Infine, Il Mio Cuore Immacolato Trionferà!

1La trilogia della vera devozione I

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A te, caro ateo

Nel 1980, il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira scrisse tre articoli spiegando l’attualità della “schiavitù d’amore” di san Luigi de Montfort a Gesù Cristo per mezzo di Maria. In effetti, nulla potrebbe essere così contrario allo spirito della nostra epoca, eppure, nulla può davvero fornire una soluzione così completa. Il primo e successivo articolo è intitolato “A te, caro ateo”.

Caro? Questo aggettivo può far meravigliare i lettori. Dopotutto, mi hanno visto, attraverso i miei articoli e altri mezzi, combattere per decenni l’ateismo, specialmente la forma più attivamente imperialista che ha assunto nel corso della storia, cioè l’ateismo marxista. Come si può, allora, giustificare l’aggettivo “caro?” La spiegazione è questa:

Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini: dei buoni, perché ricevano in Cielo il premio dei loro meriti; dei cattivi perché, toccati dalla grazia, si emendino e raggiungano il Cielo. Pertanto, da diversi punti di vista e per diversi motivi, sia il primo che il secondo sono cari a Dio. Ora, poiché sono cari a Dio, come potrebbero non esserlo a un cattolico? Sì, cara anche quando per difendere la Chiesa e la cristianità, un cattolico le combatte. Così, per esempio, nel momento stesso in cui un crociato combatteva ferocemente un maomettano durante la riconquista del Santo Sepolcro, avrebbe potuto rivolgersi al maomettano chiamandolo “caro fratello”.

L’espressione “caro ateo” è quindi valida e comprende una gamma di sfumature diverse; perché ci sono sfumature nell’ateismo. Naturalmente vige un senso specifico della parola “caro” a seconda della sfumatura. Così, ci sono atei che si rallegrano a tal punto della loro convinzione che “Dio non esiste” che se qualche fatto evidente come un miracolo spettacolare dovesse convincerli del contrario, potrebbero facilmente arrivare a odiare Dio e persino ad ucciderlo , se fosse possibile.

Altri atei sono così impantanati nelle cose della terra che il loro ateismo non consiste nel negare l’esistenza di Dio, ma piuttosto nell’essere completamente indifferenti alla questione. Se la distinzione è lecita, non sono “atei” nel senso più radicale del termine, ma piuttosto “a-teisti”, cioè laici. Dio non fa parte della loro concezione della vita e del mondo. Se fosse dimostrato loro che Dio esiste, Lo vedrebbero come essere con il quale o senza il quale il mondo andrebbe avanti così come va. La loro reazione sarebbe quella di bandirlo totalmente e per sempre dagli affari terreni.

C’è ancora un terzo tipo di ateo che, schiacciato dalle fatiche e dalle delusioni della vita, e vedendo chiaramente, per amara esperienza personale, che le cose di questo mondo non sono altro che “vanità e vessazioni dello spirito” (Eccl. 1, 14), desidera che Dio esista. Ma zoppicati dai sofismi dell’ateismo, a cui avevano precedentemente aperto le loro anime, e legati da abitudini mentali razionalistiche a cui avevano attaccato le loro menti, ora brancolano nell’oscurità incapaci di trovare il Dio che una volta rifiutavano. Quando medito quell’apostrofo di Gesù Cristo: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò» (Mt 11, 28), penso specialmente a questo tipo di ateo e mi sento particolarmente incline chiamarli “cari atei”.

Questo spiega il tipo di atei a cui queste riflessioni sono particolarmente rivolte. Tuttavia, non sono solo loro che ho in mente, ma molti altri lettori che mi sono molto più cari: alcuni fratelli nella fede cattolica, membri, come me, del Corpo mistico di Gesù Cristo. Dopo aver letto un riferimento che ho fatto alla spiritualità di San Luigi Maria Grignion de Montfort, hanno voluto che dicessi qualcosa di più sull’argomento.

Ora mi rivolgo agli atei particolarmente cari, sperando di toccarli nel profondo dell’anima, nello stesso testo in cui parlo ai miei carissimi fratelli nella Fede.

Immaginati, caro ateo, in uno di quegli intervalli della vita quotidiana di un tempo nella cui calma le piacevoli e profonde impressioni – che la fatica della giornata, carica della polvere della banalità e del sudore della fatica, aveva soffocato nel subconscio – salirebbe alla superficie dello spirito. Erano quelli gli ampi momenti di svago in cui le nostalgie di un passato sorridente, gli incanti e le speranze di un presente aspro ma luminoso, e le fantasie così spesso traditrici costituissero un gradevole stereoscopio per distendere l’anima, “mettere in pace… in quell’inganno allegro e cieco che la fortuna non permette di sopportare a lungo” (Camões, Lusiadas , Canto III, versetto 120).

Negli scarsi momenti di svago di oggi, invece, è il tumulto nevrotico delle delusioni, delle preoccupazioni, delle ambizioni sfrenate e delle stanchezze esacerbate che salgono in superficie. E su questo tumulto aleggia una domanda opprimente, plumbea e oscura: «Per che cosa vivo?».

Il precedente articolo del professor Plinio Corrêa de Oliveira è stato pubblicato per la prima volta nella Folha de S.Paulo il 31 agosto 1980. È stato tradotto e adattato senza la sua revisione. –Ed.

Clicca Qui per leggere “Service, a Joy” , il prossimo articolo di questa trilogia.

Clicca qui per leggere “Obbedire per essere liberi” , terzo articolo di questa trilogia.

Plinio Corrêa de Oliveira 17 dicembre 2007

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