
Il seguente documento, La politica vaticana di distensione con i governi comunisti – Le TFP dovrebbero ritirarsi? O dovrebbero resistere? è stato scritto dal compianto Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, fondatore della Società Brasiliana per la Difesa della Tradizione, della Famiglia e della Proprietà. Il 10 aprile 1974 fu pubblicato con buoni risultati sui maggiori quotidiani del Sud America, perché forniva una risposta equilibrata, vigorosamente studiata e saggia alla domanda più sconcertante del suo tempo: quale fosse la posizione giusta da prendere di fronte a la politica vaticana di distensione con i regimi comunisti?
La TFP americana riproduce con orgoglio questa dichiarazione pubblica che è stata pubblicata dalle TFP autonome di tutto il mondo, difendendo la pratica di una protesta obbediente e sottomessa, aprendo così una nuova era per i cattolici: l’era della resistenza filiale.
Indice
1. I fatti
2. Cattolici romani e apostolici
3. La soluzione data dall’apostolo san Paolo
4. Resistenza
5. Panorama interno della Chiesa universale
6. Conclusione
La politica vaticana di distensione con i governi comunisti: le TFP dovrebbero ritirarsi? O dovrebbero resistere?
1. I fatti
L’arcivescovo Agostino Casaroli, segretario del Consiglio vaticano per gli affari pubblici, ha recentemente reso noti alcuni risultati del suo viaggio a Cuba. In un’intervista a un importante quotidiano di San Paolo (cfr. O Estado de São Paulo, 7 aprile 1974), Sua Eccellenza ha sottolineato che “i cattolici che vivono a Cuba sono felici sotto il regime socialista”. Non è necessario dire di che tipo di regime socialista si tratta, poiché è risaputo che Cuba è sotto un regime comunista.
Sempre riferendosi al regime di Fidel Castro, Sua Eccellenza ha proseguito affermando che “i cattolici e il popolo cubano in generale non hanno il minimo problema con il governo socialista”.
Forse volendo dare una nota di imparzialità a queste mirabolanti affermazioni, l’arcivescovo Casaroli ha poi lamentato l’insufficienza del numero di sacerdoti a Cuba, ben 200. Ha aggiunto di aver chiesto a Castro maggiori opportunità per la pratica del culto pubblico. E, abbastanza sorprendentemente, ha concluso affermando che “i cattolici dell’isola sono rispettati per le loro convinzioni quanto gli altri cittadini”.
Un primo sguardo a queste parole suscita perplessità. L’arcivescovo Casaroli ha riconosciuto che i cattolici cubani subiscono restrizioni nel loro culto pubblico, e allo stesso tempo ha affermato che sono “rispettati per le loro convinzioni”. Come se il diritto al culto pubblico non fosse una delle loro libertà più sacre!
Se i non cattolici sono rispettati quanto i cattolici sotto il regime cubano, allora si può dire che a Cuba nessuno è rispettato…
Allora, cos’è questa “felicità” di cui godono i cattolici cubani, secondo l’arcivescovo Casaroli? Sembra essere la felicità crudele che il regime comunista infligge a tutti i suoi sudditi: la sottomissione forzata. Mons. Casaroli, infatti, ha riconosciuto che “la Chiesa cattolica cubana e la sua guida spirituale si assicurano sempre di non creare problemi al regime socialista che governa l’isola”.
Analizzate più a fondo, le osservazioni di questo alto dignitario vaticano sul suo viaggio portano a conclusioni di ordine superiore.
In un momento in cui Sua Santità Paolo VI ha sottolineato più che mai l’importanza di disporre di mezzi materiali sufficienti come fattore necessario per la pratica della virtù, è inconcepibile che l’Arcivescovo Casaroli consideri i cattolici cubani, immersi nella miseria, come “ felice sotto il regime socialista” di Fidel Castro. Da ciò si potrebbe dedurre che, secondo l’arcivescovo Casaroli, godrebbero di condizioni economiche almeno sopportabili.
Eppure tutti sanno che non è così. Inoltre, i cattolici che prendono sul serio le encicliche di Leone XIII, Pio XI e Pio XII sanno che questo non può essere vero. Questi Papi hanno insegnato che un regime comunista è l’opposto dell’ordine naturale delle cose e un sovvertimento dell’ordine naturale in economia come in ogni altro campo, e non può che produrre risultati catastrofici.
Di conseguenza, quando i cattolici di tutto il mondo, forse ingenui o poco informati sulla vera dottrina sociale della Chiesa, leggeranno i commenti dell’arcivescovo Casaroli su Cuba, saranno portati a una conclusione diametralmente opposta alla realtà, cioè che non avrebbero nulla temere che il comunismo venga imposto ai rispettivi paesi. Perché, secondo questa ipotesi, sarebbero perfettamente “felici” sotto quel regime, sia per quanto riguarda le loro esigenze religiose che per le loro condizioni materiali.
Fa male dirlo, ma l’ovvia verità è questa: il viaggio dell’arcivescovo Casaroli a Cuba è finito come propaganda per il regime di Fidel Castro.
Questo evento, di per sé repellente, non è che un episodio della politica di distensione con i regimi comunisti che il Vaticano sta portando avanti da tempo. Molti di questi incidenti sono molto noti al pubblico.
Uno di questi è stato il viaggio in Russia nel 1971 di Sua Eminenza il Cardinale Willebrands, Presidente del Segretariato per l’Unità dei Cristiani. Lo scopo ufficiale della sua visita era assistere all’insediamento del vescovo Pimen come patriarca “ortodosso” di Mosca. Pimen era l’uomo a cui gli atei del Cremlino scelsero di affidare le questioni religiose. La visita del cardinale Willebrands a Pimen è stata, di per sé, di grande prestigio per il presule eterodosso, giustamente considerato la bête noire [aborrito] da tutti i seguaci “ortodossi” non comunisti di tutto il mondo.
In un discorso davanti al sinodo che lo ha eletto, Pimen ha affermato la nullità dell’atto del 1595 con cui gli ucraini uscivano dallo scisma e tornavano alla Chiesa cattolica. Ciò equivaleva a dichiarare che gli ucraini non dovevano essere sotto la giurisdizione del papa, ma sotto quella di Pimen e dei suoi complici. Invece di reagire a questo feroce attacco contro i diritti della Chiesa cattolica e la coscienza dei cattolici ucraini, il cardinale Willebrands e la sua delegazione sono rimasti in silenzio. Taciuto è il consenso, dice il diritto romano. Distensione…
Naturalmente, questa capitolazione ha traumatizzato profondamente quei cattolici che seguono da vicino la politica della Santa Sede. Lo shock è stato ancora maggiore tra i milioni di cattolici ucraini sparsi in Canada, Stati Uniti e altri Paesi. Ed era legato ai drammatici dissensi tra la Santa Sede e Sua Eminenza il Cardinale Joseph Slipyj, il valoroso Arcivescovo-Maggiore degli Ucraini, durante il Sinodo dei Vescovi tenutosi a Roma nel 1971.
Il comportamento generale di Sua Eminenza il Cardinale Silva Henriquez, Arcivescovo di Santiago del Cile, costituisce un altro passo nella distensione con i governi comunisti promossa dalla diplomazia vaticana. Come ha dimostrato la TFP cilena in un lucido manifesto stampato da diversi giornali, è notorio che il cardinale cileno abbia utilizzato tutto il peso della sua autorità e della sua influenza, per aiutare Allende a salire al potere, essere trionfalmente inaugurato e mantenuto alla presidenza fino al momento in cui questo leader ateo si è suicidato.
Successivamente, mostrando una flessibilità incompatibile con la sua reputazione, Sua Eminenza il Cardinale Silva Henriquez ha rilasciato alcune dichiarazioni nel tentativo di coprire il suo fianco nel regime post-Allende. Ma nonostante questo, le continue manifestazioni di simpatia del cardinale per i marxisti cileni non cessarono mai. Solo di recente Sua Eminenza ha celebrato nella sua cappella privata una messa funebre per l’anima di un altro comunista, il “compagno” Toha, ex ministro di Allende anch’egli morto suicida. A questa Messa hanno assistito parenti e amici del defunto (cfr Jornal do Brasil, 18 marzo 1974).
La politica generale del presule, che per sua natura avvicina i cattolici al comunismo, non ha ricevuto la minima censura. Se qualcuno si aspettava che il cardinale perdesse la sua arcidiocesi, ha aspettato invano. Finora il cardinale Silva Henriquez è rimasto tranquillamente investito della missione di condurre a Gesù Cristo le anime della sua popolosa e importante arcidiocesi.
Mentre questo presule conserva tranquillamente il suo incarico attuando la politica di distensione con il comunismo, un altro arcivescovo, al contrario, ha perso la sua arcidiocesi. Ci riferiamo a una delle personalità più eclatanti della Chiesa del XX secolo, un uomo il cui nome è pronunciato con venerazione ed entusiasmo da tutti i cattolici fedeli ai tradizionali insegnamenti sociali ed economici della Santa Sede. Il nome di questo prelato è molto rispettato anche da persone delle più diverse religioni. Egli è visto come un simbolo di gloria per la Chiesa anche da coloro che non credono in essa. Eppure questo simbolo è stato recentemente schiacciato quando Sua Eminenza il Cardinale Joszef Mindszenty è stato allontanato dall’arcidiocesi di Esztergom per facilitare il riavvicinamento con il governo comunista ungherese.
Come si vede, la visita dell’arcivescovo Casaroli a Cuba – anche prescindendo dall’intervista da lui rilasciata dopo aver lasciato l’Isola – non è che un anello di una catena di eventi che si succedono da anni. Dove finirà questa catena? Quali altre dolorose sorprese, quante ancora ferite morali sono in serbo per coloro che continuano ad aderire integralmente all’immutabile dottrina sociale ed economica insegnata da Leone XIII, Pio XI e Pio XII?
Siamo certi che numerosi cattolici, alla luce di questi fatti, proveranno la stessa perplessità, angoscia e trauma espressi in queste righe. La tragica crisi interna che stanno attraversando è così profonda e struggente perché coinvolge una questione molto più acuta delle mere questioni sociali ed economiche; è una questione essenzialmente religiosa. Riguarda ciò che vi è di più fondamentale, vibrante e tenero nell’anima del cattolico romano e apostolico: la sua unione spirituale con il Vicario di Gesù Cristo.
2. Cattolici romani e apostolici
La TFP è un’associazione civica, non religiosa. Tuttavia, i suoi direttori, membri e volontari sono cattolici apostolici romani. Di conseguenza, anche l’ispirazione di tutte le sue campagne intraprese per il bene del Paese è cattolica.
La posizione fondamentalmente anticomunista della TFP deriva dalle convinzioni cattoliche di coloro che la compongono. Poiché sono cattolici, è in nome dei principi cattolici che i dirigenti, i membri ei volontari della TFP sono anticomunisti.
La politica vaticana di distensione con i governi comunisti crea una situazione profondamente difficile per i cattolici anticomunisti, molto più come cattolici che come anticomunisti. Perché da un momento all’altro possono affrontare un’obiezione estremamente imbarazzante: la loro posizione anticomunista non li conduce forse a un obiettivo esattamente opposto a quello perseguito dal Vicario di Cristo? E come si può ritenere coerente un cattolico se va in una direzione contraria a quella intrapresa dal Pastore dei Pastori? Questa domanda porta tutti i cattolici anticomunisti a un’alternativa: dovrebbero cessare la lotta? O spiegare la loro posizione?
Non possiamo fermare la lotta. Un’esigenza della nostra coscienza di cattolici non lo permetterà. Poiché è dovere di ogni cattolico promuovere il bene e combattere il male, la nostra coscienza ci chiama a propagare la dottrina tradizionale della Chiesa ea combattere la dottrina comunista.
Oggi, le parole “libertà di coscienza” riecheggiano in tutto l’Occidente e persino nelle segrete della Russia… e di Cuba. Molte volte questa espressione così usata ha acquisito significati offensivi. Ma nel suo senso più legittimo e sacro, afferma il diritto di un cattolico di agire secondo i dettami della sua coscienza nella vita religiosa così come in quella civile.
Ci sentiremmo più incatenati all’interno della Chiesa di quanto lo fosse Solzhenitsyn nella Russia sovietica se non potessimo agire in consonanza con i documenti dei grandi Pontefici che illuminarono la cristianità con la loro dottrina.
La Chiesa non c’è, la Chiesa non è mai stata, la Chiesa non sarà mai una tale prigione per le coscienze. Il vincolo di obbedienza al successore di Pietro, che non spezzeremo mai, che amiamo nel più profondo della nostra anima, e al quale tributiamo il nostro più alto amore, questo vincolo che baciamo nel momento stesso in cui, sopraffatti da dolore, affermiamo la nostra posizione. E in ginocchio, guardando con venerazione la figura di Sua Santità Paolo VI, gli esprimiamo tutta la nostra fedeltà.
In questo atto filiale diciamo al Pastore dei Pastori: la nostra anima è tua, la nostra vita è tua. Ordinaci di fare ciò che desideri. Solo non ordinarci di non fare nulla di fronte all’assalto del Lupo Rosso. A questo la nostra coscienza si oppone.
3. La soluzione data dall’apostolo San Paolo
Sì, Santo Padre, san Pietro ci insegna che è necessario «obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29). Siete assistiti dallo Spirito Santo e sostenuti – nelle condizioni definite dal Vaticano I – dal privilegio dell’infallibilità. Ma questo non significa che in certe cose o circostanze la debolezza a cui sono soggetti tutti gli uomini non possa influenzare e nemmeno determinare la tua condotta. Uno di questi campi in cui la tua azione è soggetta a errore, forse per eccellenza, è la diplomazia. Ed è proprio qui che si colloca la vostra politica di distensione con i governi comunisti.
Cosa dovremmo fare allora? I limiti di questa dichiarazione non consentono di elencare tutti i Padri della Chiesa, i Dottori, i moralisti ei canonisti – molti dei quali elevati all’onore degli altari – che hanno affermato la legittimità della resistenza. Questo genere di resistenza non è separazione, non è rivolta, non è acrimonia, non è irriverenza. Al contrario, è fedeltà, è unione, è amore, è sottomissione.
“Resistenza” è la parola che scegliamo apposta, perché è usata dallo stesso San Paolo nei confronti di San Pietro, il primo Papa, che aveva adottato provvedimenti disciplinari per sostenere alcune pratiche dell’antica Sinagoga nel culto cattolico. San Paolo vedeva in ciò un grave rischio di confusione dottrinale e di danno per i fedeli. Poi si alzò contro san Pietro e “gli resistette in faccia” (Gal 2, 11). In questa azione zelante e ispirata dell’Apostolo delle genti, san Pietro non ha visto un atto di ribellione, ma piuttosto di unione e di amore fraterno. San Pietro, ben sapendo in cosa era infallibile e in cosa non lo era, si sottomise alle argomentazioni di san Paolo. I Santi sono modelli per i cattolici. Di conseguenza, nel senso in cui san Paolo ha resistito, il nostro è uno stato di resistenza.
E con questo, la nostra coscienza è in pace.
4. Resistenza
Resistere significa che consiglieremo ai cattolici di continuare a lottare contro la dottrina comunista con ogni mezzo lecito in difesa dei loro paesi minacciati e della civiltà cristiana.
Resistere significa che non useremo mai le indegne risorse della sedizione né, tanto meno, assumeremo atteggiamenti incompatibili con la venerazione e l’obbedienza dovute al Sommo Pontefice secondo i termini del Diritto Canonico.
Resistere implica però che presenteremo rispettosamente il nostro giudizio su episodi come l’intervista dell’arcivescovo Casaroli in cui ha parlato della “felicità” dei cattolici cubani.
Nel 1968, il Santo Padre Paolo VI si trovava a Bogotà, prospera capitale della Colombia, per il 39° Congresso Eucaristico Internazionale. Un mese dopo, predicando da Roma al mondo intero, affermò di avervi visto un «grande bisogno di una giustizia sociale che offrisse a un numero immenso di poveri [in America Latina] condizioni di vita più giuste, comode e umane vita” (discorso del 28 settembre 1968).
Lo ha detto a proposito di un Continente dove la Chiesa gode della massima libertà.
Al contrario, l’arcivescovo Casaroli ha affermato di non vedere altro che felicità a Cuba.
Di fronte a ciò, resistere è dichiarare con serena e rispettosa franchezza che esiste una pericolosa contraddizione tra queste due affermazioni e che la lotta contro la dottrina comunista deve continuare.
Questo è un esempio di ciò che è la vera resistenza.
5. Panorama interno della Chiesa universale
È possibile che alcuni lettori possano essere sorpresi da questa dichiarazione. Il motivo è che fino ad oggi la TFP, riluttante ad assumere questa posizione pubblica di resistenza, non aveva denunciato la crescente perplessità e non conformità tra i cattolici nei diversi paesi a seguito della politica di distensione del Vaticano con i governi comunisti . Poiché fare ciò qui dilungherebbe eccessivamente un documento già lungo, ci limiteremo a riassumere una situazione caratteristica in atto tra i cattolici tedeschi. Ne ha dato conto Herman M. Goergen, ex deputato federale tedesco e cattolico in regola ( Correio do Povo, Porto Alegre, 23 marzo 1974).
Goergen ha commentato il lancio di due nuovi libri sulla politica vaticana, entrambi di autori tedeschi: Wohin steuert der Vatikan? (Dov’è diretto il Vaticano?) di Reinhard Raffalt, e Vatikan Intern (Dentro il Vaticano) pubblicato con lo pseudonimo di Hieronymus. Secondo Goergen, i libri hanno avuto un tale impatto da essere diventati “un argomento di grande interesse tra intellettuali e politici tedeschi”. Considerava il lavoro di Hieronymus satirico, ipercritico ed esagerato. Al contrario, ha trovato l’opera di Raffalt “seria”, sostenuta da “tesi ben fondate” e ispirata “da un profondo amore per la Chiesa”. Ciò che Raffalt afferma pubblicamente è questo: “Papa Paolo VI è un socialista”.
Poco dopo l’uscita dell’opera accademica di Raffalt, ha aggiunto Goergen, un giornale tedesco ha pubblicato una vignetta che mostra Paolo VI che passeggia con Gromyko. Passando davanti a una foto del cardinale Mindszenty, Gromyko dice a Paolo VI: «Beh, ognuno ha il suo Solzhenitsyn».
Per quanto riguarda la cacciata del cardinale Mindszenty, Goergen ha inoltre osservato che un gesuita tedesco, p. Oskar Simmel, pubblicato sul tradizionale settimanale Rheinischer Merkur, “un conservatore e intransigente difensore della fede”, una critica considerata “irriverente” da Roma. Nell’articolo, intitolato “No, signor Pope”, il signor Goergen ha scritto: “Una vera e propria ondata di sostegno [per il cardinale] ha travolto i cattolici tedeschi”. La Frankfurter Allgemeine Zeitung ha parlato apertamente dei “sogni cristiano-marxisti” di Papa Paolo VI. E la Paulus Gesellschaft (Società di Paolo), che normalmente promuove il dialogo tra cristiani e marxisti, ha denunciato l’ Ostpolitik vaticanacome “machiavellico” perché vuole “imporre al mondo una pace romano-sovietica”. Di fronte a tali critiche, spicca la moderazione della valutazione della TFP.
Non possiamo concludere il nostro commento all’articolo del signor Hermann Goergen senza accennare a una grave affermazione da lui fatta: In Polonia, come in Ungheria, Cecoslovacchia e Jugoslavia, i contatti e gli accordi dei regimi con la Santa Sede non hanno diminuito l’intensa persecuzione religiosa . Analoga affermazione è stata fatta dal cardinale Mindszenty a proposito del suo Paese.
Rimaniamo in uno stato di perplessità. Una presunta attenuazione della presa di posizione antireligiosa è stata la grande argomentazione (a nostro avviso insufficiente) presentata dai fanatici della politica vaticana di distensione. Ma la realtà mostra che la politica di distensione non raggiunge questo obiettivo ma favorisce solo il comunismo. Cuba ne è un altro esempio. Eppure un promotore ufficiale di questa distensione, l’arcivescovo Casaroli, ha dichiarato che i cattolici sono felici di vivere in questo regime di persecuzione. Ci chiediamo, allora, se la distensione non sia sinonimo di capitolazione.
Se lo è, come non resistere alla politica di distensione e presentare al pubblico il suo errore colossale?
Questo è un altro esempio di come intendiamo la resistenza.
6. Conclusione
Questa spiegazione era imperativa. Ha il carattere di una legittima autodifesa delle nostre coscienze cattoliche nei confronti di una politica diplomatica che stava diventando insopportabile mettendo i cattolici anticomunisti in una situazione difficilissima, cioè la loro posizione stava diventando incomprensibile al pubblico. Lo sottolineiamo, in conclusione, alla fine di questo comunicato.
Nessuna conclusione, tuttavia, sarebbe completa senza riaffermare la nostra illimitata e amorevole obbedienza non solo alla Santa Chiesa ma anche al Papa, nei termini pieni prescritti dalla dottrina cattolica.
La Madonna di Fatima ci aiuti in questo cammino che dobbiamo percorrere nella fedeltà al suo messaggio, con la gioia anticipata che si realizzerà la promessa da Lei fatta: “Finalmente il mio Cuore Immacolato trionferà”.
La dichiarazione precedente è stata pubblicata per la prima volta in portoghese nella Folha de S.Paulo , il 10 aprile 1974. È stata tradotta e adattata per la pubblicazione senza la revisione dell’autore. –Ed.
Pubblicato per la prima volta in inglese dalla TFP americana nel numero di settembre 1974 di Crusade for a Christian Civilization .
Aggiornato il 18 febbraio 2020.
Plinio Corrêa de Oliveira 1 settembre 1974