
Il presente articolo, del noto abbé Barthe, sacerdote tradizionalista francese, è uno stralcio del testo completo che, chi vuole, potrà trovare qui:
Per una vera riforma della Chiesa
E’ importante per comprendere (ovviamente bisogna impegnare un po’ la mente, quindi i faciloni superficiali possono tranquillamente non leggerlo: sarebbe inutile) la genesi di quella ‘roba’ informe ed abnorme che fu il Concilio Vaticano II, e i tentativi (ovviamente vani ed inutili) dei Papi ‘conciliari’ di farne il ‘trampolino di lancio’ per la Chiesa. Che, saltando giù, anzichè in acqua è finita regolarmente sfracellata al suolo.
Ecco l’importante articolo in alcune sue parti più significative:
[…] Riforme successive in linea con il Vaticano II su una Chiesa esausta e divisa
Bisogna tener presente che il Vaticano II, in quattro anni, dal 1962 al 1965, aveva stravolto un edificio che non era solo tridentino, come spesso si dice, ma addirittura gregoriano (dalla Riforma gregoriana, nell’XI secolo). Nonostante tutte le crisi, il Grande Scisma, la Riforma protestante, la Rivoluzione, e pateticamente dall’ultima, la Chiesa ha continuato a rivendicare pienamente, come ha fatto con grande forza durante il “momento gregoriano”, il principio della sua libertà: come Sposa di Cristo, è sempre stata consapevole di essere la totalità soprannaturale del suo Corpo Mistico sulla terra.
Tuttavia, il Vaticano II ha spezzato questa pienezza totale che la Chiesa pretendeva di essere: emanando un certo numero di “intuizioni” (libertà religiosa, ecumenismo, principi del dialogo interreligioso), questo Concilio ha riconosciuto l’esistenza al di fuori della Chiesa di entità soprannaturali, certo incomplete, di modi salutari, anche se carenti, di comunione con Cristo, anche se imperfetti.
Di conseguenza, testi magisteriali come l’enciclica Quas Primas, sulla regalità istituzionale di Cristo, sono diventati obsoleti.
Questa “apertura al mondo moderno” della società ecclesiastica, in concreto alla democrazia liberale, è avvenuta in concomitanza con il decollo della secolarizzazione di questo mondo. A meno che l’inversione ecclesiologica che si è verificata non abbia contribuito fortemente ad aumentare questa secolarizzazione. Gli uomini di Chiesa furono colti di sorpresa. Avevano fatto cento passi avanti, mentre il mondo ne aveva fatti diecimila. E il rinnovamento sembra essere stato un suicidio: tra tutte le conseguenze politiche, spirituali e disciplinari che ne sono derivate, la più eclatante è stata l’esaurimento della missione, la ragion d’essere della Chiesa di Cristo, visibile nella rarefazione dei principali lavoratori della messe, chierici e religiosi, e nel numero di convertiti e membri praticanti.
Ma, cosa ancora peggiore, il corpo non solo si stava sgretolando, ma si stava anche frantumando. Ben presto è apparso chiaro che il Concilio non era riuscito a fare quadrato attorno al suo progetto: l’opposizione della minoranza conciliare, divenuta opposizione tradizionalista energizzata dalla sua dimensione liturgica, si è rivelata impossibile da ridurre, un’opposizione le cui fila sono state ingrossate, soprattutto a partire dall’attuale pontificato, da tutto un mondo riformista o “restauratore” che, nella sostanza e a prescindere da ciò che dice, non ha mai condiviso pienamente il Vaticano II. L’unità di ciò che restava del cattolicesimo è andata in frantumi.
È quindi in questo quadro di una Chiesa in via di esaurimento e ancora più divisa che si è tentata la riforma del suo governo centrale in relazione a una concezione globale di ciò che dovrebbe essere la riforma di tutta la Chiesa, in altre parole in relazione alla comprensione del Vaticano II.
[…]
Oggi la Prædicate Evangelium vuole essere un’ulteriore attuazione dello “spirito del Concilio” sul governo romano, nonché un modello da seguire a tutti i livelli per promuovere una riforma veramente conciliare di tutta la Chiesa. Uno dei cambiamenti chiave è la retrocessione del Dicastero della Dottrina della Fede al secondo posto, dopo quello dell’Evangelizzazione. Ma anche in questo caso, la Curia è soprattutto nuova perché il suo personale è stato “portato agli standard bergogliani”. Quanto al progetto di compiere un decisivo salto di qualità conciliare sia in Curia che nella Chiesa nel suo complesso, l’anemia del corpo ecclesiastico e le tensioni sempre più forti che lo attraversano lo fanno apparire come un pio desiderio.
I tentativi di ripristinare l’unità perduta: un doppio fallimento
Quando la Chiesa ha raggiunto le sponde del XXI secolo, il fallimento fondamentale del Vaticano II poteva essere misurato dal punto di vista che per lei è primario, quello della missione: non solo non si convertiva più, ma il numero dei suoi fedeli, dei suoi religiosi e dei suoi sacerdoti si stava riducendo a tal punto da sembrare in via di estinzione, almeno in Occidente. Il Concilio Vaticano II, la cui ambizione era quella di adattare il messaggio alla sensibilità degli uomini del tempo e di attirarli verso una Chiesa ringiovanita, trasformata, modernizzata, non è riuscito nemmeno a interessarli.
Soprattutto, il passare del tempo ha dimostrato che dopo il Vaticano II si è verificata una spaccatura, si potrebbe dire uno scisma latente, che ha diviso la Chiesa tra due correnti composite ma chiaramente identificabili, la prima per la quale il Concilio doveva essere rivisitato o almeno contenuto, l’altra per la quale era solo un punto di partenza. Il progetto di ristabilire l’unità attorno a questo Concilio, che non pretendeva di essere il magistero infallibile, cioè non era un principio di fede in senso stretto, è stato la croce dei papi del dopo Vaticano II. Non ci sono riusciti. Sia i papi della restaurazione, Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI, sia Francesco, il papa del progresso, non sono stati in grado di mantenerne nemmeno la finzione.
2005, il tentativo di Ratzinger: inquadrare il Concilio
Poco dopo la sua elezione, nel noto discorso alla Curia del 22 dicembre 2005, Benedetto XVI distingueva tra due interpretazioni della riforma conciliare, “l’ermeneutica della discontinuità e della rottura”, che considerava dannosa, e “l’ermeneutica della riforma o del rinnovamento nella continuità”, che approvava, volta, a suo dire, a evitare “una rottura tra la Chiesa preconciliare e la Chiesa postconciliare”. In breve, il Papa ha definito quello che in una democrazia liberale – ai cui modi di pensare la Chiesa è sempre più permeabile – chiameremmo un centro-destra, che il Papa ha legittimato, e un centro-sinistra, che ha squalificato.
Non aveva intenzione di unirsi al fronte tradizionalista che, in varia misura, rifiutava il Concilio e/o la sua liturgia. Tuttavia, a causa del suo interesse per la liturgia preconciliare, Benedetto XVI avrebbe potuto andare oltre l’ermeneutica del rinnovamento nella continuità. Il suo “restaurazionismo” avrebbe potuto diventare l’inizio di un processo di transizione, come quello avvenuto con Giovanni XXIII, ma in direzione opposta.
Tuttavia, come sappiamo, il processo è rimasto a metà strada, anche per quanto riguarda il “rinnovamento nella continuità”: non solo non ha portato a un rifiuto del Concilio, ma il restaurazionismo, il contenimento del Concilio, è stato percepito come un fallimento, un tentativo senza risultato. La Chiesa in Occidente continuava a scomparire dallo spazio sociale, il personale ecclesiastico, sacerdoti, religiosi, seminaristi continuava a diminuire e il centro romano dava l’impressione di non avere più un timoniere. Benedetto XVI divenne il bersaglio di continui attacchi da parte dei sostenitori dell’“ermeneutica della discontinuità” e si isolò nella sua pratica teologica privata, anticipando moralmente le dimissioni che infine decise di fare nel 2013.

2013, il tentativo di Bergoglio: massimizzare il Concilio
Come se fosse naturale (in realtà, dopo un’intensa preparazione elettorale), il conclave del 2013 ha tentato l’altra opzione, quella del centro-sinistra, l’opposta “ermeneutica” del Vaticano II, a cui Jorge Bergoglio aveva fatto appello.
Il nuovo Papa, che in un discorso alle riviste dei gesuiti nel 2022 ha detto di lottare contro il “restaurazionismo”, che vuole “imbavagliare” il Concilio, e contro il “tradizionalismo”, che vuole evacuarlo, si è quindi messo a “buttare giù i muri”, secondo l’espressione che gli piaceva:
quella di Humanæ vitæ e dell’insieme di testi che avevano preservato la morale coniugale dalla liberalizzazione che il Vaticano II aveva apportato all’ecclesiologia. Amoris Letitia ha dichiarato nel 2016 che le persone che vivono in pubblico adulterio possono rimanervi senza commettere peccato grave (AL 301);
quella del Summorum Pontificum, che ha riconosciuto il diritto a quel conservatorio della Chiesa primitiva che è la liturgia antica con la sua catechesi e il suo personale clericale. Traditionis custodes, nel 2021, e Desiderio desideravi, nel 2022, hanno invalidato questo tentativo di “ritorno” e dichiarato che i nuovi libri liturgici sono l’unica espressione della lex orandi del rito romano (TC, art. 1).
Ma l’opzione Bergoglio sta fallendo come aveva fallito l’opzione Ratzinger: l’istituzione ecclesiale ha continuato a crollare e la missione a spegnersi.
E se sotto Benedetto XVI la disillusione si era cristallizzata sulla mancanza di governo, è per la tracimazione di un governo confuso e dittatoriale, nonostante la parola d’ordine della sinodalità e nonostante la Prædicate Evangelium, che le critiche stanno venendo sempre più alla ribalta sotto Francesco. Inoltre, così come Benedetto XVI non ha mai corso il rischio di scendere al di sotto del Concilio, Francesco si è guardato bene dal superarlo con il rischio di far esplodere una struttura istituzionale: ad esempio, nonostante tutte le sue dichiarazioni contro il clericalismo, non ha mai messo veramente in discussione il celibato sacerdotale o aperto il sacerdozio alle donne.
Così, né il tentativo di ammorbidire il Consiglio [leggi: il Concilio, ndr], né quello di massimizzarlo, hanno fermato l’emorragia, che è continuata.
È addirittura aumentata, nella misura in cui il polo della conservazione (ratzingeriani e tradizionalisti, per sintetizzare) si è rafforzato. In termini relativi, innanzitutto, perché cresce regolarmente, almeno attraverso l’arrivo di nuove generazioni, mentre il polo progressivo non ha trasmissione. Inoltre, poiché è diventata un po’ più omogenea, si è stretta l’alleanza tra i razzisti, sostenitori dell’“ermeneutica della riforma nella continuità” e il “fronte del rifiuto”, il tradizionalismo. Quest’ultimo è più che mai presente, come dimostrano i ripetuti colpi che gli vengono inferti come se fosse il nemico per eccellenza.
Don Andrea Mancinella