Infine, Il Mio Cuore Immacolato Trionferà!

2La vita dopo la morte

La vita dopo la morte
Il desiderio di parlare delle cose celesti e di sapere quale vita futura ci attende alla morte è insito nella natura umana.

Sommario

Introduzione – “In tutte le tue opere ricordati della tua ultima fine e non peccherai mai”.
Capitolo 1 – Morte
Capitolo 2 – Giudizio privato
Capitolo 3 – Inferno
Capitolo 4 – Le sofferenze dell’inferno
Capitolo 5 – Risposta alle obiezioni sull’inferno
Capitolo 6 – Purgatorio
Capitolo 7 – Paradiso – Visioni
Capitolo 8 – Cielo – Dottrina
Conclusione

La vita dopo la morte

Secondo l’insegnamento cattolico

introduzione

“In tutte le tue opere ricordati della tua ultima fine e non peccherai mai”.

Nel suo mirabile libro Le Confessioni Sant’Agostino narra il suo famoso colloquio con sua madre, Santa Monica, a Ostia, porto dell’antica Roma, poco prima di morire.

Con un linguaggio inimitabile di bellezza ed elevazione letteraria, racconta come madre e figlio, – l’uno già nella pienezza della santità, l’altro preso da quell’ideale – fossero guidati dal desiderio delle cose eterne mentre si appoggiavano alla finestra della loro stanza in una locanda e contemplava l’approssimarsi della sera.

Lontani dalla folla, ci siamo sforzati, dopo le fatiche di un lungo viaggio, di recuperare le forze, tenendo presente la traversata in mare. Abbiamo parlato da soli, molto piano, dimenticando il passato e camminando verso il futuro. Abbiamo cercato di immaginare, al Tuo cospetto, Tu che sei la verità, quale sarebbe la vita eterna dei santi, quella che «occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo» (1 Cor. 2, 9).

Quel desiderio di parlare delle cose celesti e di sapere quale vita futura ci attende alla morte, è insito nella natura umana. Un’altra grande anima, Santa Teresa di Lisieux, allude a quel desiderio, e accenna anche a questo rapimento al porto di Ostia.

Ciò avvenne quando la santa, che a quattordici anni aveva già deciso di farsi monaca carmelitana, fu presa dal grande desiderio di conoscere, proprio della sua età. Le è capitato di leggere per caso il libro The End of the Present World and the Mysteries of the Future Life di padre Charles Arminjon, che tratta proprio della vita dopo la morte. La colpì molto, come lei stessa testimonia:

Questa lettura è stata una delle grazie più grandi della mia vita… Ho sperimentato già ciò che Dio riserva a chi lo ama… e, vedendo che le ricompense eterne non avevano proporzione con i piccoli sacrifici della vita, ho voluto amare, amare Gesù con passione.

Racconta di aver trascorso ore, nel tardo pomeriggio, con la sorella Celine (poi suora carmelitana), parlando delle cose del cielo:

Non so se mi sbaglio, ma mi sembra che gli effusioni delle nostre anime fossero simili a quelli di Santa Monica con suo figlio quando, al porto di Ostia, si perdevano in estasi alla vista delle meraviglie del Creatore .

* * *

Se il pensiero del paradiso ci riempie di gioia, dobbiamo riflettere su tutte le possibilità aperte per noi al momento della morte, cioè considerare ciò che la Chiesa chiama le quattro ultime cose: morte, giudizio, inferno e paradiso.

Pensiamo al rischio della dannazione eterna ea quanto terribili sono le pene del Purgatorio e dell’Inferno, poiché, come consiglia la Scrittura, «principio della sapienza è il timore del Signore» (Eccl. 1,16).

Nonostante la vivacità dell’istinto di conservazione e il nostro attaccamento alla vita, riconosciamo che tutto non può essere ridotto a questa terra. La nostra sete di felicità troverà la sua piena manifestazione solo in una vita che non abbia le miserie e le vicissitudini di questo mondo, le malattie, le ingratitudini, ei continui rovesci e pericoli. In una parola, ci struggiamo per poter amare fino all’estremo limite di noi stessi ed essere ricambiati in modo sovrabbondante, vivendo in pace e felicità, senza preoccupazioni né sorprese improvvise.

Sappiamo però anche che esiste una giustizia infallibile, eterna, che stabilirà per sempre un regno di equità, secondo la quale, e contrariamente a quanto spesso accade sulla terra, i buoni saranno premiati e i cattivi puniti; la virtù non sarà più umiliata dal vizio e la corruzione non trionferà mai più sull’integrità.

Facciamo affidamento sul nostro innato senso di giustizia grazie al quale percepiamo che ci deve essere una punizione futura per i nostri fallimenti presenti in un grado di perfezione e rigore impossibile qui sulla terra. Questo perché la giustizia umana può basarsi solo sugli atti esterni e su ciò che appare agli occhi di tutti senza penetrare nei recessi più intimi della nostra coscienza.

La vita dopo la morte
I nostri istinti risvegliano in noi la nozione dell’inferno.

In questo modo, i nostri istinti e le nostre inclinazioni naturali risvegliano in noi la nozione di un Paradiso che premia la virtù, un Inferno che punisce il vizio e un Purgatorio che elimina la spina lasciata dai nostri pentiti atti malvagi.

Queste naturali considerazioni istintive, riscontrabili anche nelle manifestazioni culturali dei popoli pagani o primitivi, sono confermate ed esplicitate dalla Rivelazione divina. Attraverso le Scritture, la Tradizione e il Magistero della Chiesa, Dio stesso ci istruisce sulla questione. Il nostro desiderio di conoscere quella vita futura assume così una dimensione e una certezza che vanno ben oltre la mera ragione naturale.

Dio non ha voluto, però, svelarci la vita futura in tutti i suoi dettagli e aspetti, nella misura in cui avremmo desiderato conoscerla. Avremo una piena comprensione solo dopo aver attraversato la terribile valle della morte, ed essere stati giudicati dal Creatore.

Tuttavia, è del tutto legittimo che noi facciamo ipotesi e poniamo domande sulla nostra vita futura, sulla base di ciò che Dio ci rivela, la Chiesa ci insegna e le cose terrene ci svelano, attraverso analogie, confronti e ragionamenti.

Sebbene le rivelazioni private non abbiano un carattere decisivo, ma meramente indicativo – siamo liberi di crederci o no – possono esserci molto utili, a patto che prendiamo le dovute precauzioni circa la loro autenticità, e le confrontiamo con le dottrina della Chiesa. Con molto realismo ci rivelano simbolicamente le bellezze del Paradiso e gli orrori dell’Inferno che vanno oltre la nostra immaginazione.

Per questo questo studio sulla vita futura, pur basandosi ancora sull’insegnamento della Chiesa e sugli scritti dei dottori e dei teologi di maggior fama, si avvale anche di rivelazioni private per rendere il testo più attraente e intelligibile affinché non diventi un po’ arido.

Dopo la morte, il destino eterno dell’anima è deciso dal proprio giudizio particolare o privato. La gloria del Cielo attende coloro che muoiono in amicizia con Dio; dannazione eterna, Inferno, per chi muore nella malvagità. Tra queste due estremità si trova il Purgatorio, dove soffrono le anime salvate che sono morte senza aver completato tutte le penitenze dovute ai loro peccati.

La mentalità moderna, intrisa di spontaneità e superficialità, stenta a pensare seriamente alla vita futura, ea modellare la sua vita terrena attorno a quel fine della sua esistenza.

Tuttavia, la Chiesa ricorda sempre l’avvertimento delle Scritture: “Ricordati della tua ultima fine e non peccherai mai” (Ecclus. 7:40). Pensiamo agli ultimi fini e non saremo condannati al fuoco dell’Inferno.

Se la paura dell’Inferno è un salutare freno all’attrazione del peccato, il pensiero del Cielo è uno stimolo potente per la pratica della virtù e un conforto in mezzo alle sofferenze.

* * *

Avendo visto che la morte è la porta attraverso la quale abbiamo accesso alla nostra vita futura, ne discuteremo subito, con il Giudizio privato, l’Inferno e il Purgatorio che seguiranno più avanti.

* * *

San Giuseppe è stato designato dalla Chiesa come patrono della buona morte. A lui, pertanto, insieme alla Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie, dedichiamo quest’opera, chiedendone la protezione nell’ora della nostra morte.

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Capitolo 1

Morte

La vita dopo la morte
La morte, temuta da tutti, è un passo che tutti devono compiere.

Consideriamo alcuni esempi significativi come meditazione sulla morte. Ci aiuteranno a capire meglio questo terribile passo che tutti devono compiere.

Voltaire

In un’elegante stanza di una bella casa francese del Settecento ricca di ornamenti, delicate passamanerie, tappezzerie di seta e sedie imbottite, un vecchio sta morendo sotto il baldacchino, di un enorme letto.

È un uomo magro e ubriaco. Molto intelligente, persino geniale, ma empio e sarcastico, aveva una capacità davvero diabolica di ridicolizzare i suoi avversari. Ha usato quel potere soprattutto contro la Chiesa e il suo Divino Fondatore, a cui si riferiva solo come “l’Infame”, che deve essere schiacciato.

Questo filosofo aveva tutto ciò che la vita può offrire: denaro, piacere, prestigio. Era persino idolatrato da molti.

Sa che sta per morire e ha già ricevuto la visita di due sacerdoti. Tuttavia rifiuta di confessare i suoi errori e chiede loro di lasciarlo in pace.

Il suo corpo è completamente coperto di piaghe, la sua gola è in fiamme e la sua anima è disperata.

Ancora lucido, riconosce che la Chiesa è la verità e Gesù Cristo la sua salvezza. Ma rifiuta ogni grazia, indurisce la sua volontà nel male. Conosce la fine che lo attende, e davanti a lui si apre già l’inferno.

Quando arriva la fine, “muore furioso, bestemmiando per la disperazione, maledicendo i suoi amici, grattandosi la carne e mangiando i suoi stessi escrementi”.

Santa Teresa, il piccolo fiore di Gesù

Volgiamoci ora verso un’infermeria povera e disadorna. È l’infermeria del convento delle monache carmelitane di Lisieux, in Francia, alla fine dell’Ottocento.

Una giovane suora di 24 anni è prossima alla morte. Colpita dalla tubercolosi, la lotta di Teresa con la morte è stata lunga e dolorosa. Ha il fiato corto e si sente soffocare. La sua anima è avvolta in un’aridità mortale, non sentendo più le consolazioni del Divino Sposo al quale ha consacrato la sua vita e che ama con un ardore che la consuma più della malattia. Il Divin Salvatore invia questa prova suprema a quest’anima eroica.

La vita dopo la morte
Il sorriso sul volto morente di santa Teresa è segno di gioia eterna.

Secondo l’usanza dei conventi, il resto delle monache la circonda. Tra loro ci sono le sue tre sorelle di sangue: Pauline, Marie e Celine. Paolina (Madre Agnese di Gesù) era la sua guida, la sua “piccola madre”. Marie (Suor Maria del Sacro Cuore) fu la sua affettuosa madrina che la preparò alla Prima Comunione. Celine (Suor Geneviève del Santo Volto) era un’anima gemella, con la quale si identificava più strettamente e che era particolarmente aperta alla sua dottrina della ” Piccola Via ” o “Infanzia Spirituale”.

Anche sua cugina, Marie Guérin (Suor Maria dell’Eucaristia), la Superiora, Madre Marie de Gonzague (che l’ha fatta soffrire tanto), e il resto delle suore professe sono vicine al suo letto di morte.

Tutti pregano con fervore e soffrono vedendo la sofferenza della loro sorella morente. Infine, all’apice del dolore, Teresa si alza leggermente dal letto, guarda verso un punto indefinito della stanza, sorride angelicamente e, in un’estasi di felicità, consegna a Dio la sua anima verginale.

Fotografato subito dopo la morte, quel sorriso paradisiaco è ancora presente sulle labbra di quella suora che aveva voluto essere una contemplativa, una missionaria, una guerriera e una nuova Santa Giovanna d’Arco. Quel sorriso è l’inizio del paradiso.

San Giuseppe

Infine, consideriamo una piccola casa palestinese. È composto da pareti di rocce stratificate e ha un tetto piatto, come era lo stile in questa regione che vede così raramente la pioggia.

In una stanza semplice e rustica, segnata da un’indefinibile pulizia ed elevazione, un anziano e venerabile anziano lotta con la morte su un misero letto. Da lui emanano una maestosità e una dolcezza ineguagliabili.

La vita dopo la morte
Per le condizioni ideali che circondarono la morte di San Giuseppe, la Chiesa lo fece patrono della buona morte.

Da una parte del letto c’è un giovane, robusto ma non grossolano, dai lineamenti del viso così armoniosi che di fronte a lui Davide esclama profeticamente: “Tu sei più bello dei figli degli uomini” (Sal 44,3). È ovviamente Gesù Cristo in piedi accanto al letto del suo padre adottivo.

Dall’altro lato c’è una signora di mezza età la cui bellezza è esaltata dalla sua maturità. A lei si applicano le parole del Cantico dei Cantici (4,7): «Tu sei tutta bella, amica mia, e in te non c’è macchia». Questa è Maria Santissima.

Siamo davanti a San Giuseppe, aiutato nei suoi ultimi istanti da Nostro Signore e dalla Madonna.

Non può esservi sostegno più efficace o consolante o morte più lieta per questo glorioso Patriarca, sposo della Vergine Maria e perciò vero, anche se non carnale, padre del Divin Salvatore.

Per questo la Chiesa lo ha nominato patrono della buona morte.

Come la morte ci sconvolge

Entriamo in un altro tipo di considerazione.

Il nostro istinto più intenso è quello di autoconservazione. Quando improvvisamente minacciato, tutto il nostro corpo entra in uno stato di allerta. Il nostro respiro cambia, la nostra visione si intensifica e tutti i nostri sensi si concentrano sulla prevenzione del pericolo che può mettere a rischio la nostra vita.

Sotto l’intensa emozione causata dal pericolo, un uomo può fare cose per se stesso o per una persona cara che normalmente non potrebbe fare. Si lancerà da un edificio in fiamme, salterà muri altissimi, attraverserà torrenti impetuosi e impetuosi, percorrerà distanze enormi o si lancerà davanti a un’auto per salvare una persona cara.

Tutto questo è istintivo. Precede il pensiero e porta ad un’azione rapida, efficiente e fulminante. Tale intensità mostra che, naturalmente parlando, l’uomo vede la vita come il più grande di tutti i beni. Inoltre, è talmente attaccato alla vita da essere disposto a fare i più grandi sacrifici e concessioni per salvarla, ponendola a volte al di sopra di ogni altro valore.

Ecco perché quando un uomo antepone alla propria vita la difesa della Patria, una nobile causa, i principi, la virtù o, soprattutto, la Fede, è espressione di alto distacco morale ed eroismo. Quando mette l’amore di Dio al di sopra della vita, diventa un martire, un santo.

Così, sul piano puramente naturale, senza considerare la grazia e l’assistenza divina, l’uomo teme la morte più di ogni altra cosa, e si sente angosciato anche di fronte alla sua remota prospettiva.

Quando l’uomo vede la morte con spirito soprannaturale, però, sa, nonostante la violenza della separazione dell’anima dal corpo, che la morte è la porta che dà accesso alla vita futura e alla gloria dei beati. Poi guarda la morte con occhi pieni di fede e di speranza.

La morte, il salario del peccato

San Paolo ci insegna: “Poiché il salario del peccato è la morte. Ma la grazia di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 6,23).

“Pertanto, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato in questo mondo, e per mezzo del peccato la morte; e così la morte è passata su tutti gli uomini, nei quali tutti hanno peccato” (Rom. 5:12).

La morte ha una nota di punizione. Ecco perché è così temuto e causa così tanta sofferenza.

Naturalmente parlando, l’uomo non dovrebbe vivere per sempre. È un essere composito, formato da un’anima spirituale – che è immortale – e da un corpo organico – che è perituro. L’anima dà vita all’essere umano composito. Quando il corpo crolla – per malattia, usura o incidente – perde la sua capacità di unione con l’anima. I due elementi del composto umano sono separati; l’anima entra nell’eternità e il corpo entra nella corruzione, trasformandosi in polvere, dalla quale è stato creato (cfr Gen 2,7), fino alla risurrezione finale, quando si unirà nuovamente all’anima.

Conseguenza del peccato originale

Dio creò i nostri primogenitori, Adamo ed Eva, e diede loro un paradiso terrestre come dimora.

Lo stesso Creatore, che conversò con Adamo all’ora della brezza pomeridiana, li elevò all’ordine soprannaturale, facendo loro il dono della grazia santificante, mediante la quale partecipano alla stessa vita divina.

Oltre a questo, ha fatto loro tanti doni gratuiti, chiamati carismi, che erano al di sopra della natura umana. Ricevettero così il dono della sapienza infusa, grazie alla quale capivano tutto, e il dono dell’integrità, grazie alla quale erano risparmiati dalla malattia e dalla morte.

Se non fosse stato per il peccato, la vita dell’uomo sulla terra sarebbe stata una vita celeste nell’amicizia di Dio tra gli incanti e le dolcezze dell’Eden. L’uomo era il re della creazione; gli animali stessi gli obbedivano e la natura si piegava alla sua volontà. Compiuto il suo tempo, quando la sua santità avesse raggiunto un certo livello, gli Angeli lo avrebbero portato a godere la pienezza della felicità in Paradiso.

Ma Dio, che è ogni giustizia, ha stabilito una prova affinché ci fossero meriti nella pratica della virtù. Desiderando la completa sottomissione dell’uomo alla Sua volontà divina, Dio mise alla prova Adamo ed Eva, proibendo loro di mangiare il frutto dell’albero in mezzo al Paradiso, chiamato l’albero della conoscenza del bene e del male.

Tentata dal diavolo, Eva si è lasciata sedurre; lei, a sua volta, ha sedotto il marito. Disobbedendo al precetto divino, entrambi mangiarono il frutto proibito.

La punizione è arrivata: hanno perso la loro innocenza originaria, aprendo gli occhi verso il male; “si sono accorti di essere nudi” (Gen. 3,7), e la concupiscenza è sorta in loro.

La vita dopo la morte
Se non fosse stato per il peccato di Adamo ed Eva, l’uomo entrerebbe nella vita eterna, senza mai conoscere la morte.

Cacciati dal Paradiso, dovettero lavorare e guadagnarsi il pane con il sudore della fronte. Hanno sperimentato per la prima volta il peso della stanchezza. La donna avrebbe partorito con dolore, la terra si sarebbe riempita di spine e gli animali si sarebbero ribellati ai loro antichi padroni.

In virtù del loro peccato, detto Originale , per essere stati i primi commessi dall’umanità, Adamo ed Eva persero non solo la grazia santificante, che li rendeva amici di Dio, ma anche alcuni dei doni straordinari, specialmente quello dell’integrità,divenendo così soggetto alla malattia e alla morte (cfr. Gen. capp. 2 e 3).

I dolori della morte e la buona morte

La morte segna la fine della nostra prova qui sulla terra. Ci impedisce di guadagnare più meriti, pentirci dei nostri peccati e ricevere grazie aggiuntive. L’uomo entra nell’eternità mentre muore: “Se l’albero cade a sud oa settentrione, dovunque cadrà, là sarà” (Eccles. 11:3).

Una buona morte dipende da una grazia speciale che Dio concede a chi ha vissuto bene, a chi si è pentito dei propri peccati o, più raramente, a chi decide di concederla per pura generosità secondo i suoi santi disegni. La grazia di una buona morte e della perseveranza finale è una delle grazie che dobbiamo chiedere con grande insistenza.

La morte naturale, quella che non risulta da un incidente mortale, viene normalmente preceduta da un’agonia, che può variare di durata. Agonia deriva dal greco e significa lotta. Infatti, in quel tragico momento ci uniamo alla battaglia finale che deciderà il nostro destino finale: la salvezza o la dannazione. Con il permesso di Dio, il diavolo sferra un attacco supremo durante l’agonia finale, cercando di portare alla disperazione il moribondo.

Mentre non dobbiamo essere terrorizzati da questa prospettiva, dobbiamo prendere molto sul serio la prospettiva dell’agonia sperando con fiducia nella misericordia di Dio e nell’intercessione di Maria Santissima.

Chi ha vissuto una vita virtuosa e, soprattutto, ha pregato molto per la grazia di una buona morte, può star certo che la Madonna, San Giuseppe ei Santi Angeli lo aiuteranno nella sua agonia. È il momento supremo della fiducia eroica nella misericordia di Dio.

Doveri verso i morenti

Sebbene la responsabilità primaria di una buona morte ricada sull’individuo, è un grave dovere di carità aiutare gli altri a morire bene, specialmente se sono amici, familiari o qualcuno di cui siamo testimoni della morte.

Questo obbligo di carità consiste nel provvedere al moribondo un sacerdote per la Confessione e l’Estrema Unzione, nell’aiutarlo a compiere atti di fede, speranza e carità e nel sostenerlo con la nostra preghiera.

Non chiamare un prete per paura di spaventare il malato – atteggiamento purtroppo molto diffuso – è un modo di procedere pagano e naturalista. Può essere un vero delitto contro il moribondo, poiché da questo può dipendere il suo destino eterno. La sua paura sarà molto più grande quando si troverà faccia a faccia con il giudizio di Dio senza aver ricevuto i Sacramenti per prepararlo alla vita eterna.

Con il vero pentimento, la confessione perdona i peccati. L’Unzione degli infermi, o Estrema Unzione, conferisce anche il perdono, specialmente nei casi di incoscienza, e, quando è volontà di Dio, migliora o ristabilisce anche la salute.

Nella sua epistola, San Giacomo esorta:

Qualcuno di voi è malato? Conduca i sacerdoti della chiesa e preghi su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore.

E la preghiera della fede salverà il malato; e il Signore lo risusciterà; e se è nei peccati, gli saranno perdonati. Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri; e pregate gli uni per gli altri, affinché possiate essere salvati (Giacomo 5:14-16).

L’Unzione degli infermi ha diversi effetti:

1) Aumenta la grazia santificante nell’anima, distrugge ciò che è rimasto del peccato (debolezza, cattive inclinazioni e così via) e fortifica l’anima contro i mali passati, presenti e futuri.

2) Assolve i peccati mortali nei casi in cui la persona, senza sua colpa, non può confessarsi, purché abbia attrito, cioè pentimento soprannaturale per timor di Dio.

3) A seconda dei livelli delle disposizioni interiori della persona, toglie, almeno in parte, la pena temporale dovuta ai peccati già rimessi.

4) Restituisce la salute al corpo se è utile all’anima. Sebbene sia un effetto secondario, questo è infallibile se è per il bene spirituale del malato.

Nei casi di incoscienza, l’Unzione degli infermi è più importante della stessa Confessione, perché, il sacramento della Penitenza richiede per la sua validità almeno l’attrito soprannaturale del peccatore manifestato esternamente in qualche modo . Per la validità dell’Unzione, invece, è sufficiente l’ abituale logoramento , anche se non si manifesta esternamente in qualche modo.

Dopo la Confessione e l’Unzione degli infermi, se il moribondo è lucido, deve ricevere la Santa Comunione, cioè il Viatico , che è il nutrimento per percorrere le vie della morte, fortificato con il Pane degli Angeli – Gesù Cristo stesso in sacramentale modulo.

Di fronte alla morte, non dovremmo né farci prendere dal panico né rimanere indifferenti

Riguardo alla morte, dovremmo evitare il panico nervoso e la disperazione, nonché l’indifferenza verso la vita eterna e la presunzione di salvezza senza merito. Questo atteggiamento è diverso dalla confidenza umile e supplichevole di chi spera tutto dalla Divina Misericordia, ma fa di tutto per essere ben preparato all’incontro decisivo con il Creatore.

La nostra stessa morte, o quella di persone care, deve essere accettata con rassegnazione. Evidentemente, la morte di persone care dovrebbe rattristarci. Nostro Signore stesso ne diede prova piangendo per la morte di Lazzaro (Giovanni 11:3 ss).

Sebbene la morte sia inevitabile e abbia una nota di punizione, diventa meritoria se accettata con rassegnazione, o come sofferenza per i nostri peccati.

San Pio X raccomandava vivamente ai fedeli di pregare il seguente atto di conformità alla volontà di Dio. Lo arricchì addirittura di un’indulgenza plenaria in punto di morte per chi la recita devotamente ogni giorno:

Signore, mio ​​Dio, con tutto il mio cuore e con piena libera volontà, accetto ora dalle tue mani il tipo di morte che mi hai riservato, con tutte le sue afflizioni, dolori e sofferenze.

Meditiamo spesso sulla morte, non con la disperazione dei pagani, o come fine della nostra esistenza da atei, ma come porta benedetta attraverso la quale si entra in Paradiso. Vediamo allora perché San Paolo afferma che la morte è stata vinta dalla risurrezione di Cristo: “La morte è stata inghiottita nella vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? Oh morte, dov’è il tuo pungiglione?” (1 Corinzi 15:54-55).

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capitolo 2

Giudizio privato

La vita dopo la morte
Quando l’uomo muore, deve rendere conto di tutte le sue azioni nel suo giudizio privato.

Non appena l’uomo muore, segue il momento terribile del suo giudizio privato. Poi renderà conto di tutte le sue azioni, e un Giudice Misericordioso, ma Giusto, darà il Suo giudizio definitivo: salvezza o dannazione, Paradiso o Inferno.

La lettera dall’aldilà

Per farci un’idea della realtà di questo giudizio privato, leggiamo un passo della Lettera dall’aldilà o della lettera dell’«altro mondo».

L’origine di questo documento è impressionante. Negli anni Cinquanta, tra le carte di una giovane suora in Germania appena morta, fu ritrovato un manoscritto. Raccontava come questa persona, attraverso un sogno o altro mezzo utilizzato dalla divina Provvidenza, ricevesse una lettera da un’anima dannata.

Un giorno, mentre Claire – la futura religiosa – era in vacanza in una pensione in Svizzera, ricevette una lettera dalla madre in cui si diceva che Anne – un’ex fidanzata di lavoro di cui aveva perso le tracce – era morta.

Poiché Anne si era allontanata dalla pratica religiosa, la ragazza era preoccupata per la salvezza della sua anima e trascorreva l’intera giornata angosciata e pregando per lei.

Quella notte si svegliò con il rumore di fogli di carta scivolati violentemente sotto la sua porta. Raccogliendoli, vide che era una lunga lettera scritta a lei. Sbalordita, riconobbe subito la calligrafia dell’amica morta, chiedendole di non pregare più per lei perché condannata. Ha continuato raccontando come aveva rifiutato ognuna delle grazie di Dio, fino alla fine. Ha raccontato cosa le era successo subito dopo la morte; e ha affermato di essere all’Inferno, che descrive con terribile realtà.

La descrizione di Anna del suo giudizio privato è in completo accordo con ciò che insegnano i teologi.

Era morta in un incidente d’auto, e racconta di aver sentito in quel momento un’intensa sofferenza; ma, subito dopo, si vide avvolta da una completa oscurità. Lei continua:

Mi sono risvegliato dall’oscurità nel momento esatto della mia morte. Mi vidi, all’improvviso, avvolto in una luce accecante. Era nello stesso posto dove è stato trovato il mio corpo. Tutto è avvenuto come in un teatro, quando all’improvviso si spengono le luci, si aprono le tende, e la scena appare tragicamente illuminata: la scena della mia vita.

Ho visto la mia anima riflessa come in uno specchio. Ho percepito allora le grazie che ho calpestato, dal tempo della mia infanzia fino al mio ultimo “no” detto a Dio.

Avevo l’impressione di me stesso come di un assassino condotto in tribunale con se stesso vittima morta. Volevo pentirmi? Mai! Mi vergognavo di me stesso? Mai!

Nel frattempo, non mi è stato possibile stare alla presenza di Dio, da me negato e rifiutato. Mi restava solo una cosa: il fuoco dell’inferno. Così, come Caino fuggì dal corpo di Abele, così anche la mia anima fuggì da quell’orribile visione.

Questo era il mio giudizio privato o particolare.

Così disse il Giudice Invisibile: Allontanati dalla mia presenza! In quel momento la mia anima cadde, come un’ombra sulfurea, nel luogo dell’eterno tormento.

Sono più condannati che salvati?

Evidentemente non tutti i giudizi privati ​​si concludono con la tragica sentenza di condanna. Non possiamo mai affermare con decisione che il numero dei condannati sia maggiore di quelli salvati, poiché questo è un segreto che Dio custodisce per sé. Tuttavia, nei periodi di maggiore indifferenza religiosa o di grande immoralità, chiaramente si perdono di più che nei periodi di fervore e di intensa pietà.

Comunque sia, ciò che conta per noi è che siamo preparati per quel terribile momento in cui il nostro destino eterno sarà segnato.

La parabola di Lazzaro e del ricco

Per mezzo di parabole, Nostro Signore ha cercato di mostrarci il carattere irrevocabile della condanna eterna, lo si può vedere ad esempio nelle parabole del “servo debitore” (Mt 18. 23 ss), dei “cattivi vignaioli” (Mt 21. 33ss), le “nozze del figlio del re” (Mt 22. 1ss), e le “vergini prudenti e stolte” (Mt 25. 1ss).

Nella parabola del «ricco cattivo e del Lazzaro buono» è vividamente illustrata l’eterna ricompensa data ai buoni e l’altrettanto eterna punizione dei cattivi.

C’era un uomo ricco, che era vestito di porpora e di bisso; e banchettava sontuosamente ogni giorno.

C’era un mendicante, di nome Lazzaro, che giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di saziarsi delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco, e nessuno gliele dava; inoltre venivano i cani e gli leccavano le piaghe.

E avvenne che il mendicante morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. E anche il ricco morì: e fu sepolto nell’inferno.

E alzando gli occhi quand’era nei tormenti, vide da lontano Abramo e Lazzaro nel suo seno; E gridò e disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell’acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma.

E Abramo gli disse: Figlio, ricordati che hai ricevuto cose buone durante la tua vita, e allo stesso modo Lazzaro cose cattive, ma ora è consolato; e sei tormentato.

E oltre a tutto questo, tra te e noi è stabilito un gran caos: sì che quelli che di qui a te passerebbero, non possono, né di là venire.

E disse: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, poiché ho cinque fratelli, affinché possa testimoniare loro, affinché non vengano anch’essi in questo luogo di tormenti.

E Abramo gli disse: Hanno Mosè e i profeti; lascia che li ascoltino.

Ma lui disse: No, padre Abramo, ma se uno dei morti andrà da loro, faranno penitenza.

E gli disse: Se non ascoltano Mosè ei profeti, non crederanno nemmeno se uno risuscitasse dai morti ( Luca 16, 19 -31).

L’insegnamento dei teologi

I teologi, interpretando le Scritture e la Tradizione, osservano che ciò che avviene nell’aldilà, ciò che accade dopo la morte, è per noi un mistero. La rivelazione ci dà elementi per sapere con certezza infallibile che esistono il giudizio privato, il Purgatorio, il Paradiso e l’Inferno. Tuttavia, li descrive solo attraverso simboli e figure. Dobbiamo poi speculare su queste cose, partendo da ciò che sappiamo delle cose terrene e facendo analogie con ciò che è eterno.

Secondo San Paolo, vediamo Dio qui sulla terra, come in uno specchio; Egli si riflette nelle sue creature, di cui è il modello perfetto, la causa esemplare.

Così non abbiamo una visione chiara ed evidente di Dio, come l’abbiamo delle cose create; quindi dobbiamo, disse lo stesso Apostolo, ora vivere per fede.

In questo modo, sebbene possiamo essere attratti dal Bene Assoluto, che è Dio, senza vederlo sul piano dell’evidenza, rimaniamo liberi di lasciarci sedurre dai beni relativi delle creature.

Sebbene nella vita l’anima sia unita al corpo in perfetta armonia, tuttavia subisce gli effetti del corpo. In effetti la sensibilità gioca un ruolo molto importante. Mentre ci aiuta a riconoscere le cose, può anche deformare la nostra comprensione e influenzare potentemente la nostra volontà. Ciò si traduce nel rendere più attraente ciò che ci è più vicino e sensibile di ciò che richiede uno sforzo di intelligenza e volontà (un atto di ascesi) per essere percepito.

Pertanto, tra una passione terrena, ardente e possessiva, e l’amore puro e disinteressato di Dio, la nostra povera natura deve compiere uno sforzo sovrumano per scegliere la strada giusta.

Quando si muore, le cose cambiano: l’uomo perde la sua sensibilità e viene a conoscere direttamente attraverso l’intuizione, come gli angeli. Poi vede le cose relative a se stesso ea Dio con un grado di evidenza che è impossibile per la nostra attuale esistenza sulla terra.

La vita dopo la morte
Al momento della morte, l’anima prende piena coscienza di Dio come suo Fine Ultimo, quindi è attratta da Lui come un derelitto che vede finalmente la terra della salvezza.

I teologi spiegano che al momento della morte l’anima, separata dal corpo, prende piena coscienza che Dio è il suo fine ultimo e che esiste solo in funzione di Lui. Così sente un’attrazione irresistibile verso di Lui, come un derelitto che vede finalmente la terra della salvezza.

Allo stesso modo, l’anima si vede senza illusioni, dietro le quali nascondiamo i nostri difetti in questo mondo. Il Separato dal corpo, la condizione morale dell’anima appare come riflessa in uno specchio, come mostrato sopra. Inoltre Dio comunica all’anima la luce del suo intelletto, in modo che essa percepisca tutta la sua vita: ogni suo atto volontario, buono o cattivo, le grazie ricevute, accettate o rifiutate, i suoi peccati. La vita della persona scorre davanti ai suoi occhi come un film proiettato a una velocità brillante ma che può seguire e capire.

Alla luce di Dio, l’anima giudicata vede nei suoi riguardi la Divina Volontà, in quel momento stesso sceglie il proprio destino eterno. Se muore in stato di grazia senza alcun debito verso la Divina Giustizia, viene attirato verso Dio come la limatura verso una calamita. Se è in amicizia con Dio, ma manca di una penitenza sufficiente per i suoi peccati, cerca il Purgatorio, per purificarsi interamente. Poi, quando è completamente libera da ogni macchia di peccato, si lascia condurre in Paradiso dal suo Angelo Custode.

Infine, se muore in inimicizia con Dio, fugge terrorizzata dal Creatore e si getta nell’Inferno in rivolta e disperazione senza remissione.

I teologi sostengono unanimemente che l’anima non vede Dio nel giudizio privato, ma solo avverte la sua presenza e comprende la sua volontà.

Infatti, per vedere Dio abbiamo bisogno di una grazia speciale chiamata luce di gloria . Ne parleremo dopo.

Una sentenza immediatamente eseguita

La sentenza del giudizio privato è eseguita immediatamente. Sarebbe contrario alla sapienza di Dio che un’anima rimanesse in attesa da qualche parte una volta pronunciato il verdetto. Lo confermò il caso del buon ladrone, che si rivolse a Nostro Signore nei seguenti termini: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Al che Gesù rispose: «In verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,42-43).

Anche il giudizio privato dei giusti e degli empi è ben descritto in questo mirabile passo del Libro della Sapienza:

Ma le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e il tormento della morte non le toccherà. Alla vista degli stolti sembravano morire; e la loro partenza fu scambiata per infelicità; e il loro allontanamento da noi, per la totale distruzione; ma sono in pace.

E sebbene agli occhi degli uomini soffrissero tormenti, la loro speranza è piena di immortalità. Afflitti in poche cose, in molte saranno ben ricompensati; perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé.

Come oro nella fornace li ha provati, e come vittima di un olocausto li ha ricevuti, e col tempo saranno rispettati. I giusti risplenderanno e correranno avanti e indietro come scintille tra le canne. Giudicheranno le nazioni e regneranno sui popoli e il loro Signore regnerà per sempre.

Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità; e quelli che sono fedeli nell’amore riposeranno in lui; poiché grazia e pace sono per i suoi eletti.

Ma i malvagi saranno puniti secondo i loro stessi stratagemmi; che hanno trascurato il giusto e si sono ribellati al Signore. Perché colui che rifiuta la saggezza e la disciplina è infelice; e la loro speranza è vana, e le loro fatiche senza frutto, e le loro opere inutili (Sap. 3:1-12).

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capitolo 3

Inferno

La vita dopo la morte
L’esistenza di un Inferno eterno è una verità di Fede, definita dalla Chiesa in concili, simboli di Fede e documenti del Magistero.

Una prostituta condannata

San Francesco Girolamo (1642-1716) fu un grande predicatore. Nato da nobile famiglia, entrò nei Gesuiti e sviluppò il suo ministero a Napoli.

Con le sue prediche convertì innumerevoli peccatori, carcerati e donne cadute.

Tra i fatti straordinari della sua biografia il brano che segue è particolarmente pertinente poiché si riferisce alla dannazione eterna.

I suoi sermoni erano comunemente seguiti dal pentimento e dalla conversione di cinque, sei e anche dieci donne cadute, che apparivano con i capelli sciolti e versavano molte lacrime, chiedendo il permesso di entrare in qualche convento per fare penitenza dei loro peccati.

Un giorno, il servo di Dio predicò davanti alla casa di una di quelle sfortunate donne. Invece di pentirsi, fece di tutto per interromperlo, anche lanciando grandi grida, ma nulla riuscì a distogliere l’attenzione del nostro santo, che continuò la sua omelia fino alla fine.

Alcuni giorni dopo, padre Francis passò davanti alla stessa casa, e vedendola chiusa, domandò a quelli che erano vicini: “Che fine ha fatto Caterina?” Quello era il nome della donna infelice.

È morta improvvisamente ieri”, hanno risposto.

“Morto!” esclamò il Santo. “Andiamo a trovarla.”

Entrò in casa e salì le scale. Lì vide il corpo disposto secondo l’usanza. Poi, in mezzo al profondo silenzio che regnava sul luogo, nonostante il gran numero di spettatori, esclamò: “Dimmi, Caterina, che cosa è stato fatto della tua anima?”

Fece questa domanda due volte senza ottenere risposta; ma, quando lo ripeté una terza volta, con tono di autorità, la morta aprì gli occhi, mosse le labbra in vista di tutti e, con una voce debole che sembrava uscire da una grande profondità, rispose: inferno; Sono all’inferno!

Tutti se ne andarono spaventati e, ritirandosi, il Santo disse ripetutamente: “All’inferno! All’inferno! Dio onnipotente, Dio terribile! All’inferno!”

L’evento e le parole del santo fecero una tale impressione che molti non osarono tornare a casa senza essersi prima confessati.

L’inferno visto da Santa Teresa d’Avila

Santa Teresa d’Avila (1515-1582) è una delle sante più straordinarie della Chiesa. Come riformatrice dell’ordine carmelitano condusse una vita di intensa attività. Ardente d’amore e molto dedita alla preghiera, la sua vita fu profondamente mistica . Ha descritto questa vita in dettaglio nei suoi libri, che sono diventati opere fondamentali per lo studio del misticismo cattolico.

Nella sua autobiografia, racconta di essere stata portata viva all’Inferno e attesta il bene che questo ha fatto per lei. Ecco le sue parole:

Molto tempo dopo che nostro Signore mi aveva concesso le grazie che ho descritto, e altre anche di natura superiore, un giorno ero in preghiera quando mi trovai in un momento, senza sapere come, immerso apparentemente nell’inferno. Compresi che era volontà di nostro Signore che vedessi il posto che i diavoli mi tenevano pronto e che avevo meritato con i miei peccati. Fu solo un momento, ma mi sembra impossibile dimenticarlo mai, anche se dovessi vivere molti anni.

L’ingresso sembrava essere da un passaggio lungo e stretto, come una fornace, molto basso, buio e vicino. Il terreno sembrava essere saturo d’acqua, semplice fango, estremamente sudicio, che emanava odori pestilenziale e coperto di ripugnanti parassiti. Alla fine c’era un posto vuoto nel muro, come un ripostiglio, e in quello mi vedevo confinato. Tutto questo era anche piacevole da vedere in confronto a quello che sentivo lì. Non c’è esagerazione in quello che sto dicendo.

Ma quanto a ciò che provai allora, non so da dove cominciare, se dovessi descriverlo; è assolutamente inspiegabile. Ho sentito un fuoco nella mia anima. Non vedo come sia possibile descriverlo. Le mie sofferenze corporali erano insopportabili. Ho subito in questa vita le sofferenze più dolorose e, come dicono i medici, le più grandi che si possono sopportare, come la contrazione dei miei tendini quando ero paralizzato, senza parlare di altre di diverso genere, sì, anche di quelle che ho anche parlato, inflittomi da Satana; eppure tutto ciò non era niente in confronto a quello che provai allora, specialmente quando vidi che non ci sarebbe stata interruzione, né fine per loro.

Quelle sofferenze non erano nulla in confronto all’angoscia della mia anima, un senso di oppressione, di soffocamento e di dolore così acuto, accompagnato da un’inflizione così disperata e crudele, che non so come parlarne. Se dicessi che l’anima viene continuamente strappata dal corpo, non sarebbe nulla, poiché ciò implica la distruzione della vita per mano di un altro; ma qui è l’anima stessa che si fa a pezzi. Non posso descrivere quel fuoco interiore di quella disperazione, che supera tutti i tormenti e tutti i dolori. Non vedevo chi fosse che mi tormentava, ma mi sentivo infuocato e fatto a pezzi, come mi pareva; e, lo ripeto, questo fuoco interiore e questa disperazione sono i più grandi tormenti di tutti.

Lasciato in quel luogo pestilenziale, e del tutto privo del potere di sperare in un conforto, non potevo né sedermi né sdraiarmi: non c’era posto. Sono stato messo per così dire in un buco nel muro; e quelle mura, di per se stesse terribili a vedersi, mi strinsero d’ogni parte. Non riuscivo a respirare. Non c’è luce, ma tutto era fitta oscurità. Non capisco come sia; sebbene non ci fosse luce, tuttavia era visibile tutto ciò che può dare dolore essendo visto.

Nostro Signore in quel momento non mi avrebbe permesso di vedere più l’inferno. Dopo ebbi un’altra visione molto spaventosa, nella quale vidi i castighi di certi peccati. Erano davvero orribili da guardare; ma poiché non sentivo alcun dolore, il mio terrore non era così grande. Nella prima visione, nostro Signore mi faceva sentire realmente quei tormenti, e quell’angoscia dello spirito, come se li avessi patiti lì nel corpo. Non so come sia stato, ma ho capito chiaramente che era una grande misericordia che nostro Signore mi facesse vedere con i miei occhi proprio il luogo da cui la sua compassione mi ha salvato. Ho ascoltato parlare di queste cose, e altre volte mi sono soffermato sui vari tormenti dell’inferno, ma non spesso, perché la mia anima non faceva progressi per la via della paura; e ho letto delle diverse torture, e come i diavoli lacerano la carne con tenaglie roventi. Ma tutto ciò è come nulla prima di questo; è una questione completamente diversa. Insomma, una è una realtà, l’altra un’immagine; e tutto ciò che brucia qui in questa vita è nulla in confronto al fuoco che c’è.

Ero così terrorizzato da quella visione – e quel terrore è su di me anche adesso mentre scrivo – che sebbene sia avvenuta sei anni fa, il calore naturale del mio corpo è raggelato dalla paura quando ci penso. E così, in mezzo a tutto il dolore e la sofferenza che potrei aver dovuto sopportare, non ricordo nessun momento in cui non penso che tutto ciò che dobbiamo soffrire in questo mondo sia come niente. Mi sembra che ci lamentiamo senza motivo. Lo ripeto, questa visione è stata una delle più grandi misericordie di nostro Signore. Mi è stato del più grande servizio, perché mi ha reso abbastanza forte per sopportarli e per rendere grazie a nostro Signore, che è stato il mio liberatore, come ora mi sembra, da quei terribili ed eterni dolori.

La vita dopo la morte
Il 13 luglio 1917, a Fatima, in Portogallo, la Madonna mostrò l’inferno a tre pastorelli.

L’inferno visto dai bambini di Fatima

Il 13 luglio 1917, la Madonna a Fatima, apparve per la terza volta e mostrò ai tre bambini l’inferno. Suor Lucia racconta cosa è successo:

[La Madonna] ha aperto ancora una volta le mani come aveva fatto nei due mesi precedenti. Il riflesso [che fluiva da loro] sembrava penetrare nella terra, e vedevamo, per così dire, un grande mare di fuoco; sommersi in quel fuoco erano demoni e anime in forme umane che assomigliavano a braci ardenti, nere e color bronzo che fluttuavano nel fuoco, portate dalle fiamme che ne uscivano insieme a nuvole di fumo, cadendo ovunque come scintille di grandi vampate – senza peso né equilibrio – tra strilli e gemiti di dolore e disperazione che ci facevano orrore e ci facevano rabbrividire di paura.

I diavoli si stagliavano come animali spaventosi e sconosciuti dalle forme orribili e disgustose, ma trasparenti come carboni neri diventati ardenti.

Tutto questo avvenne in un istante, e fu così sconvolgente che i tre bambini sarebbero morti di spavento se la Madonna non avesse promesso di portarli in Paradiso.

Prove dall’Apocalisse

L’esistenza di un Inferno eterno è una verità di Fede, definita dalla Chiesa in concili, simboli di Fede e documenti del Magistero.

Inoltre, i riferimenti scritturali ad esso sono innumerevoli, inclusa questa impressionante frase del Divino Salvatore: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Matteo 25:41 ) .

In questa affermazione è indiscutibile l’esistenza dell’Inferno (il fuoco preparato per il diavolo e per i suoi angeli) così come l’interminabilità sia del fuoco che della separazione da Dio (allontanatevi da me, maledetti nel fuoco eterno).

Lo stesso Evangelista riporta altre affermazioni del Salvatore in cui viene illustrato il tormento sensibile nell’inferno con la perdita della Presenza Divina, le tenebre esteriori e il pianto e lo stridore dei denti. Ad esempio Gesù descrive così la sorte che attende i Giudei che rifiutano lui, «saranno gettati nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti» (8,12).

Allo stesso modo, nella parabola delle nozze del figlio del re, riferendosi all’uomo senza abito nuziale (cioè senza innocenza), Gesù dice: «Legategli mani e piedi e gettatelo nelle tenebre di fuori; là sarà pianto e stridore di denti» (22,12-14) e ancora riguardo al servo infedele della parabola dei talenti Gesù dice: «gettalo nelle tenebre di fuori; là sarà pianto e stridor di denti» (25,30).

Nella parabola del grano e delle zizzanie, Nostro Signore spiega: “Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, ed essi raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente ; vi sarà pianto e stridore di denti» (13,41-43).

Nel vangelo di san Marco troviamo un altro severo monito sull’inferno. Là, Nostro Signore insiste sul fuoco che non si spegne mai e sul verme che non muore. Questi simboleggiano l’eternità dei due principali tormenti dell’Inferno: uno dei sensi (il fuoco) e uno della perdita (il verme, che rappresenta il continuo rimorso e la privazione della presenza e della speranza in Dio):

E se la tua mano ti scandalizza, tagliala; è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile, dove il loro verme non muore e il fuoco non si spegne.

E se il tuo piede ti scandalizza, taglialo. È meglio per te entrare zoppo nella vita eterna, che avere due piedi ed essere gettato nella Geenna del fuoco inestinguibile, dove il loro verme non muore e il fuoco non si spegne.

E se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo. È meglio per te entrare con un occhio solo nel regno di Dio, che con due occhi essere gettato nella Geenna del fuoco, dove il loro verme non muore e il fuoco non si spegne.

Poiché tutti saranno salati con il fuoco; e ogni vittima sarà salata con sale. (9:42-48)

Questi terribili esempi dimostrano a sufficienza come il Divin Salvatore abbia insistito sulla punizione eterna per preparare i suoi ascoltatori alla conversione e, infine, alla salvezza eterna.

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capitolo 4

Le sofferenze dell’inferno

La vita dopo la morte
Hellfire differisce dal fuoco terreno. Mentre il fuoco terreno colpisce le anime solo per mezzo del corpo, quello che accende l’ira di Dio tortura direttamente lo spirito.

In questo capitolo descriveremo più sistematicamente le due pene fondamentali dell’Inferno: il dolore della perdita e il dolore dei sensi.

Il dolore della perdita

Il dolore della perdita è la sofferenza per eccellenza e la pena più grande che l’uomo possa subire. Consiste nella sua definitiva esclusione dalla vita eterna e nella perdita irrimediabile della sua più alta felicità, cioè la privazione della visione beatifica e del possesso di Dio.

L’inferno consiste essenzialmente in questo spaventoso castigo, e tutti gli altri ne sono solo una mera conseguenza.

Si potrebbe obiettare che il dolore della perdita non può essere così terribile, perché, mentre siamo sulla terra siamo privati ​​della visione beatifica senza molta afflizione.

Tuttavia, sulla terra questa privazione non è altro che la privazione di un bene non ancora dovuto all’uomo, e il cui possesso è ancora possibile. Ma per il dannato è la privazione di un bene che dovrebbe ma non può mai avere, e così soffre immensamente.

In questa vita comprendiamo molto meno Dio come nostro bene supremo, e la visione e il possesso delle creature che ci circondano servono come distrazione dal pensiero del Sommo Bene, calmando così il nostro innato desiderio di felicità. Troviamo divertimento e gioia nelle creature.

Tuttavia, dopo la morte, siamo privati ​​di tutti i beni, e solo la visione di Dio ci renderà felici. Più che un pesce ha bisogno di acqua, noi sentiamo un bisogno urgente, imperioso, costante e ininterrotto di Dio, al quale non cesseremo di pensare neanche per un istante.

Mentre la compagnia di altre anime sarà una gioia per coloro che sono in Paradiso, per i dannati coloro che li circondano, lungi dal portare sollievo, o addirittura distrazione, non faranno che aumentare la loro tortura.

Inoltre, la pena della dannazione non è uguale per tutti i condannati. L’afflizione di ogni reprobo, differisce secondo la sua colpevolezza. Quanto più è colpevole, tanto più sarà torturato per essere caduto più profondamente nell’oscuro e terribile abisso del peccato.

Il dolore dei sensi

I tormenti dei sensi consistono soprattutto nel fuoco dell’Inferno. È un vero fuoco, ma misterioso, simile e diverso dal fuoco terreno.

Poiché possiamo conoscere l’aldilà solo confrontando con le cose della terra, potremmo affermare che il fuoco dell’inferno è analogo al nostro fuoco terreno. Tuttavia, allo stesso tempo, è diverso. La misura esatta di questo è impossibile da specificare.

La legge di analogia chiede che sia stabilita la differenza nella natura del fuoco, sia nelle sue proprietà che nei suoi effetti. Fortunatamente, la rivelazione chiarisce questi punti:

Somiglianze: sebbene la Chiesa non abbia definito il fuoco dell’Inferno come materiale, è designato con il termine di fuoco o fiamma circa trenta volte nel Nuovo Testamento, di cui almeno otto nei Vangeli. Questo linguaggio non verrebbe usato se il castigo del fuoco (il castigo più terribile qui sulla terra) non avesse un’intima connessione con il castigo dell’Inferno, e se non fosse l’illustrazione più appropriata della sua severità.

Differenze: Tutti i teologi riconoscono le differenze che separano il fuoco dell’inferno dal fuoco naturale:
– Il fuoco naturale si produce come risultato di certe operazioni chimiche mentre il fuoco dell’inferno deve la sua origine e la sua sussistenza all’ira di Dio.
– Il fuoco naturale opera sulle anime solo attraverso i loro corpi mentre il fuoco infernale tortura direttamente lo spirito.
– Il fuoco naturale si spegnerà mentre quello che l’ira di Dio accende, brucerà per sempre.
– Il fuoco naturale illumina mentre il fuoco dell’Inferno produce l’oscurità.
– Il fuoco naturale consuma ciò che brucia, la fiamma infernale brucia e tortura la sua vittima senza distruggerla.

Come funziona il fuoco dell’inferno? Come può il fuoco materiale bruciare uno spirito puro come il diavolo o un’anima dannata prima della risurrezione finale?

A partire da san Tommaso, praticamente tutti i teologi concordano sul fatto che questa azione della materia sullo spirito è naturalmente impossibile. Il fuoco materiale dell’Inferno può agire sugli spiriti solo attraverso un’azione di Dio per cui il fuoco produce un effetto speciale che raggiunge l’anima. Per agire sulle anime, questo effetto deve avere anche una natura immateriale.

Il fuoco eterno non brucia l’anima del reprobo o del demone, ma incatena lo spirito, impedendogli di muoversi liberamente. Questa schiavitù non è solo locale, estrinseca allo spirito, ma è una modificazione che si ingloba nelle facoltà dell’anima, impedendo il libero uso dell’intelligenza, della memoria, dell’immaginazione e della volontà.

Ad esempio, l’immaginazione non può liberare l’anima dai tormenti presenti o intrattenerla con pensieri piacevoli e ricordi piacevoli.

Anche quando i demoni lasciano temporaneamente l’Inferno con il permesso divino, non sfuggono alla prigionia di questo fuoco. Anche al di fuori dell’Inferno, rimangono sotto la sua azione che impedisce direttamente l’uso dei loro poteri spirituali. Sicché, per questa azione continua, soffrono la mancanza di libertà che fa loro il fuoco dell’inferno, come se il fuoco fosse vicino a loro. Questo è analogo a un Angelo benedetto che, lasciando i luoghi celesti, conserva la visione di Dio (la luce della gloria).

* * *

L’opinione che ci possano essere ghiaccio e acqua nell’Inferno, per cui i reprobi passano dal calore del fuoco alla frigidità del ghiaccio e dell’acqua, non è supportata nella Scrittura. I teologi spiegano anche che il riferimento di Nostro Signore ai vermi che rosicchiano significa il rimorso provato dai dannati e dai demoni.

La vita dopo la morte
Anche se non possiamo sapere con certezza dove sia l’inferno, l’opinione dei Padri della Chiesa e dei teologi è sempre stata che l’inferno è al centro della terra.

Possiamo sapere dov’è l’inferno?

Come sottolineano i teologi, per ragione naturale non possiamo sapere dove sia l’Inferno. La rivelazione non ha parlato abbastanza chiaramente su questo né è stato definito dal Magistero.

Tuttavia, l’opinione dei Padri della Chiesa e dei teologi è sempre stata che l’inferno esiste all’interno della terra. Non solo il linguaggio delle Scritture lo sostiene, ma poiché c’è spazio e fuoco all’interno della terra, nulla è ragionevolmente contrario ad esso. Inoltre, la parola latina per Inferno, Infernus , indica un luogo inferiore, e quindi rafforza la credenza comune che sia sotterraneo. Ma tutto questo è mera speculazione che non può essere verificata e non ha una reale importanza.

I reprobi possono mai lasciare l’inferno?

Prima della risurrezione dei corpi, le anime dei condannati e dei demoni vengono imprigionate nell’Inferno dal fuoco infernale, come si è già spiegato.

Mentre i demoni possono lasciare l’inferno per tentare gli uomini, la domanda è più difficile da rispondere per quanto riguarda il reprobo. Mentre è ragionevole pensare che alcuni reprobi appaiano sulla terra per permesso divino a beneficio della vita, è qualcosa di raro, straordinario e, salvo situazioni estreme, una grande punizione per gli uomini.

La vita dopo la morte
Mentre la socievolezza è fonte di molta felicità in Cielo e in terra, nell’Inferno accresce grandemente il tormento dei dannati.

L’interazione sociale, una fonte di sofferenza

Anche lo stare insieme ai demoni e ai dannati all’Inferno è motivo di sofferenza. La loro indicibile depravazione, crea l’odiosa condizione in cui esistono. Inoltre, le orribili punizioni dei reprobi sono uno spettacolo spaventoso. Perciò questa società continua, eterna, è un ulteriore tormento.

Questo tormento va contro il bisogno reprobo della socievolezza e della cordialità, che qui sulla terra è fonte di molta felicità e gioia in una buona società, e causa molto dispiacere e fastidio in una odiosa e depravata.

L’Inferno, quindi, non è un regime di isolamento in cui la visione dell’anima pia provoca dolore, ma un grande abisso di fuoco, dove i demoni ei dannati costituiscono una comunità che li tormenta.

L’oscurità infernale non è così densa da impedire la vista corporea. Immagina l’orrore dell’Inferno, e lo spaventoso disordine causato dall’odiosa tirannia dei demoni e dall’odio eterno e universale verso gli altri, che esiste a tal punto e in misura che non esiste mai buon sentimento tra un condannato e l’altro.

Odiando Dio, la causa finale, sono pieni di odio l’uno per l’altro. Considerano tutti, inclusi se stessi, spregevoli e ripugnanti.

Inoltre, vi sono particolari sofferenze derivanti dall’interazione tra il peccatore ei suoi complici, i corruttori e coloro che ha corrotto durante la vita. Per esempio c’è un tormento speciale per i rapporti tra fornicatori, adulteri, membri di una banda, partiti o sette totalitari, o cattivi professori ei loro studenti corrotti.

Soffrire in tutto

Tutto all’inferno è un tormento?

SÌ. In questo luogo maledetto, di cui Dante scriveva, “abbandonate ogni speranza voi che qui entrate”, i dannati non ricevono nessuna delle dolci e intense soddisfazioni che ci dà la gioia di vivere sulla terra: luci, brezze, raziocinio, riposo e conforto . Niente di tutto ciò che è tanto amato qui sulla terra esiste tra i dannati. Sentono la privazione della libertà corporea e le sensazioni di immensità, varietà e ambienti mutevoli. Tutto questo viene consumato dal fuoco dell’Inferno.

Anche l’immaginazione e la memoria sono fonte di tortura, poiché non fanno altro che alimentare la loro irrimediabile disperazione.

Il grado di rifiuto fornisce la misura della sofferenza

Per comprendere bene perché i tormenti dell’Inferno sono così terribili, dobbiamo confrontarli con l’immensità della Divina Misericordia che un reprobo rifiutò. Scegliendo l’Inferno, ha rifiutato la Creazione, l’elevazione allo stato di grazia, l’Incarnazione, Passione e Morte di Nostro Signore, l’intercessione di Maria Santissima e dei Santi e l’istituzione della Chiesa e dei Sacramenti.

Dio ama tutti gli uomini più di quanto la madre più amorevole ami suo figlio. Di conseguenza, li circonda di affetto e di cure eccezionali. Nostro Signore è arrivato al punto di paragonarsi a una gallina che raccoglie i suoi pulcini sotto le sue ali (Matteo 23:37) per dimostrare questo affetto. Il grado di rifiuto di questo amore corrisponde alla quantità di sofferenza all’Inferno.

Dio è la causa di ogni bene, bellezza e verità. Quando uno rompe con Lui, conserva il male, la bruttezza, la falsità e l’errore. La salute fisica e mentale dipendono da questo elemento ordinatore di tutto, che è Dio. Essere separati da Lui significa essere separati dalla fonte di ogni salute, benessere e dolcezza. Rimangono solo la malattia, l’orrore e la sofferenza.

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Capitolo 5

Rispondere alle obiezioni sull’inferno

La vita dopo la morte
Sebbene la misericordia di Dio sia infinita, in nessun modo può contraddire la sua infinita giustizia.

In questo capitolo, utilizzando argomentazioni teologiche, cercheremo di confutare le obiezioni più comuni fatte contro l’esistenza e l’eternità dell’Inferno.

Le obiezioni sono numerate e seguite dalle confutazioni.

1. Poiché Dio è buono, non può augurare il male a nessuno.
– Ovviamente Dio non augura il male a nessuno. Ha creato tutti gli uomini per il paradiso e non vuole che nessuno vada all’inferno. Il suo amore universale e la sua bontà offrono a tutti mezzi sovrabbondanti per la salvezza. Ma quando gli uomini rifiutano questa gentilezza, preferendo l’Inferno al Paradiso, la rendono inefficace.

Inoltre, sebbene Dio sia buono, è anche giusto. La Sua gentilezza non può contraddire la Sua giustizia. Tra gli uomini la bontà può degenerare in debolezza e la giustizia in durezza di cuore, ma, essendo perfette, le virtù di Dio esistono in un equilibrio armonico tale che l’una non può impedire l’esercizio dell’altra.

2. Perché Dio non impedisce all’uomo di praticare il male, né lo costringe a fare il bene?
– Dio ha dotato angeli e uomini di intelligenza e volontà. Poiché la capacità di scegliere tra il bene e il male è una caratteristica di un essere razionale, Dio ha dovuto rendere libero ogni essere razionale. Questa libertà ci differenzia dagli esseri irrazionali, che sono incontrollabilmente guidati dai loro istinti e quindi incapaci di modificare le loro azioni. Poiché Dio non può contraddire la propria opera, non può creare l’uomo libero e poi impedirgli di usare la sua libertà.

La libertà è necessaria anche perché le azioni abbiano merito. Se Dio costringesse gli angeli e gli uomini a fare il bene, le loro azioni sarebbero prive di merito.

3. Perché Dio ha creato l’inferno?
– Dio creò l’Inferno per vendicare la giustizia divina offesa dal peccato. Le punizioni dell’inferno espiano le offese commesse contro di Lui e ristabiliscono l’ordine dell’Universo, che esige che il bene sia premiato e il male castigato.

Così l’esistenza dell’inferno è un potente (e spesso l’unico efficace) incentivo per la pratica del bene. La paura dell’inferno è servita a trasformare innumerevoli anime dal sentiero del vizio all’amore di Dio e alla virtù. Sant’Agostino avrebbe detto che a causa del Peccato Originale, se l’Inferno non esistesse per punire il male, la vita qui sulla terra si trasformerebbe in un Inferno perché senza timore di punizioni future, la maggior parte degli uomini cercherebbe egoisticamente il proprio tornaconto, e pochi limiterebbero il loro passioni per amore.

Considerando infine la misericordia di Dio, che concede tante grazie per la salvezza, si vede più chiaramente la necessità della giustizia divina e dell’inferno.

4. Poiché Dio sa che certi uomini saranno dannati, perché lo permette?
– Questa comune obiezione, esprime un errore implicito per cui si parla di Dio in termini umani.

In termini umani, quando un uomo vede il futuro, vede qualcosa che non è ancora accaduto . Invece per Dio non c’è tempo, tutto è presente. Vede passato, presente e futuro simultaneamente. Quindi, Dio non prevede , ma semplicemente vede , e se impedisse che qualcosa accada, poiché non accadrebbe, non lo vedrebbe. Pertanto, Dio vede la realtà effettiva nel momento esatto in cui ha luogo, non qualcosa che sta per accadere.

La vita dopo la morte
Se esistesse un apparato che registrasse una realtà futura, saremmo in grado di vedere il futuro senza poterlo alterare.

Forse un confronto aiuterà a illustrare questo punto.

Se esistesse un apparato capace di filmare un evento futuro come se fosse il passato, vedremmo l’evento, ma non saremmo in grado di cambiarne l’esito, perché l’apparato avrebbe registrato una realtà futura, non una possibilità futura .

Inoltre, conoscere il futuro è diverso dall’essere la causa di un evento. Quindi il sapere di Dio che un uomo si danneggerà non ne fa la causa, né significa che lo desideri. Un padre che vede che suo figlio non accetta il suo consiglio e cambia il suo stile di vita può sapere che suo figlio si perderà, ma non lo desidera in alcun modo.

5. Se Dio è Amore, perché deve vendicarsi dei reprobi?
– Dio non desidera la perdizione dei reprobi. Quando qualcuno muore come nemico di Dio, perseverando nel male e rifiutando per sempre la grazia divina, la sua perdizione viene da se stesso, non da Dio.

Per quanto riguarda la vendetta, c’è un altro gioco di parole. In questo senso il termine vendetta è diverso dal modo in cui viene usato in relazione agli uomini. Nel nostro caso la vendetta è il frutto di un’imperfezione, cosa impossibile in Dio. Qui la parola è intesa nel suo senso giuridico, intendendo il ristabilimento della giustizia, che Dio esercita nei limiti della sua perfetta impassibilità e del suo supremo equilibrio.

6. Perché l’uomo non può pentirsi dopo la morte?
– Poiché la mutevolezza della natura umana deriva dall’unione dell’anima e del corpo, l’uomo può cambiare la sua volontà solo mentre è in vita, durante il quale percepisce imperfettamente le cose terrene. Tuttavia, l’anima, separata dal corpo, si trova faccia a faccia con verità eterne. Così perde la capacità di vedere qualcosa di imperfetto come un bene. I beni eterni sono evidenti e attirano o respingono l’anima senza la sua libera scelta.

L’ultimo atto di volontà dell’uomo decide la sua scelta finale e fissa il suo destino per sempre. L’anima entra nell’eternità con una volontà immutabilmente fissa, nel bene o nel male. Così la psicologia dell’uomo e la sentenza di Dio sono entrambe eternamente immutabili. Un tale cambiamento implicherebbe un’incertezza in Dio, contraddicendo la Sua Giustizia e Saggezza. Dio tratta tutti con imparzialità, premiando o punendo ciascuno secondo le sue azioni.

7. Se tutte le anime vedono chiaramente Dio e la sua perfezione, perché l’irresistibile attrazione che provano per Lui non impedisce loro di scegliere l’Inferno?
– Al momento della morte, il reprobo vede Dio nella sua infinita perfezione, e se stesso nell’orribile condizione morale in cui è morto contemporaneamente.

La vita dopo la morte
Quando il reprobo vede Dio nella sua infinita perfezione, sentendosi ripugnante al suo cospetto, fugge, preferendo i tormenti dell’inferno alle delizie del cielo.

L’inossidabile Purezza Divina contrasta con la bruttezza morale dei reprobi in misura insopportabile. Questo contrasto lo schiaccia; facendolo sentire ripugnante di fronte all’infinita santità e perfezione di Dio e alla bellezza morale degli eletti, a tal punto che preferisce i tormenti dell’inferno alle delizie del cielo. Così l’infinita bellezza di Dio, che lo attrae anche lo respinge.

8. È il reprobo che volontariamente fugge dalla presenza di Dio?
– Secondo la maggior parte dei teologi, i reprobi fuggono volontariamente dalla presenza di Dio. Poiché Dio, la suprema Bellezza per la quale l’uomo è stato fatto, gli è insopportabile, egli detesta, bestemmia e maledice Dio, che ha perduto per sempre. Questo può essere paragonato a una relazione ossessiva in cui l’amore, diventando impossibile, si trasforma in odio dominante e non domato, furia accresciuta, rabbia e disperazione.

Così, nonostante la sua naturale tendenza verso Dio, il reprobo, sapendo che solo Dio può soddisfare la sua insaziabile sete di felicità, fugge ancora volentieri da questo Bene sovrano.

9. Potrebbe un reprobo desiderare il Paradiso mentre è all’Inferno?
– Come mostrato sopra, dalla psicologia caratteristica di un reprobo, non desidererà mai il Paradiso. Diamo un’occhiata più da vicino al motivo per cui è così.

Sulla terra, il peccatore sceglie come suo fine ultimo un bene creato, un piacere ingannevole e finito, invece di Dio. Se potesse rimanere nel peccato per sempre, senza punizione, non si rivolgerebbe mai a Dio. I suoi piani transitori di emendamento sono volubili e indefiniti. Quando è sazio di peccato vuole regolarizzare i suoi affari, per paura dell’inferno, non per amore di Dio. Egli odia solo la pena dovuta al peccato, non il disordine intrinseco e l’offesa a Dio.

Quindi, il peccatore sceglie il peccato e l’inferno su Dio e il paradiso. Sebbene non desideri i tormenti dell’Inferno, desidera rimanere in uno stato di vita che conduce all’Inferno e alla separazione definitiva da Dio. Attraverso l’attaccamento al piacere peccaminoso o all’orgoglio satanico, il peccatore incallito vende il suo patrimonio celeste, come Esaù vendette la sua eredità. San Gregorio Magno affermava che i peccatori vorrebbero vivere eternamente solo per praticare il loro peccato per sempre.

In questa luce si vede chiaramente che una persona che muore così, si lega per sempre al disordine del peccato, e così si getta nella dannazione eterna.

10. Non è ingiusto che Dio condanni qualcuno per aver commesso un solo peccato di debolezza?
– Sebbene, nella giustizia, Dio possa condannare qualcuno per un solo peccato mortale di debolezza, l’Inferno è solo per chi persiste nel male, poiché chi pecca per debolezza di solito non persiste nel peccato.

La vita dopo la morte
Il peccatore abituale chiude la sua anima alle sollecitazioni della grazia, acquistata al prezzo infinito della crocifissione.

Il peccatore abituale, pensando di avere un grande piacere nel peccato, chiude la sua anima alle sollecitazioni della grazia e del pentimento, decidendo di convertirsi solo nell’ultimo momento.

Certamente chi pecca per debolezza, senza cadere nel peccato abituale, trova penosa la condizione peccaminosa. Per questo è sensibile alle grazie di pentimento che Dio sempre comunica agli uomini. Anche così, i peccati di debolezza possono essere il sintomo di una condizione che porta alla separazione definitiva dell’anima da Dio, attraverso un attaccamento disordinato alle creature.

Pertanto, l’Inferno è la punizione per una condizione di persistente disprezzo verso l’Amore e la Misericordia Divina.

11. Se un reprobo volesse andare in Paradiso, potrebbe?
-Il paradiso consiste nell’amore di Dio e nella felicità della santità, mentre l’inferno è il rifiuto di Dio e il radicale disordine morale. Il peccato mortale è un atto di radicale disordine contro il fine ultimo dell’uomo, che è Dio. Una persona che muore in questo stato si fissa definitivamente in questo rifiuto, ed è quindi incompatibile con il Cielo.

Dal punto di vista soprannaturale, la vita eterna è grazia santificante. Distruggendo questa grazia, il peccato mortale distrugge anche la vita eterna.

Il peccato, di per sé, è naturalmente irreparabile. Solo la grazia divina può rimediare. Poiché la grazia della conversione non esiste dopo la morte, non esiste nemmeno la conversione stessa.

12. La Misericordia di Dio non è eterna?
– Innegabilmente, la Misericordia di Dio esisterà sempre. Tuttavia, poiché qualcuno è dannato non per mancanza di misericordia da parte di Dio, ma piuttosto per mancanza di accettazione di questa misericordia da parte dei reprobi, l’eterna misericordia di Dio non lo libererà mai dall’inferno. La sua volontà, pervertita dal rifiuto della Divina Misericordia durante la vita, non accetterebbe la grazia della conversione dopo la morte, anche se gli fosse offerta.

San Tommaso illustra questo punto con il seguente esempio: se qualcuno si acceca o si uccide, ha il diritto di imputare a Dio la responsabilità della sua cecità o morte? Allo stesso modo, il peccatore che volontariamente distrugge in sé il principio della vita soprannaturale non ha il diritto di protestare contro la sua perdizione. Al contrario, è perfettamente giusto che colui che voleva peccare eternamente contro Dio, sia eternamente separato da Lui.

La vita dopo la morte
Il peccato è il male e il disordine. Poiché non può mai diventare bene o ordine, l’inimicizia tra il bene e il male deve durare per sempre.

13. Non bastano le punizioni terrene?
– Il male non è sempre punito su questa terra. Qui, infatti, spesso i peccatori sguazzano negli onori e nelle ricchezze, mentre i giusti soffrono prove e afflizioni. Poiché Dio non può rimanere indifferente al crimine e alla virtù, deve esistere una punizione post mortem per ristabilire la giustizia.

14. L’inferno deve essere eterno?
– Per essere utile, ogni sanzione deve essere efficace. Secondo la psicologia umana, l’uomo in realtà teme solo un castigo eterno, mentre quelli temporanei non lo impressionano a sufficienza. La natura decaduta dell’uomo è così attratta dal peccato che, di fronte all’intenso, immediato piacere peccaminoso, alla possibilità di una temporanea sofferenza futura, è inadeguata a frenare la sua passione. In parole povere, l’uomo preferisce una sofferenza transitoria, lontana, alla negazione di una gioia presente.

15. Il castigo eterno non è forse sproporzionato per peccati commessi in breve tempo?
– Secondo la giustizia, il tempo necessario per commettere un reato non determina la durata della pena. Piuttosto le conseguenze e la gravità della colpa commessa determinano la durata della pena. Pertanto, un omicidio, commesso in un batter d’occhio, poiché i suoi effetti sono eterni, può meritare una punizione eterna.

16. Non sarebbe più bello credere in un eventuale perdono generale, in cui i demoni stessi si convertirebbero e la felicità generale sarebbe ristabilita?
– La cosa più bella è accettare la Volontà di Dio e conformarci alla Sua Sapienza.

Questa ipotesi, così piena di gentilezza e dolcezza a prima vista, è assurda. Questa idea, difesa da letterati romantici dell’Ottocento, come Victor Hugo, Lamartine, Paul Valery e altri, si fonda su un falso concetto di gentilezza e amore, in cui il sentimento domina la ragione. Quando fu difeso da Origene nella Chiesa primitiva, fu condannato.

Solo un dio mosso da motivi sentimentali, e non la Divina Sapienza, poteva così contraddire la sua giustizia. La volontà divina, come ogni volontà razionale, è guidata dall’intelligenza, producendo infinita misericordia mantenendo una perfetta giustizia, entrambe espressioni della Divina Sapienza.

Inoltre, non è ragionevole che Dio tratti i reprobi e i demoni con misericordia. Un perdono generale rovescerebbe il fondamento della giustizia, che esige che ciascuno riceva ciò che ha guadagnato, ricompensa o punizione.

Questo fondamento corrisponde alla responsabilità morale di ciascuno per le sue azioni. Perdonare i demoni e i reprobi è ricompensare il male. Non è immaginabile che il Cielo fosse condiviso da Lucifero e San Michele, boia e martiri, apostati e fedeli, prostitute e vergini pure, eresiarchi e apostoli, o vittime innocenti e crudeli assassini!

Secondo questa visione, Giuda e san Pietro, Lutero e sant’Ignazio e Messalina e sant’Agnese avrebbero goduto per sempre della stessa ricompensa!

In verità, il peccato è male e disordine. Poiché il male non può mai diventare bene o disordine, l’ordine, l’inimicizia tra il bene e il male, l’ordine e il disordine devono durare per sempre insieme alle loro conseguenze: la felicità e il dolore.

Anche la possibilità che le punizioni dell’inferno finiscano distruggerebbe una delle principali attrattive della virtù. Renderebbe senza senso il bene e il male, la verità e l’errore, producendo un completo relativismo morale e dottrinale.

Gli effetti di questo ragionamento sono evidenti nel mondo assurdamente relativista di oggi.

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Capitolo 6

Purgatorio

La vita dopo la morte
Quando uno muore in stato di peccato veniale o senza aver riparato a sufficienza i peccati passati, secondo giustizia deve andare in Purgatorio.

“OH! Se solo la gente sapesse cos’è il Purgatorio!

Nel 1870, il Belgio combatté come alleato con la Francia contro la Germania.

Nel settembre di quell’anno, suor Maria Serafina, suora redentorista a Malines, in Belgio, fu improvvisamente colta da un’inspiegabile tristezza. Poco dopo, ha ricevuto la notizia che suo padre era morto in quella guerra.

Da quel giorno suor Maria sentì ripetutamente gemiti angosciosi e una voce che diceva: “Mia cara figlia, abbi pietà di me!”

Successivamente, fu assediata da tormenti, che includevano mal di testa insopportabili. Mentre giaceva un giorno, vide suo padre circondato dalle fiamme e immerso in una profonda tristezza.

Stava soffrendo in Purgatorio e aveva ricevuto il permesso da Dio di implorare preghiere da sua figlia e raccontarle le sofferenze del Purgatorio. Così disse:

Voglio che tu faccia dire Messe, preghiere e indulgenze a mio nome. Guarda come sono immerso in questo buco pieno di fuoco! OH! Se la gente sapesse cos’è il Purgatorio, soffrirebbe qualsiasi cosa pur di evitarlo e alleviare qui la sofferenza delle anime. Sii santissima, figlia mia, e osserva la Santa Regola, anche nei suoi punti più insignificanti. Il purgatorio per i religiosi è una cosa terribile!

Suor Maria vide una fossa piena di fiamme, che vomitava nuvole nere di fumo. Suo padre era immerso nella fossa dove ardeva, orribilmente soffocato e assetato. Aprendogli la bocca vide che la sua lingua era completamente raggrinzita.

“Ho sete, figlia mia, ho sete”.

Il giorno dopo, suo padre la visitò di nuovo dicendo: “Figlia mia, è passato molto tempo dall’ultima volta che ti ho visto”.

“Mio padre, era solo ieri…”

La vita dopo la morte
L’intercessione della Madonna è efficacissima per ridurre la pena al Purgatorio.

“OH! Mi sembra un’eternità. Se resto tre mesi in Purgatorio, sarà un’eternità. Sono stato condannato per molti anni, ma, per intercessione della Madonna, la mia condanna è stata ridotta a pochi mesi”.

La grazia di venire sulla terra gli è stata concessa per le sue buone opere durante la sua vita e perché era stato devoto alla Madonna che riceveva la Comunione in tutti i suoi giorni di festa.

Durante queste visioni, suor Maria Serafina pone al padre diverse domande:

“Le anime del Purgatorio sanno chi prega per loro e possono pregare per noi?”

“Sì, figlia mia.”

“Queste anime soffrono, sapendo che Dio è offeso nelle loro famiglie e nel mondo?”

“SÌ.”

Diretta dal suo confessore e dalla sua superiora, continuò ad interrogare il padre:

“È vero che le sofferenze del Purgatorio sono molto più grandi di tutti i tormenti della terra e anche dei martiri?”

“Sì, figlia mia, tutto questo è verissimo.”

Suor Serafina ha poi chiesto se tutti coloro che appartengono alla Confraternita dello Scapolare del Carmelo (quelli che indossano lo scapolare), sono liberati dal Purgatorio il primo sabato dopo la morte:

«Sì», rispose, «ma solo se sono fedeli agli obblighi della Confraternita».

“È vero che alcune anime devono stare in Purgatorio anche cinquecento anni?”

“SÌ. Alcuni sono condannati fino alla fine del mondo. Queste anime sono molto colpevoli e completamente abbandonate”.

“Tre cose principali attirano la maledizione di Dio sugli uomini: la mancata osservanza del giorno del Signore attraverso il lavoro, il vizio diffusissimo dell’impurità e la bestemmia. Oh figlia mia, come provocano l’ira di Dio queste bestemmie!

Per oltre tre mesi suor Serafina e la sua comunità hanno pregato e offerto penitenza per l’anima del suo tormentato padre che spesso le appariva. Durante l’elevazione dell’Ostia durante la Messa di Natale, suor Maria ha visto suo padre risplendere come un sole di incomparabile bellezza.

“Ho terminato la mia frase e sono venuta a ringraziare te e le tue sorelle per le vostre preghiere e per i pii esercizi. Pregherò per te in Paradiso”.

Se il Purgatorio non esistesse per togliere la macchia del peccato dalle anime imperfette, l’unica alternativa sarebbe l’Inferno. Il Purgatorio è dunque un luogo necessario di espiazione.

Ogni peccato personale comporta due conseguenze: la colpa (che, nel caso del peccato mortale, distrugge la grazia santificante e conduce all’Inferno) e la punizione temporale giustificata dall’offesa a Dio.

Anche se la Confessione ci libera dalla colpa e da parte della punizione, dobbiamo comunque fare ulteriore riparazione a Dio. In questa vita, questo si può fare attraverso la preghiera, le intenzioni della Messa, l’elemosina, la penitenza e l’acquisto di indulgenze. Chi muore in stato di peccato veniale o senza sufficiente riparazione va al Purgatorio.

Un luogo di espiazione

Abbiamo visto che il Purgatorio è un luogo di espiazione.

Le anime del Purgatorio sopportano una duplice sofferenza: provano un temporaneo dolore di perdita , poiché sono temporaneamente private della Visione Beatifica e provano anche sofferenze sensibili, o pena di senso . A differenza dei dannati dell’Inferno dove le punizioni provocano odio, quelli del Purgatorio trovano che la punizione evochi un profondo amore per Dio.

Secondo san Tommaso e sant’Agostino, il minimo dolore del Purgatorio è peggiore del più grande di questa vita. Ciò è dovuto all’intensità del desiderio che le anime hanno di Dio, la cui privazione è estremamente dolorosa, e alla grandezza del dolore sensibile, che, toccando direttamente l’anima, è peggiore di qualsiasi cosa sentita dai sensi.

La sofferenza incoraggiata dalla speranza

Per quanto rigorose possano essere le pene del Purgatorio, sono placate dalla speranza.

Santa Caterina da Genova (1447-1510), una mistica che soffrì sulla terra i tormenti del Purgatorio, spiegò che si soffre contemporaneamente tormenti indicibili e felicità indescrivibile.

“Per quanto rigorose possano essere le pene del Purgatorio, sono placate dalla speranza”.

Ha descritto il tormento come derivante da un fuoco interiore che consuma continuamente, acceso dalla separazione da Dio, per il quale l’anima è infiammata d’amore. Questa sofferenza è così intensa che trasforma ogni istante in un martirio di dolore.

Pur superando ogni sofferenza terrena, non può essere paragonata all’angoscia dell’Inferno dove la sofferenza è un disperato frutto dell’odio mentre la sofferenza del Purgatorio è una sofferenza d’amore piena di speranza.

Di conseguenza santa Caterina diceva che solo nel Cielo stesso c’è felicità maggiore di quella tra i tormenti del Purgatorio. Questo perché l’anima sa di essere salva, in amicizia con Dio, circondata da anime sante, e quindi infiammata dall’amore di Dio.

Spiegava Santa Caterina:

Credo che non si possa trovare felicità degna di essere paragonata a quella di un’anima del Purgatorio se non quella dei santi in Paradiso; e di giorno in giorno questa felicità cresce man mano che Dio affluisce in queste anime, sempre più man mano che si consuma l’impedimento al suo ingresso. La ruggine del peccato è l’ostacolo, e il fuoco brucia la ruggine, così che sempre più l’anima si apre all’afflusso divino. Una cosa che è coperta non può rispondere ai raggi del sole, non per qualche difetto del sole che splende sempre, ma perché la copertura è un ostacolo; se la copertura viene bruciata, questa cosa è aperta al sole; sempre più la copertura si consuma risponde ai raggi del sole.

È così che la ruggine, che è peccato, ricopre le anime, e nel Purgatorio viene consumata dal fuoco; quanto più si consuma, tanto più le anime rispondono a Dio, vero sole. Man mano che la ruggine diminuisce e l’anima si apre al raggio divino, la felicità cresce; fino al compimento del tempo l’uno cala e l’altro cresce. Il dolore però non diminuisce ma solo il tempo per il quale si sopporta il dolore. Quanto alla volontà: mai le anime possono dire che queste pene sono pene, tanto sono contente dell’ordine di Dio al quale, nella pura carità, la loro volontà è unita.

La durata del purgatorio

La quantità di tempo trascorso in Purgatorio è molto difficile da esprimere in termini umani. Nei resoconti di visioni private, leggiamo di anime condannate per un certo numero di anni o addirittura fino alla fine del mondo. Infatti, la Madonna ha rivelato ai veggenti di Fatima che una ragazza morta poco prima delle apparizioni vi sarebbe rimasta fino alla fine dei tempi.

I teologi spiegano che il tempo del Purgatorio può essere misurato in due modi. Il primo è positivo e corrisponde al tempo così come lo misuriamo sulla terra; l’altra è fittizia o immaginaria poiché corrisponde al tempo che le anime giudicano di aver sofferto, il che è distorto poiché proprio questa sofferenza fa perdere loro la cognizione del tempo.

Così vediamo anime che dopo poche ore di Purgatorio si lamentano di anni o addirittura secoli di sofferenze.

Sant’Antonio racconta la storia di un malato che soffriva così atrocemente da considerarlo al di là della natura umana e quindi pregava continuamente per la morte. Un giorno gli apparve un angelo e gli disse: “Dio mi ha mandato qui per offrirti una scelta. Puoi trascorrere un anno di sofferenza sulla terra, o un giorno in Purgatorio”. Scegliendo quest’ultima, morì e andò in Purgatorio.

Quando l’angelo andò a consolarlo, fu accolto con questo gemito di dolore: “Angelo ingannatore! Almeno vent’anni fa hai detto che avrei passato un solo giorno in Purgatorio… Mio Dio, quanto soffro!

A questo l’Angelo rispose: “Povera anima illusa, il tuo corpo non è ancora sepolto”.

Devozione alle Anime del Purgatorio

La devozione alle anime del Purgatorio ebbe origine nella Chiesa primitiva, basata sul dogma della Comunione dei Santi . Sebbene queste anime non possano guadagnare meriti, sono in amicizia con Dio, che applica volentieri i meriti offerti per loro.

Perciò è atto di carità pregare, offrire messe, sacrifici e indulgenze per loro.

Questa devozione era così profondamente radicata nei fedeli che nemmeno Lutero osava abolirla. Comprendeva l’importanza di procedere con cautela verso i suoi obiettivi insidiosi.

Sostenuta dalla Scrittura e dalla Tradizione, la Chiesa ha definito il dogma della Comunione dei Santi , che incoraggia la devozione alle anime sante. Questa devozione non solo incoraggia la pratica della carità, ma ravviva anche la fede e consola coloro che hanno perso i propri cari.

La potente intercessione delle anime del purgatorio

Oltre ad essere un’opera di misericordia spirituale e un potente richiamo all’aldilà, la devozione alle anime del Purgatorio ci offre anche un’intercessione inestimabile, come dimostra la Tradizione della Chiesa.

Secondo il dogma della Comunione dei Santi, essi fanno parte della Chiesa (chiamata Chiesa Sofferente) e quindi sono uniti a noi, e possono intercedere per noi.

Esempi di questo abbondano nella storia della Chiesa e molti lettori hanno senza dubbio sperimentato tale intercessione. Di seguito riporteremo alcuni esempi.

La contessa di Stratford, protestante inglese, avendo dei dubbi sull’esistenza del Purgatorio, consultò il vescovo di Amiens, in Francia. Sentendo la sua obiezione, rispose: “Di’ al vescovo di Londra (un anglicano) che lascerò la Fede e diventerò un anglicano se può dimostrare che Sant’Agostino non ha mai celebrato la messa o pregato per i morti, specialmente sua madre”.

Seguendo il suo consiglio, la contessa scrisse al vescovo anglicano di Londra. Vedendo che non rispondeva, si convertì.

A un certo punto, durante la sua riforma dei Carmelitani, santa Teresa ebbe bisogno di un convento. Un nobile di nome Bernadine di Toledo ha risposto al suo bisogno e ha donato un luogo per il convento. Morì poco dopo. Santa Teresa ricevette la rivelazione che sarebbe rimasto in Purgatorio fino a quando non fosse stata celebrata la prima Messa nel convento che aveva donato. Si affrettò così a stabilirne le fondamenta. Durante la comunione di questa prima Messa, ha visto la sua anima raggiante di splendore al fianco del sacerdote. Grazie a quella Messa che era stata celebrata per lui, fu liberato dal Purgatorio.

Quando le preghiere di Santa Caterina da Bologna sembravano senza risposta, invocava l’intercessione delle anime del Purgatorio. Ha affermato che queste preghiere sono sempre state esaudite.

La vita dopo la morte
Le messe offerte per le anime sofferenti possono avere un valore inestimabile.

Un esempio commovente

I casi di intercessione delle anime del Purgatorio sono così numerosi che non basterebbero più libri per raccontarli tutti.

Quella successiva, tra le più note e commoventi, avvenne a Parigi nel 1817.

Una domestica, che aveva la pia abitudine di far dire ogni mese una Messa per le anime del Purgatorio, si ammalò e dovendo essere ricoverata, perse il lavoro.

Dopo aver lasciato l’ospedale, è andata in una chiesa a pregare, dove si è ricordata di non aver potuto dire la messa per le povere anime quel mese. Tuttavia, a causa della sua disoccupazione, non poteva permettersi un’offerta di messa poiché l’avrebbe lasciata senza un soldo. Dopo aver esitato, fece l’offerta.

Uscendo dalla chiesa, ha incontrato un giovane che sembrava essere un nobile. Le chiese inaspettatamente se aveva bisogno di un lavoro e le diede l’indirizzo di una casa, che aveva bisogno di una domestica.

Quando è arrivata a casa, la proprietaria, che aveva appena licenziato la sua domestica, si è chiesta chi potesse sapere che aveva bisogno di aiuto. Mentre descriveva il giovane in chiesa, il servitore vide un suo dipinto sul muro.

Sentendo ciò, il proprietario esclamò: “Quello è mio figlio, che è morto due mesi fa!”

Allora entrambi si resero conto che Dio voleva premiare la carità della serva e rivelare la potenza dell’intercessione di un’anima sofferente.

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Capitolo 7

Paradiso – Visioni

La vita dopo la morte
Le Scritture descrivono il Cielo come una Città Santa la cui luce è Dio stesso.

Le Scritture descrivono il Cielo come una Città Santa, fatta di pietre preziose, la cui luce è Dio stesso, l’Agnello Immacolato.

La Gerusalemme Celeste

Gli occhi d’aquila di San Giovanni, trafiggendo il cielo, descrivevano la Gerusalemme Celeste, con un linguaggio inimitabile, pieno di poesia e bellezza.

E ho visto un nuovo cielo e una nuova terra. Perché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare ora non c’è più. E io Giovanni vidi la città santa, la Nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da Dio preparata come una sposa adorna per il suo sposo. E udii una gran voce dal trono, che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, ed egli abiterà con loro. Ed essi saranno il suo popolo; e Dio stesso con loro sarà il loro Dio. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi: e la morte non ci sarà più, né lutto, né pianto, né tristezza, perché le cose di prima sono passate. E colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. E mi disse: “Scrivi, perché queste parole sono fedelissime e veritiere”. E lui mi ha detto: “È fatto. Io sono l’Alfa e l’Omega; l’inizio e la fine. A chi ha sete darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita». “Colui che vincerà possederà queste cose, e io sarò il suo Dio; e lui sarà mio figlio. “Ma i paurosi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi avranno la loro parte nello stagno ardente di fuoco e zolfo, che è la seconda morte…”

E mi portò in spirito su un monte grande e alto: e mi mostrò la città santa Gerusalemme che scendeva dal cielo da Dio, che aveva la gloria di Dio, e la sua luce era simile a una pietra preziosa, come al pietra di diaspro, come il cristallo. E aveva un muro grande e alto, con dodici porte, e nelle porte dodici angeli, e nomi scritti su di essa, che sono i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte: a settentrione tre porte; a mezzogiorno tre porte; a occidente tre porte. E il muro della città aveva dodici fondamenta, e in esse, i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello…. E la costruzione del suo muro era di pietra di diaspro: ma la città stessa era d’oro puro, simile a vetro limpido. E le fondamenta del muro della città erano adornate con ogni sorta di pietre preziose. Il primo fondamento era diaspro: il secondo, zaffiro: il terzo, un calcedonio: il quarto, uno smeraldo: il quinto, sardonico: il sesto, sardio, il settimo, crisolito: l’ottavo, berillo: il nono, un topazio: il decimo, un crisopraso: l’undicesimo, un giacinto: il dodicesimo, un’ametista. E le dodici porte sono dodici perle, una per ciascuna: e ciascuna porta era di una sola perla. E la strada della città era d’oro puro, come fosse vetro trasparente. E non ho visto tempio in esso. Poiché il Signore Dio Onnipotente ne è il tempio e l’Agnello. E la città non ha bisogno del sole, né della luna, per risplendere in essa. Poiché la gloria di Dio l’ha illuminata e l’Agnello ne è la lampada. E le nazioni cammineranno alla sua luce: e i re della terra vi porteranno la loro gloria e il loro onore. E le sue porte non saranno chiuse di giorno, perché non vi sarà notte. E vi porteranno la gloria e l’onore delle nazioni. Non entrerà in essa alcuna cosa contaminata, o che commette abominio o falsità, se non coloro che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello.

E mi ha mostrato un fiume d’acqua di vita, limpido come cristallo, che procede dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla sua strada, e su entrambi i lati del fiume, c’era l’albero della vita, che portava dodici frutti, produceva frutti ogni mese, e le foglie dell’albero erano per la guarigione delle nazioni. E non ci sarà più maledizione; ma il trono di Dio e dell’Agnello sarà in esso, ei suoi servi lo serviranno. Ed essi vedranno la sua faccia, e il suo nome sarà sulla loro fronte. E la notte non ci sarà più: e non avranno bisogno della luce della lampada, né della luce del sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli….

Beati coloro che lavano le loro vesti nel sangue dell’Agnello: affinché abbiano diritto all’albero della vita e possano entrare per le porte nella città. Fuori sono i cani, gli stregoni, gli immondi, gli omicidi, i servitori degli idoli e chiunque ama e pratica la menzogna (Apoc. 21:1-27; 22:1-4; 14-15).

La vita dopo la morte
Possiamo trarre grande beneficio dalla lettura delle visioni di San Giovanni Bosco riguardo al Cielo.

Visioni di San Giovanni Bosco

A differenza dei primi cristiani, l’uomo moderno (e l’uomo cristiano) raramente pensa al paradiso. In effetti, dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri, l’argomento è purtroppo ignorato. Così ci giova molto leggere il racconto di due visioni del Cielo di uno dei santi più conosciuti al mondo, san Giovanni Bosco (1815-1888), che fu apostolo della gioventù e fondatore dei Salesiani Padri e Figlie di Maria Ausiliatrice. La sua vita è stata scandita da interventi soprannaturali.

“Mamma Margherita”

È noto che la madre di San Giovanni Bosco ebbe un ruolo importante nella sua formazione e aiutò molto il suo lavoro. Così tutti la chiamavano affettuosamente, Mamma Margherita .

Dopo la sua morte, Mamma Margherita apparve a San Giovanni Bosco. Ha scritto di questa visione nelle sue Memorie biografiche :

Nell’agosto del 1860, ad esempio, sognò di incontrarla nei pressi del Santuario della Madonna della Consolazione, lungo il muro di cinta del Monastero di Sant’Anna all’angolo della strada, mentre lui tornava all’Oratorio dal Convitto Ecclesiatico. Era bellissima. “Che cosa? Sei davvero qui?” domandò Don Bosco. “Non sei morto?”

“Sono morta ma sono viva”, rispose Margaret.

“E tu sei felice?”

“Molto felice.” Dopo varie altre domande, Don Bosco le domandò se fosse andata dritta in paradiso. Margherita ha risposto negativamente. Ha poi chiesto se diversi ragazzi – di cui ha menzionato i nomi – fossero in paradiso, e ha ricevuto una risposta affermativa.

«Ora dimmi», riprese don Bosco, «che cosa godi in paradiso?».

«Non te lo posso spiegare.»

“Dammi almeno un’idea della tua felicità; fammi vedere un barlume di esso!

Mamma Margherita apparve allora radiosa di maestà e vestita di una veste magnifica. Mentre un grande coro stava in sottofondo, ha iniziato a cantare un canto d’amore di Dio che era indescrivibilmente dolce e andava dritto al cuore, riempiendolo e portandolo via d’amore. Sembrava che mille voci e mille toni – dal basso più profondo al soprano più acuto – fossero stati tutti mescolati insieme magistralmente, delicatamente e armoniosamente per formare un’unica voce, nonostante la varietà dei toni e l’altezza delle voci che vanno da forte a appena percettibile. Don Bosco rimase tanto incantato da questo canto melodiosissimo, che credette di essere fuori di sè, e non poteva più dire o domandare nulla alla madre. Quando mamma Margherita ebbe finito di cantare, si rivolse a lui e gli disse: “Ti aspetto. Noi due dobbiamo stare sempre insieme. Dopo aver pronunciato queste parole, svanì.

San Domenico Savio

San Giovanni Bosco ebbe un’altra visione del Paradiso sotto forma di sogno, che raccontò ai suoi ragazzi durante uno dei suoi famosi “colloqui della buonanotte”.

Nel 1876 gli apparve in sogno il suo discepolo recentemente scomparso san Domenico Savio.

Come sai, i sogni vengono nel sonno. Così durante le ore notturne del 6 dicembre, mentre ero nella mia stanza – se leggevo o camminavo avanti e indietro o riposavo nel mio letto, non sono sicuro – ho iniziato a sognare.

Improvvisamente mi sembrò di trovarmi su un piccolo tumulo di collinetta, sull’orlo di un’ampia pianura così vasta che l’occhio non poteva oltrepassare i suoi confini persi nella vastità. Tutto era blu, blu come il mare più calmo, anche se quello che vedevo non era acqua. Assomigliava a un mare di vetro lucidato e scintillante. Sotto, dietro e su entrambi i lati si estendeva una distesa di quella che sembrava una spiaggia marina.

La vita dopo la morte
Nel sogno di San Giovanni Bosco, San Domenico Savio apparve in un Paradiso di grandi giardini e di indescrivibile bellezza.

Viali ampi e imponenti dividevano la pianura in grandi giardini di indescrivibile bellezza, ciascuno interrotto da boschetti, prati e aiuole di varie forme e colori. Nessuna delle piante che conosciamo potrebbe mai darti un’idea di quei fiori, anche se c’era una sorta di somiglianza. L’erba stessa, i fiori, gli alberi, i frutti erano tutti di singolare e magnifica bellezza. Le foglie erano d’oro, i tronchi e i rami erano di diamanti, e ogni minimo dettaglio era in armonia con questa ricchezza. I vari tipi di piante erano innumerevoli. Ogni specie e ogni singola pianta brillava di una brillantezza propria. Sparsi in quei giardini e sparsi per tutta la pianura vedevo innumerevoli edifici la cui architettura, magnificenza, armonia, grandezza e grandezza erano così uniche che si poteva dire che tutti i tesori della terra non bastassero a costruirne uno solo. Se solo i miei ragazzi avessero una casa del genere, mi sono detto, quanto l’adorerebbero, quanto sarebbero felici e quanto si divertirebbero a stare lì! Così correvano i miei pensieri mentre guardavo l’esterno di quegli edifici, ma quanto maggiore doveva essere il loro splendore interiore!

Mentre me ne stavo lì a crogiolarmi nello splendore di quei giardini, ho improvvisamente sentito una musica dolcissima, una melodia così deliziosa e incantevole che non potrei mai descriverla adeguatamente. Al suo confronto, le composizioni di padre Cagliero e di frate Dogliani non sono affatto musica. Centomila strumenti suonati, ognuno con il proprio suono, unico e diverso da tutti gli altri, e ogni suono possibile animava l’aria con le sue onde risonanti.

Mescolati con loro c’erano le canzoni dei coristi.

In quei giardini ho visto una moltitudine di persone che si divertivano allegre, alcune cantando, altre suonando, ma ogni nota aveva l’effetto di mille strumenti diversi che suonavano insieme. Nello stesso tempo, se si può immaginare una cosa del genere, si potrebbero sentire tutte le note della scala cromatica, dalle più gravi alle più alte, ma tutte in perfetta armonia. Ah sì, non abbiamo niente al mondo da confrontare con quella sinfonia.

Si poteva dire dall’espressione di quei volti felici che i cantanti non solo provavano il più profondo piacere nel cantare, ma ricevevano anche una grande gioia nell’ascoltare gli altri. Più cantavano, più pressante diventava il loro desiderio di cantare. Più ascoltavano, più vibrante diventava il loro desiderio di ascoltare di più…

Mentre ascoltavo affascinato quel coro celeste vidi avvicinarsi a me una moltitudine infinita di ragazzi. Molti ne riconobbi essere stati all’Oratorio e nelle altre nostre scuole, ma la maggior parte di essi mi erano totalmente estranei. Le loro schiere interminabili si avvicinarono, capeggiate da Domenico Savio, subito seguito da padre Alasonatti, padre Chiali, padre Guilitto e molti altri chierici e sacerdoti, ognuno alla testa di un drappello di ragazzi…

Una volta che quella schiera di ragazzi si è allontanata di circa otto o dieci passi da me, si sono fermati. Ci fu un lampo di luce molto più brillante di prima, la musica si interruppe e un silenzio sommesso calò su tutto. Una gioia molto radiosa circondava tutti i ragazzi e brillava nei loro occhi, i loro volti ardenti di felicità. Mi guardavano e mi sorridevano molto amabilmente, come per parlare, ma nessuno diceva una parola.

Domenico Savio si fece avanti di un passo o due, standomi così vicino che, se avessi teso la mano, l’avrei sicuramente toccato. Anche lui taceva e mi guardava con un sorriso…

Alla fine parlò Domenico Savio. “Perché te ne stai lì in silenzio, come se fossi quasi devitalizzato?” chiese. “Non sei tu che un tempo non temevi nulla, resistendo a calunnie, persecuzioni, ostilità, avversità e pericoli di ogni genere? Dov’è il coraggio? Di ‘qualcosa!”

Mi costrinsi a rispondere balbettando: “Non so cosa dire. Sei Domenico Savio?”

“Sì, io sono. Non mi riconosci più?”

“Come mai sei qui?” chiesi ancora sconcertato.

Savio parlava affettuosamente. “Sono venuto a parlare con te. Abbiamo parlato insieme così spesso sulla terra! Non ricordi quanto mi amavi, o quanti segni di amicizia mi hai dato e quanto sei stato gentile con me? E non ho ricambiato il calore del tuo amore? Quanta fiducia ho riposto in te! Allora perché sei impacciato? Perché stai tremando? Vieni a farmi una domanda o due!

Facendo appello al mio coraggio, ho risposto: “Sto tremando perché non so dove sono”.

«Sei nella dimora della felicità», rispose Savio, «dove si prova ogni gioia, ogni delizia».

“È questa la ricompensa del giusto?”

“Affatto! Qui non godiamo di una felicità soprannaturale, ma solo naturale, anche se grandemente amplificata”.

“Potrei avere il permesso di vedere un po’ di luce soprannaturale?”

“Nessuno può vederlo fino a quando non è arrivato a vedere Dio così com’è. Il più debole raggio di quella luce colpirebbe istantaneamente uno morto, perché i sensi umani non sono abbastanza robusti per sopportarlo.

Qui termina il suo sogno di San Domenico Savio riferendosi al Paradiso.

 [superiore] 

Capitolo 8

Cielo – Dottrina

La vita dopo la morte
In Paradiso conosceremo, ameremo e godremo Dio, come Egli è veramente.

Il paradiso consiste nel conoscere, amare e godere di Dio.

“Io sono… la tua ricompensa straordinariamente grande” (Gen. 15:1) Dio disse ad Abramo. Nostro Signore ha promesso: “Beati i puri di cuore; poiché vedranno Dio” (Matteo 5:8).

La visione di Dio, conoscenza intuitiva e diretta della divinità, è l’essenza della gioia celeste. Come spiegò San Giovanni, “Ora questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Giovanni 17:3). Attraverso questa visione, “saremo simili a Lui: [Dio] perché lo vedremo così com’è”. (I Giovanni 3:2).

San Paolo diceva che sulla terra vediamo Dio come in uno specchio, invece in cielo lo vedremo faccia a faccia (1 Cor 13,12).

I teologi chiamano questa conoscenza diretta e intuitiva di Dio la visione beatifica. Attraverso di essa la natura di Dio si unisce alla nostra e ci comunica la sua essenza.

Poiché “Dio è carità” (1 Giovanni 4:8) non possiamo conoscerlo nel grado e nell’intensità della visione beatifica senza amarlo al massimo grado e capacità della nostra natura perfetta. Partecipando alla Sua essenza, attraverso questa conoscenza intuitiva, partecipiamo all’Amore che è la Sua stessa natura.

San Giovanni ha chiarito questa verità:

Ecco quale carità ci ha concesso il Padre, affinché fossimo chiamati e fossimo figli di Dio… e non è ancora apparso ciò che saremo. Sappiamo che, quando apparirà [in Cielo], saremo simili a lui; perché lo vedremo così com’è (I Giovanni 3:1-2).

Spiegando questo testo, San Bernardo disse:

Proprio come una goccia d’acqua gettata in una grande quantità di vino perde tutte le sue proprietà e qualità e assume il colore e il carattere del vino; e proprio come un pezzo di ferro arroventato nella fucina non sembra più ferro, ma fuoco; e come l’aria, quando riceve la luce del sole, si trasforma in tal modo in luce, che pare essere luce stessa; così anche noi, nella beatitudine celeste, perderemo ogni nostra debolezza e saremo deificati e trasformati in Dio.

Allora la nostra esistenza sarà una gioia indicibile. Non sarà più la gioia limitata delle creature, ma quella di Dio stesso, sfociata in un’unione amorosa e intima che, come diceva San Bernardo, ci divinizzerà e ci trasformerà in Dio. Ciò non significa che cesseremo di essere creature, ma, piuttosto, che la nostra natura sarà totalmente assunta ed elevata dal Creatore.

La luce della gloria

Per godere della visione beatifica, dobbiamo prima ricevere una grazia speciale chiamata luce di gloria , che completa la grazia santificante e ci spiritualizza interamente.

In questa conoscenza e amore di Dio, vedremo veramente le Persone della Santissima Trinità. In questa visione percepiremo e comprenderemo il Padre che genera il Figlio. Percepiremo il loro amore reciproco che ha una tale intensità che lo Spirito Santo procede da loro. Capiremo altri misteri, che sulla terra la nostra limitata intelligenza non può cogliere.

La vita dopo la morte
Per tutta l’eternità gioiremo per l’elevazione della Madonna a Madre di Dio e Regina del cielo e della terra.

Vedremo perché Dio ha creato l’Universo e tutte le creature, capiremo la prova degli angeli e degli uomini e comprenderemo i misteri della Salvezza (cioè l’Incarnazione, la Passione e la Morte di Nostro Signore Gesù Cristo). Gioiremo per l’elevazione di Maria Santissima a Madre di Dio e per la fondazione della Chiesa.

Capiremo tutti i disegni insondabili della creazione di Dio, ad esempio perché permette il male, quale bene ne trae e la gloria che l’inferno dà alla sua giustizia. Lungi dal diventare noioso, l’interesse per questo benedetto apprendimento si autoalimenta. Più sappiamo, più ameremo. Così, a sua volta, ci ispirerà a conoscere e desiderare ancora di più.

In Dio vedremo tutta la storia, compresa la nostra storia individuale, con le grazie che abbiamo ricevuto e le misericordie che ci sono state concesse. Eternamente incapaci di esaurire le infinite ragioni per amare e adorare Dio, ci uniremo per sempre all’incessante canto di lode degli angeli: “Santo, Santo, Santo è il Signore, Dio degli eserciti” (Is. 6:3).

Adoreremo la Santissima Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo, con le sue piaghe risplendenti. Contempleremo la gloria della Regina del Cielo, Maria Santissima, dell’incomparabile Patriarca San Giuseppe, dei patriarchi e dei profeti dell’Antico Testamento – Mosè, Abramo, Giacobbe, Elia, Isaia, i grandi santi del Nuovo Testamento – San Giovanni il Battista (che ha unito i due Testamenti) e gli Apostoli, i grandi santi della Chiesa e tutti coloro che hanno dilatato il Regno di Cristo sulla terra.

Saremo con gli angeli, i martiri, i dottori e le vergini, che vivono in questa santa società. Conosceremo i nostri genitori e amici, senza mai cessare la nostra continua contemplazione di Dio.

La gioia dei corpi glorificati

Quando i nostri corpi risorgeranno, parteciperanno alla gloria e allo splendore dell’anima. Il corpo risplenderà, leggero e glorioso e si muoverà con agilità e sottigliezza.

L’anima si delizierà in un dominio completo e assoluto sul corpo, che viaggerà da un luogo all’altro al minimo respiro dell’immaginazione con tutta la sottigliezza dello spirito. Non sperimenterà più stanchezza, fame o disagio di alcun tipo.

Il corpo, che ha sopportato la sofferenza sulla terra, si diletterà nella gloria del Cielo. Così il giusto sperimenterà ogni piacere compatibile con il Cielo.

La vita dopo la morte
In Paradiso, il nostro gusto sperimenterà i sapori che superano tutti i cibi terreni.

Tutti i sensi sperimenteranno il piacere del Paradiso. La vista contemplerà giardini paradisiaci e lo splendore degli angeli e dei beati. L’olfatto godrà dei profumi più raffinati ed inebrianti Il suono ascolterà la musica più armoniosa, varia e rasserenante. Il gusto sperimenterà i sapori più raffinati. Piacevoli brezze accarezzeranno il nostro corpo, producendo piacere per il tatto. Così, tutto l’uomo sperimenterà il piacere casto e la felicità, caratteristici di chi è spiritualizzato nella gioia dell’amore divino.

Il Signore invita gli eletti a sedersi alla sua mensa

Per farci un’idea vaga di ciò che ci attende in Paradiso, torniamo a San Bernardo che non ha rivali nell’esprimere queste meraviglie:

O beata regione dove dimorano le virtù sovrane, dove si contempla faccia a faccia la SS. Luogo di delizie, dove i giusti risplendono con più splendore del sole! Luogo di gioia ineffabile coronato dall’eternità! Luogo di abbondanza, a cui non manca nulla che si possa desiderare! Luogo di soavità e di indicibile dolcezza, dove la beneficenza del Signore raggiunge tutti! Luogo tranquillo, la tranquillità è saldamente stabilita! Luogo mirabile, dove appaiono tutte le opere meravigliose di Dio! Luogo abbondante, dove si è pienamente soddisfatti, dove Dio ci mostrerà la Sua gloria! Luogo della visione beatifica, dove si contemplano le più alte e ineffabili meraviglie! O regione sublime e piena di ricchezze, da questa valle di lacrime salgono a te i nostri sospiri! Lì la saggezza è libera da ogni ignoranza, la memoria è libera dall’oblio, l’intelligenza è invulnerabile all’errore e la ragione dissipa ogni oscurità. Regione bellissima, nella quale il Signore fa sedere alla sua mensa i suoi eletti e li serve, anzi, mostra loro tutto il suo splendore. Lì Dio sarà tutto in tutto.

Concludiamo con una visione di San Paolo:

Conosco un uomo in Cristo più di quattordici anni fa (se con il corpo, non lo so, o fuori dal corpo, non lo so; Dio lo sa), tale fu rapito fino al terzo cielo. E so che un tale uomo (se nel corpo o fuori del corpo, non lo so; Dio lo sa): che fu rapito in paradiso e udì parole segrete, che non è concesso all’uomo di pronunciare (2 Corinzi 12:2-4).

 [superiore] 

Conclusione

Il mondo moderno ha perso la nozione di peccato e, di conseguenza, si è completamente degradato.

All’inizio del terzo millennio della nostra Redenzione, abbiamo perso la fede viva che ha ispirato le crociate, le magnifiche cattedrali e monasteri, le grandi sintesi di fede e filosofia, i santi straordinari e la fondazione dei grandi ordini religiosi. Siamo in un mondo in cui dominano l’irreligione, il materialismo pratico e un’orribile tolleranza del vizio e del male.

Non solo la castità, ma la modestia e la decenza più elementari difficilmente esistono.

Rischiamo di lasciarci trascinare da questa corrente. Il desiderio di “essere come tutti”, sostenuto dall’istinto di socialità, è così forte che la resistenza richiede una grande forza.

Meditare sulla vita dopo la morte è un mezzo efficace per ripristinare il senso del peccato in noi stessi e negli altri.

Non possiamo evitare né possiamo ignorare la morte. Dobbiamo quindi prepararci ad accoglierlo con pace e fiducia, comprendendo che è l’inizio della nostra eternità.

La considerazione del giudizio privato che deciderà la nostra eternità secondo il nostro rifiuto o corrispondenza alla grazia per tutta la vita, dovrebbe aiutare la nostra lotta contro il male e la ricerca del bene.

La paura dell’inferno, e anche del purgatorio, dovrebbe insegnarci la malizia del peccato, quanto offende Dio e le conseguenze di queste offese.

Le ineffabili gioie del Cielo dovrebbero stimolare la speranza e il desiderio di servire Dio sulla terra.

La considerazione del nostro destino eterno, se inteso con l’equilibrio che solo la Chiesa può dare, non deve incutere terrore o nervosismo. Piuttosto dovrebbe essere una fonte di tranquillità e di pace, che ordina la nostra vita.

Seguiamo il consiglio del Divin Maestro: “Devo compiere le opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno; viene la notte, quando nessuno può operare” (Gv 9,4).

Usiamo la nostra vita per guadagnare meriti per l’eternità.

Concludiamo con un brano di un santo che confessò le sue colpe e lodò Dio per le sue grazie. È una delle citazioni più belle mai scritte da sant’Agostino.

Troppo tardi ti ho amato, o Tu Bellezza dei giorni antichi, eppure sempre nuova! troppo tardi ti ho amato! Ed ecco, tu eri dentro e io fuori, e là ti cercavo; io deforme, sprofondando in quelle belle forme che avevi fatto. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te cose che, se non erano in te, non erano affatto. Tu chiamasti e gridasti e facesti scoppiare la mia sordità. Hai brillato, hai brillato e hai placato la mia cecità. Tu respiravi odori, e io inspiravo e ansimavo per Te. Ho assaggiato, e la fame e la sete. Mi hai toccato e ho bruciato per la tua pace.

Luiz Sérgio Solimeo 11 aprile 2000

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