
“La storia è la maestra della vita”, diceva Cicerone. Nulla è più utile alla comprensione di alcuni degli aspetti più vivi della realtà moderna dello studio di analoghe situazioni del passato.
Le eresie, come è noto, sono sorte una dopo l’altra durante tutti i venti secoli di storia della Chiesa cattolica. Il più recente è il progressismo, un malcelato revival del modernismo condannato da San Pio X all’inizio del XX secolo.
Il grande pubblico ha nozioni vaghe e non di rado inesatte sul modo in cui queste diverse correnti eretiche si sono staccate dalla Chiesa. Ad esempio, la maggioranza delle persone immagina che la rottura di Lutero con la Chiesa sia avvenuta in quattro fasi: 1) ha elaborato una dottrina contraria alla dottrina cattolica; 2) poi, accortosi del contrasto ideologico, si ribellò, si staccò dalla Chiesa e costituì una setta evangelica; 3) di conseguenza la Chiesa lo minacciò di scomunica se non avesse abiurato i suoi errori; 4) Lutero persistette nella sua posizione dottrinale, fu scomunicato e la rottura fu consumata. Così Lutero avrebbe lasciato la Chiesa perché lo desiderava, quando lo desiderava e come lo desiderava. L’ha lasciata come il figliol prodigo ha lasciato la casa di suo padre: dicendo apertamente, francamente a suo padre in anticipo.
La storia ci insegna, però, che nel caso di Lutero, come in quelli degli altri grandi eresiarchi, il processo di separazione fu assai più complesso. Il motivo è che certi eresiarchi – forse la maggior parte di loro – non volevano assolutamente uscire dalla Chiesa sbattendo la porta. Erano troppo diplomatici e sottili per selezionare un modo così semplice per raggiungere i loro obiettivi. Hanno scelto di aderire alla Chiesa come una ciste per diffondere di nascosto l’eresia tra i fedeli. Se questo sistema funzionasse, gli eresiarchi potrebbero infiltrarsi da cima a fondo in tutte le strutture della Chiesa.
Per questo motivo, pur consapevoli che il loro pensiero era incompatibile con il cattolicesimo, i fondatori dell’eresia cercarono di formulare le loro massime in termini apparentemente conciliabili con la teologia ortodossa. Se non avessero adottato tali precauzioni, infatti, sarebbero stati facilmente identificati e condannati come eretici. Tutti i cattolici si sarebbero rivoltati contro di loro e contro le loro dottrine. Il processo di infiltrazione degli eretici si sarebbe arrestato ipso facto, ed essi avrebbero corso il rischio di portare con sé solo un pugno di apostati.
Da questo punto di vista non è difficile cogliere le pietre miliari del più sottile processo di separazione degli eretici dalla Chiesa: 1) l’eresiarca genera la sua dottrina eterodossa e le dà una formulazione che a prima vista sembra ortodossa; 2) l’eresiarca comincia a far circolare il suo errore camuffato e ad attirare adepti sprovveduti che riunisce in gruppi controllati dai suoi entusiasti; 3) in segreto ai suoi seguaci viene insegnato il grave errore, ma viene loro consigliato di diffonderlo in maniera velata; 4) mentre la nuova setta comincia a diffondersi, si levano voci tra i veri cattolici che denunciano la nuova eresia; 5) i suoi adepti si difendono affermando di essere ortodossi e di essere vilmente calunniati; 6) la Chiesa esamina la controversia, dichiara eretica la nuova dottrina e scomunica chi la segue.
Quindi c’è una classe di eresiarchi ed eretici che non si precipitano fuori dalla Chiesa ma desiderano invece restare dentro, pescando in acque fangose. È necessario sradicarli con la pura forza attraverso l’applicazione di pene spirituali.
La peculiare natura di questi settari spiega perché il loro processo di separazione dalla Chiesa a volte non si concluda nemmeno con la scomunica. Una volta che l’eresia è stata condannata, sembra essere morta; ma in poco tempo risorge di nuovo… dentro la Chiesa. Ad esempio, una volta condannato l’arianesimo, la famosa eresia del IV secolo, la setta ariana si sgretolò. Ma subito dopo riapparve nelle file cattoliche con espressioni che camuffavano dottrine meno radicali di quella di Ario ma ispirate al suo pensiero. Nacque così il cosiddetto semi-arianesimo.
Di conseguenza, era necessario che la Chiesa compisse un nuovo sforzo per individuare, definire e condannare questa nuova trappola eretica, sradicando il cancro che era nuovamente ricomparso in essa.
Qual è l’ambizione più alta di un’eresia velata? Cosa sperano i suoi leader con questa tattica di infiltrazione? Non si tratta semplicemente di reclutare molti seguaci tra i fedeli. È portare dalla loro parte sacerdoti, vescovi, cardinali e anche, se ci riuscissero, un Papa. Quali estremi non possono raggiungere i sogni di impero degli eretici!
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Il processo di formazione del comunismo è stato molto diverso. Il suo fondatore non era cattolico. I suoi adepti furono reclutati tra persone che non avevano mai avuto fede o che l’avevano persa del tutto. Ogni volta che la setta marxista faceva nuove reclute, rompeva apertamente con la Chiesa.
Appare evidente, però, che ai nostri giorni il comunismo cambia tattica e cerca di imitare, almeno in larga misura, la sottile manovra delle velate eresie. In altre parole, il marxismo assume ora arie da sacrestano, cercando di radicarsi nella Chiesa per conquistarla. Rendendosi conto di aver fallito nella sua lotta centenaria contro la Chiesa dall’esterno, ora cerca di ucciderla dall’interno.
Come si fa? In mille modi. Non ho abbastanza spazio qui per descrivere questa immensa manovra in tutti i suoi aspetti. Mi limiterò a darne solo un tratto caratteristico.
Quindi arriviamo alla bufala del “comunismo ateo”. L’espressione è legittima; si trova nei documenti pontifici. Si basa sul fatto che il comunismo è un vasto tessuto di errori di cui l’ateismo è il più grave e marcato. Quindi è logico che sia comunemente designato come “comunismo ateo”.
Ora, però, gli ambienti cattolici intrisi di influenze comuniste hanno cominciato a interpretare l’espressione in modo capriccioso. Se i Papi condannano il comunismo ateo, sostengono, è solo perché è ateo. Pertanto, se ci fosse una corrente non atea del comunismo, la Chiesa ovviamente non avrebbe la minima obiezione.
Questo sotterfugio, perché di questo si tratta, equivale ad affermare che i Papi non hanno mai condannato nel comunismo altro che il suo ateismo. Ora basta leggere i documenti di Leone XIII per vedere che ciò è del tutto falso. La Chiesa, infatti, condanna anche i dogmi politici, sociali ed economici del comunismo. Un autentico cattolico non può accettarli, anche se presentati senza alcun legame con l’ateismo.
Così, ad esempio, affermare l’ortodossia di un programma di riforma sociale di ispirazione comunista che includa il divorzio, l’amore libero e la completa promiscuità nei rapporti sessuali è palesemente contrario alla morale cattolica. Questo anche quando i fautori di queste riforme frequentano i sacramenti.
Quanto dico della promiscuità sessuale vale anche per la proprietà collettiva, cioè un sistema economico che esclude la proprietà individuale. Se qualcuno dice di credere in Dio ma desidera l’impianto di un tale sistema, è contro la Chiesa.
Cosa guadagna la propaganda comunista da questo gioco dottrinale giocato con l’espressione “comunismo ateo”? Riesce a creare in innumerevoli cattolici l’illusione che, ateismo a parte, possano essere comunisti in ogni altro aspetto. Questa è una perfetta impostura.
Nella misura in cui questa infida manovra procede senza ostacoli, avremo il comunismo profondamente radicato negli ambienti cattolici come prima avevamo il nascente arianesimo e il protestantesimo.
Di fronte a questo panorama, i cattolici autentici rimangono inorriditi. I comunisti ridono. Perché chi li sradicherà dagli ambienti cattolici se continua la tendenza nella Chiesa a non scomunicare nessuno?
L’articolo precedente è stato originariamente pubblicato nella Folha de S.Paulo , il 14 marzo 1971. È stato tradotto e adattato per la pubblicazione senza la revisione dell’autore. –Ed.
Plinio Corrêa de Oliveira 14 marzo 1971