui il Papa dichiara: “Io credo in Dio, non in un Dio cattolico, non c’è un Dio cattolico, c’è Dio”. Nella stessa intervista, Papa Francesco aggiunge: «Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Abbiamo bisogno di conoscerci, ascoltarci e migliorare la nostra conoscenza del mondo che ci circonda”.

Interviste scandalose a Scalfari

All’inizio del suo dialogo con Eugenio Scalfari, Papa Francesco ha risposto al giornalista con la sua “ Lettera a un non credente ” in cui afferma: “Non parlerei di verità ‘assolute’, anche per i credenti, nel senso che assoluto è ciò che è sconnesso e privo di ogni relazione. La verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Pertanto, la verità è una relazione. In quanto tale ciascuno di noi riceve la verità e la esprime dal di dentro, cioè secondo le proprie circostanze, cultura e situazione di vita, ecc.

Dieci motivi per cui il “matrimonio” omosessuale è dannoso e dovrebbe essere deprecato

Questo relativismo filosofico conduce inevitabilmente al relativismo etico, che afferma che i principi morali assoluti non esistono. Alla domanda di Scalfari – “Santità, esiste un’unica visione del Bene? E chi decide cos’è? – Risponde Papa Francesco: “Ciascuno di noi ha una visione del bene e del male. Dobbiamo incoraggiare le persone a muoversi verso ciò che pensano sia buono”. E il Papa aggiunge: «Ognuno ha la sua idea del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene e combattere il male così come lo concepisce».

La relativizzazione della morale da parte di papa Francesco ha avuto la sua espressione più degna di nota nella frase: “ Chi sono io per giudicare? (una persona omosessuale) pronunciata nel luglio 2013 al ritorno dal suo primo viaggio papale in Brasile. L’interpretazione di questa affermazione da parte dei mass-media come un “avallo” papale della pratica omosessuale non è mai stata chiarita o corretta dalla Santa Sede. Indicativo di una graduale accettazione delle relazioni omosessuali è stato anche il sostegno dato al gesuita americano James Martin, impegnato da decenni per far accettare alla Chiesa la comunità LGBT e il suo stile di vita.

Amoris Laetitia – “Cambio di paradigma” per eccellenza

L’esempio più eclatante del cambio di paradigma e della rivoluzione culturale in atto è però l’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia , che prevedeva una possibilità “caso per caso” di ammettere alla comunione i divorziati risposati civilmente. Pur affermando di non voler modificare la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio, il documento consente ai divorziati risposati civilmente di essere assolti in confessione e di ricevere la santa comunione senza impegnarsi a vivere da fratello e sorella.

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Secondo Ureta, il filo che lega tutti gli aspetti del cambio di paradigma di papa Francesco si trova nel desiderio di abbracciare la modernità «e allineare la Chiesa alle rivoluzioni secolari e anticristiane che la maggior parte dei papi negli ultimi due secoli ha condannato in vari modi». Se l’origine remota di questo cambio di paradigma sembra essere il Concilio Vaticano II, la sua origine prossima è l’agenda del cardinale Carlo Maria Martini, di cui Francesco si considera discepolo. Il richiamo al mondo moderno nato dalla Rivoluzione francese è contenuto nel testamento spirituale che è stato affidato dal cardinale Martini al confratello Georg Sporschill e alla giornalista Federica Radice con queste parole: “La Chiesa deve riconoscere i propri errori e percorrere un cammino radicale di cambiamento a partire dal papa e dai vescovi […] La Chiesa è indietro di 200 anni. Perché non si muove? Abbiamo paura? È paura piuttosto che coraggio?

Per mettere la Chiesa alla pari con il mondo, Papa Francesco afferma che essa dovrebbe tendere a diventare “una Chiesa in uscita”, che sostituirà l’atteggiamento difensivo nei confronti del mondo di oggi. In un’intervista con p. Antonio Spadaro, papa Francesco sembrava suggerire una visione immanentista e teilhardiana dell’universo e della storia. Attribuisce all’agire divino gli impulsi di nuove dinamiche nell’agire umano: «Dio si manifesta nella rivelazione storica, nella storia… Dio è nella storia, nei processi. … Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Ciò privilegia le azioni che danno vita a nuove dinamiche storiche”. In Amoris laetitia, il Papa ha segnalato la necessità di “mettere a fuoco le realtà concrete, poiché ‘la chiamata e le esigenze dello Spirito risuonano negli avvenimenti della storia…’” (AL, n. 31). L’obiettivo finale di papa Francesco, secondo quanto ha detto a Eugenio Scalfari, è «il compimento delle finalità prescritte dal Vaticano II e in particolare quello di far incontrare la Chiesa con la modernità» ( Intervista del 25 ottobre 2015).

“ Adesione definitiva della Chiesa alla Rivoluzione”

Alla luce dell’abbondante documentazione prodotta dallo studioso cileno, non si può che condividere il suo giudizio conclusivo secondo cui “questo pontificato può essere caratterizzato come un tentativo di realizzare una definitiva adesione della Chiesa alla Rivoluzione e al suo umanesimo secolarizzato. Inoltre, questa resa della Chiesa alla Rivoluzione avviene mentre quest’ultima è in un vicolo cieco perché, nella sua fase attuale, nei suoi ultimi passi, la Rivoluzione non può più nascondere tutto il fetore e il male del suo fine ultimo.

Lezioni dalla storia: come i rivoluzionari usano il tumulto per portare avanti i propri scopi

Di fronte al nuovo paradigma di papa Francesco si verifica una situazione paradossale: molti conservatori, fondando il loro pensiero su una nozione erronea del magistero, sono rimasti paralizzati dalla possibilità di essere in disaccordo con il papa regnante, mentre dall’altra parte i progressisti si sono trasformati in difensori del magistero “vivo” di papa Francesco ad oltranza. Nessuno di questi due gruppi ammette che la regola dell’ortodossia sia conforme al Deposito della Fede, cioè alla Sacra Scrittura e alla Tradizione. Entrambi i gruppi identificano la persona del Papa con il Magistero della Chiesa, dimenticando che il Papa non è il successore di Cristo, ma solo il suo Vicario.

L’infallibilità è stata garantita alla Chiesa solo in due situazioni specifiche: nelle dichiarazioni fatte dal Papa ex cathedra e nell’ordinario insegnamento universale dei vescovi uniti al Papa, cioè in quello che è stato insegnato, secondo san Vincenzo di Lerins, “sempre, dovunque e da tutti” (Comunitorio, 2, 6 ) . In altri casi il Papa può sbagliare, e quando i fedeli trovano una contraddizione tra le sue parole e il Magistero perenne della Chiesa, non è obbligatorio sbagliare con il Papa, e può esserci anche il dovere di resistergli e correggerlo fraternamente.

Legittima resistenza all’errore: un approccio equilibrato

Come dobbiamo comportarci sul piano pratico? Richiamando la dottrina degli autori classici, San Tommaso d’Aquino e San Roberto Bellarmino, Ureta propone una via equilibrata tra due opposte soluzioni:

“Si direbbe: ‘In fondo, il Papa è il rappresentante di Cristo ei vescovi sono i successori degli Apostoli. Sono il magistero vivente. Chi sono io per giudicarli? Se il Papa ei vescovi che lo sostengono si sbagliano, è un problema loro’. L’altro sarebbe dire: ‘Tutto questo è pura eresia; quindi chi lo promuove non può essere papa». Si cadrebbe così nel sedevacantismo e ci si dispensa dal resistere a un superiore perché la sua autorità non è più riconosciuta.

Queste false alternative devono essere respinte. I fedeli devono riconoscere Papa Francesco come Vicario di Cristo sulla terra e i vescovi diocesani come successori degli Apostoli. Nonostante questo riconoscimento, i cattolici devono ‘resistere loro in faccia’, come fece San Paolo con il primo Papa”.

Dichiarazione della TFP sul “cambio di paradigma” di Papa Francesco: resistere come insegna San Paolo

Questa posizione equilibrata è stata suggerita ai suoi tempi dal professor Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) ai dirigenti della TFP cilena nella conclusione del loro libro La Chiesa del silenzio in Cile (1976). Alla domanda: «Siamo noi obbligati, secondo la sana dottrina, ad andare da coloro che [demoliscono] pastori e sacerdoti… per ricevere dalle loro labbra gli insegnamenti della Chiesa e dalle loro mani i sacramenti?». Il professor Corrêa de Oliveira ha risposto:

“A questo proposito, è necessario precisare che:

a) Perché ci sia una filiazione ecclesiastica piena… ci deve essere nei rapporti spirituali tra pecora e pastore, come tra figlio e padre, un livello minimo di reciproca confidenza e concordia.

b) Data l’estensione e l’importanza che questi pastori e sacerdoti hanno assegnato all’azione distruttiva… nell’ordine concreto non ci sono le condizioni per l’esercizio abituale di quelle relazioni. Non si vede come un simile esercizio possa non portare con sé un prossimo rischio per la Fede e gravi scandali per il bene».

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Secondo José Antonio Ureta, il diritto alla cessazione dei rapporti ecclesiastici quotidiani con le autorità ecclesiastiche demolitrici è analogo al diritto di una buona moglie attaccata psicologicamente da un marito violento o al diritto dei figli nei confronti di un cattivo padre. Senza abbandonare la casa familiare, madre e figli possono legittimamente trasferirsi in una parte isolata della casa. Così facendo, fanno uso del loro diritto di autodifesa contro le vie malvagie del padre. Il loro ritiro dalla routine della vita familiare non significa che respingano gli indissolubili legami coniugali e filiali che li legano al marito e al padre. Né trascurano il loro dovere di fedeltà nei suoi confronti evitando contatti regolari.

Questo atteggiamento di autosegregazione dall’abbattimento dei pastori per preservare la propria fede e per evitare di scandalizzare i deboli – che non è una sorta di “Opzione benedettina” all’interno della Chiesa cattolica, ma un supremo atto di resistenza ai cattivi pastori – non è una novità: è stato praticato da laici buoni e fedeli fin dai primi tempi della Chiesa.

Lo studioso cileno precisa inoltre:

“Che la resistenza dovrebbe essere esercitata non solo riguardo all’ammissione degli adulteri al Sacramento della Santa Eucaristia, ma in difesa della vita umana quando è minacciata dall’aborto procurato e dall’eutanasia. Dovrebbe portare i fedeli a difendere il matrimonio indissolubile e ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni tra persone dello stesso sesso. Dovrebbe ispirarli a difendere la proprietà privata e la libera impresa contro le politiche collettiviste e gli assalti dei cosiddetti movimenti popolari. I cattolici dovrebbero essere spinti a rifiutare il miserabilismo e l’indigenismo, che si propongono come soluzioni a un teorico riscaldamento globale antropogenico su cui la comunità scientifica è divisa. I battezzati dovrebbero essere motivati ​​a sostenere la loro identità cristiana e la loro cultura nazionale di fronte alla crisi migratoria. Di conseguenza, dovrebbe portarli a rifiutare l’ islamizzazione dell’Occidente, il relativismo filosofico e spirituale di un’utopia multiculturalista, e l’ Ostpolitik del Vaticano con regimi anticristiani che perseguitano i cattolici.

I cattolici devono, quindi, entrare in uno stato di resistenza e rimanere tali finché il vero paradigma cattolico non ridiventi la bussola che guida, ispira e vivifica l’intera vita della Chiesa”.

Sostieni il papato, ama la Chiesa, non abbandonare neanche

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José Antonio Ureta

Ureta conclude il suo studio rinnovando la sua immutabile fedeltà al primato della giurisdizione universale del Romano Pontefice. Riaffermare questa devozione è quanto mai opportuno in un momento in cui esiste negli ambienti tradizionalisti la tentazione di ridurre o annullare la dimensione giuridica e istituzionale della Chiesa. Nessuno può costruire una Chiesa di sua creazione. Bisogna servirla e amarla come Nostro Signore l’ha fondata e l’ama. È alla sua Chiesa e solo a questa Chiesa che è stata riservata la sua promessa divina: “Le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18).

Tradotto da Giuseppe Pellegrino.

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Roberto De Mattei 20 febbraio 2019

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