
Il pontificato di papa san Leone, accanto a quello di san Gregorio I, è il più significativo e importante dell’antichità cristiana. Nel momento in cui la Chiesa sperimentava i maggiori ostacoli al suo progresso a causa della disgregazione precipitosa dell’Impero d’Occidente, e mentre l’Oriente era profondamente agitato dalle controversie dogmatiche, questo grande papa, con lungimirante sagacia e mano potente, guidò il destino della Chiesa romana e universale.
Leone discendeva da una nobile famiglia toscana, ma nato a Roma. Il nome di suo padre era Quinziano. Le nostre prime informazioni storiche certe su Leone lo rivelano un diacono della Chiesa romana sotto papa Celestino I (422-432). Anche in questo periodo fu conosciuto fuori Roma, ed ebbe alcuni rapporti con la Gallia, poiché Cassiano nel 430 o 431 scrisse su suggerimento di Leone la sua opera “De Incarnatione Domini contra Nestorium” (Migne, PL, L, 9 ss.), prefazione con una lettera di dedica a Leo.

(regnò 432-440)
Durante il pontificato di Sisto III (432-440), Leone fu inviato in Gallia dall’imperatore Valentiniano III per dirimere una disputa e realizzare una riconciliazione tra Ezio, comandante militare in capo della provincia, e il magistrato supremo, Albino. Questa commissione è una prova della grande fiducia riposta nell’abile e abile diacono dalla Corte Imperiale. Sisto III morì il 19 agosto 440, mentre Leone si trovava in Gallia, e quest’ultimo fu scelto come suo successore. Tornato a Roma, Leone fu consacrato il 29 settembre dello stesso anno e governò la Chiesa romana per i successivi ventuno anni.
Mentre l’impero d’oriente era distratto da fazioni eretiche, l’occidente era vessato dai barbari. Attila l’Unno, arricchitosi con il saccheggio di molte nazioni e città, marciò contro Roma. Gli Unni, una nazione selvaggia di quella parte della Scizia che ora si trova nella Moscovia, avevano passato il Palus Mæotis, nel 276, e avevano fatto le loro prime incursioni sulle coste del Mar Caspio, e fino al Monte Tauro in Oriente. Quasi duecento anni dopo, Attila, il più potente e barbaro di tutti i re di quella nazione, nel 433, aveva marciato prima in Oriente, poi soggetto a Teodosio il Giovane, e dopo aver accumulato un vasto bottino in Asia, era tornato in Pannonia, dove era già padrone di un vasto territorio.
La sua spedizione successiva fu diretta contro la parte occidentale dell’impero. Il suo esercito che marciava attraverso la Germania, traeva con sé ulteriori rifornimenti da tutte le nazioni barbare vicino alle quali passava, e ammontava alla fine al numero di cinquecento, Jornandes dice settecentomila combattenti; il tutto mosso da nessun altro motivo che la speranza di grandi spoglie dal saccheggio dei paesi più ricchi dell’impero. Entrato in Gallia, Attila mise in rovina Tongres, Treviri e Metz. Troyes fu risparmiato da lui, su supplica di San Lupo, e San Nicasio preservò Reims. Il barbaro aveva appena preso d’assalto Orléans, quando Aëtius, il generale romano, lo raggiunse, lo espulse da quella città e lo seguì nelle pianure di Mauriac o Challons, che, secondo Jornandes, si estendevano in lunghezza cento miglia, e settanta di larghezza, e sembra che comprendessero l’intero paese, conosciuto fin dal sesto secolo sotto il nome di Champagne. Qui si fermò Attila, e quando giunse Ezio con i Romani, i Visigoti e i Borgognoni, questi vasti campi sembravano coperti di truppe. In una battaglia molto sanguinosa, gli Unni furono qui sconfitti. Attila, infuriato per questa sconfitta, e dopo aver riparato le sue perdite dell’anno precedente, entrò in Italia per la Pannonia, nel 453, prese e incendiò Aquileia, e riempì tutto il paese di sangue e desolazione. Alcuni degli abitanti, fuggiti dalle sue braccia nelle isolette dei laghi poco profondi all’estremità del Golfo Adriatico, qui posero le fondamenta della città di Venezia, che troviamo nominata da Cassiodoro, cinquant’anni dopo questo evento. Attila saccheggiò Milano, rase al suolo Pavia e dovunque passò devastò intere province. Il debole Imperatore Valentiniano III si rinchiuse in Ravenna, ed i Romani, nel massimo terrore, si aspettavano di vedere presto il Barbaro davanti alle loro porte. Tale era lo stato delle cose quando Leone andò incontro ad Attila.

Nella costernazione generale, San Leone, su richiesta di tutta la città di Roma, andò incontro ad Attila, nella speranza di placare la sua rabbia e scongiurare il pericolo che minacciava il suo paese. Avieno, uomo di dignità consolare, e Trigezio, che era stato prefetto della città, furono deputati ad accompagnarlo in questa ambasceria. Trovarono il superbo tiranno ad Ambuleium, presso Ravenna, dove la strada maestra passa il fiume Menzo. Contrariamente alle attese di tutti, ricevette il papa con grande onore, gli diede un’udienza favorevole e, per suo suggerimento, concluse un trattato di pace con l’impero a condizione di un tributo annuale. Baronio, da uno scrittore dell’VIII secolo, riferisce, che Attila vide due venerabili personaggi, supposti essere gli apostoli SS. Pietro e Paolo, in piedi accanto al papa mentre parlava. Il re ordinò immediatamente al suo esercito di astenersi da ogni ostilità, e subito dopo ripassò le Alpi e si ritirò oltre il Danubio in Pannonia; ma tornando a casa fu colto da un violento vomito di sangue, di cui morì nel 453.
Le divisioni tra i suoi figli e principi distrussero l’impero degli Unni (Jornand. Rer. Goth. c. 12. 49. Prosp. in Chron. ad an. 452.). Così cadde il più superbo e furioso di tutti i barbari re pagani, chiamato il terrore del mondo e il flagello di Dio, di cui era lo strumento per punire i peccati dei cristiani. Fu gloria di San Leone aver frenato il suo furore e protetto Roma, quando non era in condizioni di difesa.
Nel 455, gli amici di Aëtius (la cui grandezza e arroganza avevano tanto offeso l’imperatore da farlo assassinare) vendicarono la morte di quel generale con l’assassinio dello stesso Valentiniano. Sua moglie Eudossia sposò per costrizione il tiranno Massimo, che gli aveva usurpato il trono; ma, non tollerando questi affronti, invitò dall’Africa Genserico, re ariano vandalo, a vendicarsi dell’assassinio del marito. Massimo fuggì; ma fu ucciso dai servi di Valentiniano il 12 giugno, nel ventisettesimo giorno del suo regno, nel 455.
Tre giorni dopo arrivò Genserico e trovò le porte di Roma aperte per riceverlo. Gli uscì incontro san Leone, e lo convinse a trattenere le sue genti dal massacro e dall’incendio, e contentarsi del saccheggio della città. L’esempio di San Leone mostra che, anche nei momenti peggiori, un santo pastore è il più grande conforto e sostegno del suo gregge. Dopo la partenza de’ Vandali con i loro prigionieri, ed un immenso bottino, san Leone inviò zelanti sacerdoti cattolici ed elemosine per il soccorso de’ prigionieri nell’Affrica. Riparò le Basiliche e rimise a posto le ricche lamiere e gli ornamenti delle chiese che erano state saccheggiate, sebbene alcune parti fossero sfuggite per essere nascoste, specialmente ciò che apparteneva alle chiese dei SS. Pietro e Paolo, che secondo Baronio Genserico risparmiò e concesse loro il privilegio di santuari, come si faceva altre volte. Questo grande papa, per la sua umiltà, mitezza e carità, era venerato e amato da imperatori, principi e da ogni ceto, anche infedeli e barbari.
Lo scopo principale di Leone era quello di sostenere l’unità della Chiesa. Non molto tempo dopo la sua elevazione alla Cattedra di Pietro, si vide costretto a combattere energicamente le eresie che minacciavano seriamente l’unità della Chiesa anche in Occidente. Leone aveva accertato tramite il vescovo Settimio di Altino, che ad Aquileia sacerdoti, diaconi e chierici, che erano stati seguaci di Pelagio, erano ammessi alla comunione senza un’esplicita abiura della loro eresia. Il papa censurò aspramente questa procedura e ordinò che si riunisse ad Aquileia un sinodo provinciale, nel quale si richiedesse a tali persone di abiurare pubblicamente il pelagianesimo e di sottoscrivere un’inequivocabile confessione di fede (epp. i e ii). Questo zelante pastore mosse guerra ancor più strenuamente al manicheismo, in quanto i suoi aderenti, che erano stati cacciati dall’Africa dai Vandali, si era stabilito a Roma ed era riuscito a stabilirvi una segreta comunità manichea. Il papa ordinò ai fedeli di segnalare questi eretici ai sacerdoti, e nel 443, insieme ai senatori e ai presbiteri, condusse personalmente un’inchiesta, nel corso della quale furono esaminati i capi della comunità. In diversi sermoni ammoniva enfaticamente i cristiani di Roma a stare in guardia contro questa riprovevole eresia, e ripetutamente li incaricava di dare informazioni sui suoi seguaci, le loro dimore, conoscenze e appuntamenti (Sermo ix, 4, xvi, 4; xxiv, 4; xxxiv, 4 sq.; xlii, 4 sq.; lxxvi, 6). condusse di persona un’inchiesta, nel corso della quale furono esaminati i capi della comunità. In diversi sermoni ammoniva enfaticamente i cristiani di Roma a stare in guardia contro questa riprovevole eresia, e ripetutamente li incaricava di dare informazioni sui suoi seguaci, le loro dimore, conoscenze e appuntamenti (Sermo ix, 4, xvi, 4; xxiv, 4; xxxiv, 4 sq.; xlii, 4 sq.; lxxvi, 6). condusse di persona un’inchiesta, nel corso della quale furono esaminati i capi della comunità. In diversi sermoni ammoniva enfaticamente i cristiani di Roma a stare in guardia contro questa riprovevole eresia, e ripetutamente li incaricava di dare informazioni sui suoi seguaci, le loro dimore, conoscenze e appuntamenti (Sermo ix, 4, xvi, 4; xxiv, 4; xxxiv, 4 sq.; xlii, 4 sq.; lxxvi, 6).
Un certo numero di Manichei in Roma furono convertiti e ammessi alla confessione; altri, che rimasero ostinati, obbedirono ai decreti imperiali banditi da Roma dai magistrati civili. Il 30 gennaio 444 il papa inviò una lettera a tutti i vescovi d’Italia, alla quale allegò i documenti contenenti i suoi procedimenti contro i manichei a Roma, e li ammoniva a stare in guardia e ad agire contro i seguaci del setta (ep. vii). Il 19 giugno 445 l’imperatore Valentiniano III emanò, senza dubbio su istigazione del papa, un severo editto in cui stabiliva sette punizioni per i Manichei (“Epist. Leonis”, ed. Ballerini, I, 626; ep. viii inter Leon. ep). Prospero d’Aquitania afferma nella sua “Cronaca” (ad an. 447; “Mon. Germ. hist. Auct. antiquissimi”, IX, I, 341 ss.) che, in conseguenza delle energiche misure di Leone, anche i manichei furono cacciati dalle province, e anche i vescovi orientali imitarono l’esempio del papa riguardo a questa setta. In Spagna sopravviveva ancora l’eresia del priscillianesimo, che da tempo attirava nuovi adepti. Ne venne a conoscenza il vescovo Turibio di Astorga, che con lunghi viaggi raccolse minuziose informazioni sullo stato delle chiese e sulla diffusione del priscillismo. Ha compilato gli errori dell’eresia, ha scritto una confutazione della stessa e ha inviato questi documenti a diversi vescovi africani. Ne inviò anche una copia al papa, al che quest’ultimo inviò una lunga lettera a Turibio (ep. xv) in confutazione degli errori dei Priscillianisti. Leone allo stesso tempo ordinò che fosse convocato un consiglio di vescovi appartenenti alle province vicine per avviare una rigida inchiesta, con l’obiettivo di determinare se qualcuno dei vescovi si fosse contaminato con il veleno di questa eresia. Se qualcuno di loro fosse stato scoperto, sarebbero stati scomunicati senza esitazione. Il papa indirizzò anche una lettera simile ai vescovi delle province spagnole, notificando loro che doveva essere convocato un sinodo universale di tutti i sommi pastori; se ciò dovesse risultare impossibile, dovrebbero essere riuniti almeno i vescovi della Galizia. Questi due sinodi furono infatti tenuti in Spagna per trattare i punti controversi (Hefele, “Konziliengesch.” II, 2a ed., pp. 306 ss.). notificando loro che doveva essere convocato un sinodo universale di tutti i sommi pastori; se ciò dovesse risultare impossibile, dovrebbero essere riuniti almeno i vescovi della Galizia. Questi due sinodi furono infatti tenuti in Spagna per trattare i punti controversi (Hefele, “Konziliengesch.” II, 2a ed., pp. 306 ss.). notificando loro che doveva essere convocato un sinodo universale di tutti i sommi pastori; se ciò dovesse risultare impossibile, dovrebbero essere riuniti almeno i vescovi della Galizia. Questi due sinodi furono infatti tenuti in Spagna per trattare i punti controversi (Hefele, “Konziliengesch.” II, 2a ed., pp. 306 ss.).
Nella concezione di Leone dei suoi doveri di sommo pastore, il mantenimento di una rigida disciplina ecclesiastica occupava un posto preminente. Ciò era particolarmente importante in un tempo in cui le continue devastazioni dei barbari introducevano il disordine in tutte le condizioni di vita e le regole della morale erano gravemente violate. Leone adoperò tutta la sua energia per mantenere questa disciplina, insistette sull’esatta osservanza dei precetti ecclesiastici e non esitò a rimproverare quando fosse necessario. Lettere (ep. xvii) relative a queste ed altre questioni furono inviate ai diversi vescovi dell’Impero d’Occidente, ad esempio ai vescovi delle province italiane (epp. iv, xix, clxvi, clxviii), e a quelli della Sicilia, che aveva tollerato deviazioni dalla liturgia romana nell’amministrazione del Battesimo (ep. xvi), e riguardo ad altre questioni (ep. xvii). Un importantissimo decreto disciplinare fu inviato al vescovo Rusticus di Narbonne (ep. clxvii). A causa del dominio dei Vandali nell’Africa settentrionale latina, la posizione della Chiesa era divenuta estremamente cupa. Leone vi inviò il sacerdote romano Potenzio per informarsi sulle condizioni esatte e per inoltrare un rapporto a Roma. Ricevuto ciò Leone inviò all’episcopato della provincia una lettera di dettagliate istruzioni circa la sistemazione di numerose questioni ecclesiastiche e disciplinari (ep. xii). Leone inviò anche una lettera a Dioscuro di Alessandria il 21 luglio 445, esortandolo alla stretta osservanza dei canoni e della disciplina della Chiesa romana (ep. ix). Il primato della Chiesa romana si manifestò così sotto questo papa nei modi più vari e distinti. Ma fu soprattutto nella sua interposizione nella confusione delle dispute cristologiche, che allora agitavano così profondamente la cristianità orientale, che Leone si rivelò nel modo più brillante il pastore saggio, dotto ed energico della Chiesa. Dalla sua prima lettera su questo argomento, scritta a Eutyches il 1 giugno 448 (ep. xx), alla sua ultima lettera scritta al nuovo Patriarca ortodosso di Alessandria, Timotheus Salophaciolus, il 18 agosto 460 (ep. clxxi), noi non può che ammirare il modo chiaro, positivo e sistematico con cui Leone, forte del primato della Santa Sede, partecipò a questo difficile intreccio.
Eutiche fece appello al papa dopo essere stato scomunicato da Flavio, patriarca di Costantinopoli, a causa delle sue opinioni monofisite. Il papa, dopo aver indagato sulla questione controversa, inviò la sua sublime lettera dogmatica a Flaviano (ep. xxviii), esponendo concisamente e confermando la dottrina dell’Incarnazione e dell’unione della natura Divina e umana nell’unica Persona di Cristo. Nel 449 si tenne il concilio, che fu designato da Leone come il “Sinodo dei briganti”. Flaviano e altri potenti prelati d’Oriente si appellarono al papa. Quest’ultimo inviò lettere urgenti a Costantinopoli, in particolare all’imperatore Teodosio II e all’imperatrice Pulcheria, esortandoli a convocare un consiglio generale per restaurare pace alla Chiesa. Allo stesso fine usò la sua influenza con l’imperatore d’Occidente, Valentiniano III, e sua madre Galla Placidia, specialmente durante la loro visita a Roma nel 450. Questo consiglio generale si tenne a Calcedonia nel 451 sotto Marciano, il successore di Teodosio. Accoglieva solennemente l’epistola dogmatica di Leone a Flaviano come espressione della fede cattolica riguardante la persona di Cristo. Il papa confermò i decreti del Concilio dopo aver eliminato il canone, che elevava il patriarcato di Costantinopoli, mentre diminuiva i diritti degli antichi patriarchi orientali. Il 21 marzo 453 Leone emanò una lettera circolare che confermava la sua definizione dogmatica (ep. cxiv). Mediante la mediazione del vescovo Giuliano di Cos, allora ambasciatore pontificio a Costantinopoli, il papa ha cercato di proteggere ulteriori interessi ecclesiastici in Oriente. Convinse il nuovo imperatore di Costantinopoli, Leone I, a rimuovere il patriarca eretico e irregolare Timoteo Ailuro dalla sede di Alessandria. Un nuovo e ortodosso patriarca, Timotheus Salophaciolus, fu scelto per occupare il suo posto, e ricevette le congratulazioni del papa nell’ultima lettera che Leone inviò mai all’Oriente.

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Leone non fu meno attivo nell’elevazione spirituale delle Congregazioni romane, e le sue prediche, di cui si sono conservati novantasei esempi autentici, sono notevoli per profondità, chiarezza di dizione e stile elevato. I primi cinque di questi, pronunciati negli anniversari della sua consacrazione, manifestano la sua alta concezione della dignità del suo ufficio, nonché la sua profonda convinzione del primato del Vescovo di Roma, manifestata in modo così schietto e decisivo modo da tutta la sua attività di sommo pastore. Delle sue lettere, che sono di grande importanza per la storia della Chiesa, ci sono pervenute 143: ne possediamo anche trenta che gli furono inviate. Il cosiddetto “Sacramentarium Leonianum” è una raccolta di orazioni e prefazi della messa, preparata nella seconda metà del VI secolo.
Leone morì il 10 novembre 461 e fu sepolto nel vestibolo di San Pietro in Vaticano. Nel 688 papa Sergio fece trasferire le sue spoglie nella basilica stessa e su di esse eresse uno speciale altare. Riposano oggi in San Pietro, sotto l’altare appositamente dedicato a San Leone. Nel 1754 Benedetto XIV lo esaltò alla dignità di Dottore della Chiesa (doctor ecclesiae).
(cfr. 1913 Catholic Encyclopedia and Lives of the Saints , di padre Alban Butler.)
Nobility.org 8 novembre 2012