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3Come i democristiani hanno contribuito ad approvare l’aborto in Italia

Come i democristiani hanno contribuito ad approvare l'aborto in Italia
Come i democristiani hanno contribuito ad approvare l’aborto in Italia

Quest’anno l’Italia ricorderà il quarantesimo anniversario della famigerata legge n. 194 che introdusse l’aborto. Questa legge è unica al mondo. Mentre in ogni altro Paese l’aborto è stato introdotto dalla sinistra, in Italia è opera della Democrazia Cristiana.

Una storia lunga e triste

Per comprendere le origini della Legge n. 194, dobbiamo dare un rapido sguardo alla storia dell’Italia nel dopoguerra.

Nel 1945 l’Italia era governata da una coalizione di sinistra che comprendeva i partiti comunista, socialista e democristiano. La Democrazia cristiana era stata fondata l’anno precedente da Alcide De Gasperi, che la definì «un partito di centro che si sposta a sinistra». In altre parole, prenderebbe i suoi voti dai cattolici, per poi spingerli verso la sinistra. Questo fu l’esito di una lunga infiltrazione, all’interno della Chiesa e nei laici, della corrente progressista che era stata condannata da papa San Pio X alcuni decenni prima. Nel 1948 la Democrazia Cristiana vinse le elezioni, dando inizio a un lungo periodo di supremazia politica.

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In questo periodo, in cui la Democrazia Cristiana domina la politica italiana, il Paese inizia una discesa verso la sinistra: nel 1950, Riforma agraria espropriata ai latifondisti; nel 1954 il Partito si dichiarò “laico”, rifiutando così il Magistero della Chiesa; nel 1962 il Partito approvò la cosiddetta “svolta a sinistra” ; nel 1963 ammise al governo i socialistisempre nel 1963 approvò un nuovo sistema scolastico che favoriva la laicità; nel 1970 approvò il divorzio; nel 1975 approvò un “Nuovo Diritto di Famiglia” che distrusse le fondamenta della famiglia; nel 1976 invitò i comunisti al governo. La scena era pronta per la legge sull’aborto.

Il punto di partenza è stata una sentenza della Corte Costituzionale, nel febbraio 1975, che distingueva tra neonato e feto. Solo il primo è tutelato dalla Legge. Immediatamente, il Parlamento ha istituito una Commissione per redigere una nuova legge sull’aborto. Nel 1976, i conservatori sollevarono una “eccezione di costituzionalità”, cioè contestarono la legge in quanto incostituzionale. L’eccezione è stata bocciata con i voti dei partiti comunisti, socialisti, radicali e democristiani.

Come i democristiani hanno contribuito ad approvare l'aborto in Italia
Giulio Andreotti, visto qui con Benedetto “Bettino” Craxi, leader del Partito Socialista Italiano, è stato anche Ministro degli Affari Esteri di Bettino Craxi.

Nel luglio del 1976 ci fu un incidente chimico a Seveso, vicino a Milano. Una nuvola di diossina è stata rilasciata da una fabbrica difettosa. Si diceva che la popolazione fosse stata avvelenata e che le donne incinte rischiassero di partorire bambini deformi. Sebbene la base scientifica non sia mai stata stabilita, il governo democristiano, guidato da Giulio Andreotti, autorizzò gli aborti eugenetici, andando di fatto contro la legge vigente.

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Dopo un breve dibattito in Parlamento, il 21 gennaio 1977 comunisti, socialisti, radicali e democristiani si unirono e approvarono la legge n. la seconda volta, eccezione di costituzionalità. E per la seconda volta sono stati bocciati dall’Amministrazione Andreotti. Quando la legge fu finalmente pubblicata, nel maggio 1978, portava le firme del presidente Giovanni Leone, del presidente del Consiglio Giulio Andreotti e di cinque ministri, tutti democristiani.

Il nuovo quadro giuridico

Quali sono i contenuti della Legge n. 194?

Secondo il precedente quadro giuridico, l’aborto era vietato. Infatti, secondo il Titolo X Libro II del Codice Penale, era punito con la reclusione fino a cinque anni chi induceva o eseguiva l’aborto su una donna consenziente, o fino a sette anni se lo faceva senza donna consenziente. Tuttavia, secondo l’art. 54 dello stesso Codice, vi erano alcune eccezioni, come ad esempio, in caso di rischio per la salute della madre.

La legge n. 194 ha capovolto questa normativa dichiarando legale l’aborto, anche se con alcune restrizioni. La legge suddivide arbitrariamente la vita intrauterina del bambino in tre periodi, applicando per ciascuno una diversa disciplina, ed avendo come unico criterio la salute della madre, senza alcun riferimento ai diritti o al benessere del bambino. Il bambino è una nullità, una cosa di cui la madre può disporre a suo piacimento. Ciò introduce una logica giuridica che, di fatto, consente alla donna di abortire quasi fino al nono mese.

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Per fortuna la legge 194 accoglie l’obiezione di coscienza. Qualsiasi personale medico o paramedico può dichiararsi obiettore di coscienza, e quindi rifiutarsi di praticare aborti. Questa, infatti, è al momento l’unica valvola di sfogo per medici e infermieri pro-life. Grazie a Dio, il numero degli obiettori di coscienza è molto alto. Quasi il 70% dei ginecologi italiani si rifiuta di uccidere i bambini. In alcune regioni, soprattutto al Sud, questo numero può raggiungere l’80%. Nella Regione Autonoma Trentino-Alto Adige (Südtirol) il 92% dei medici è obettore. Per questo ora gli abortisti cercano di abrogare questo articolo della legge.

Alcuni sostengono che la legge n. 194 sia «una buona legge mal applicata». Infatti, come abbiamo visto, la legge ha stravolto la normativa precedente, dichiarando legale l’aborto. D’altra parte, le poche restrizioni che contiene sono facilmente aggirabili, poiché il criterio dominante è la salute della madre, non i diritti del bambino.

Il referendum del 1981

In Italia non esiste referendum propositivo ma solo abrogativo. In altre parole, utilizzando lo strumento democratico del referendum, i cittadini non possono proporre una nuova legge, ma possono solo abrogare, parzialmente o totalmente, una esistente.

Subito dopo l’approvazione della legge n. 194, il Partito radicale ha iniziato a raccogliere firme per abrogare gli articoli restrittivi che rendevano totalmente gratuito l’aborto. Immediatamente i pro-vita, compresa l’associazione che attualmente presiedo, Tradizione Famiglia Proprietà, hanno costituito l’ Alleanza per la Vita e hanno iniziato a raccogliere firme per abrogare la legge stessa. Si chiamava la “proposta massimalista”.

Purtroppo, salvo rare eccezioni, questa iniziativa pro-vita non è stata sostenuta dai funzionari della Chiesa. Le ragioni di ciò sono molteplici e richiederebbero un altro articolo per spiegarle. Da un lato, la Chiesa in Italia era intimamente associata alla Democrazia Cristiana, come parte di un ampio e complicato equilibrio di poteri che pochi volevano alterare.

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D’altra parte, l’infiltrazione progressista nella Chiesa aveva già raggiunto il culmine. Sebbene nessun vescovo italiano sostenesse apertamente l’aborto, la maggior parte era favorevole a una sorta di “modernizzazione”, che implicava implicitamente una maggiore libertà sessuale. Così, direttamente o indirettamente, hanno promosso la mentalità liberale che era alla base del movimento abortista.

A questo dobbiamo aggiungere il totale rifiuto della militanza. Il Concilio Vaticano, dicevano, aveva inaugurato un rapporto nuovo, amichevole, tra la Chiesa e il mondo. I cattolici non dovevano più essere “contro” il mondo, dovevano piuttosto “ dialogare ” con esso. E se l’aborto faceva parte di questo mondo moderno, i cattolici non potevano opporsi militantemente. Mons. Luigi Maverna, segretario della Cei, ha rifiutato di incontrare i rappresentanti di Alleanza per la vita . Ha affermato che la CEI era “del tutto indisposta” a collaborare alla campagna per la vita. Nel maggio 1980 Alleanzarappresentanti sono stati ricevuti da mons. Achille Silvestrini, Segretario per gli Affari Generali del Vaticano. Anche lui era indisposto. Ha sottolineato la “totale inopportunità” del referendum abrogativo e ha detto di non volere che i cattolici entrino in polemica con gli abortisti. Ha anche affermato che il Partito Democratico Cristiano era contrario a tale referendum. Ciò non sorprende, poiché erano stati loro a votare la legge….

Trasbordo e dialogo ideologici inavvertiti

Mentre la campagna di Alleanza per la Vita veniva così gravemente compromessa, la CEI promosse la fondazione del Movimento per la Vita , che presentò due proposte referendarie, definite “minimaliste”. Queste proposte furono ritenute immorali dai massimi teologi romani, perché:

  • confermata la legalizzazione dell’aborto terapeutico fino al nono mese;
  • confermato il finanziamento pubblico dell’aborto;
  • confermato il dovere del personale medico di eseguire un aborto “comunque”;
  • contraccezione accettata.

La comparsa del Movimento per la Vita , con proposte così inaccettabili, è stata una bomba. Ha mandato i cattolici in totale disordine. Questo scompiglio si acuì quando, nel febbraio 1981, la Corte Costituzionale respinse la proposta di Alleanza , pur accogliendo quelle del Partito Radicale e del Movimento per la Vita . I cattolici italiani erano disorientati. Alcuni vescovi hanno persino minacciato sanzioni canoniche contro la campagna pro-vita.

C’era anche molta confusione sulla natura abrogativa del referendum. Un voto “Sì” significava: “No, non voglio l’aborto”. Un voto “No” significava: “Sì, voglio l’aborto”. Si sa che milioni di cattolici, disinformati su questo, hanno votato “No” pensando di votare contro l’aborto.

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In circostanze così sfavorevoli, il referendum si tenne il 17 maggio 1981, mentre Papa Giovanni Paolo II era in ospedale dopo l’attentato alla sua vita. L’aborto ha vinto dal 68% al 32%.

Le fazioni progressiste nella Chiesa indicavano questo risultato come una prova che il mondo andava nella direzione opposta alla morale tradizionale e che, quindi, era inutile continuare a combattere. I leader pro-life, invece, hanno sottolineato di essere responsabili del disastro. Non solo si rifiutarono di combattere la battaglia, ma in realtà boicottarono coloro che desideravano combattere. In altre parole, volevano perdere la battaglia e l’hanno persa.

Ricordando il quarantesimo anniversario della famigerata legge n. 194 vorremmo rendere omaggio ai leader pro-life che, contro enormi probabilità, hanno portato avanti la campagna referendaria. E, allo stesso tempo, sottolineare come la tattica del “dialogo” sia la via più breve per la sconfitta

Giulio Loredo 11 maggio 2018

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